§ Per l'economia mondiale

La sorpresa del Pacifico




Lawrence R. Klein
Premio Nobel per l'Economia



Poco meno di un anno fa, in occasione di una conferenza presso la Wharton School, un economista di Wall Street distribuì un grafico che illustrava le posizioni dei vari Paesi-chiave nelle diverse fasi dell'attuale ciclo economico. In prima fila, figuravano gli Stati Uniti, con timidi sintomi di una ripresa sostenuta. Nelle previsioni, la ripresa americana sarebbe stata seguita da inversioni di tendenza apprezzabili in Canada, Australia e Regno Unito. In posizione arretrata rispetto agli altri raggruppamenti, Giappone, Germania e altri Paesi dell'Europa continentale, peraltro non ancora entrati in piena recessione.
Nel frattempo, la ripresa americana ha perso vigore, sia pure senza precipitare in una recessione-bis, e la gente, in molti Paesi, ha cominciato a disperare che l'economia uscisse infine dal tunnel. Da molti mesi, dunque, è in atto un rallentamento mondiale, mentre altri Paesi registrano un calo del prodotto reale nazionale. Gli economisti, dimentichi di quel grafico che illustrava chiaramente le sequenze delle riprese, hanno cominciato a segnalare il pericolo di una crisi economica su larga scala.
Negli Stati Uniti, invece, l'economia incomincia a dare nuovi segnali di ripresa: le spese di consumo e l'edilizia abitativa hanno in qualche modo reagito all'allentamento del credito deciso dalla Federal Reserve a seguito del quadro venutosi a configurare nel dicembre scorso. All'orizzonte si profila un modesto aumento dell'inflazione americana.
Canada e Regno Unito, inoltre, non sono riusciti a sostenere la ripresa e dalla fine dell'anno scorso registrano un calo dell'economia.
Il quadro è ulteriormente complicato dal Giappone e dalla Germania, le cui economie sono in netta flessione. I giapponesi parlano apertamente di recessione, anche se le previsioni indicano un prodotto annuale leggermente positivo. Il fatto è che la contrazione del prodotto verificatasi nell'ultimo periodo è evidenziata solo dalle variazioni dei dati trimestrali. In Giappone, poi, anche le condizioni del mercato del lavoro danno segni di allentamento. La Germania, il cui prodotto lordo è calato in due fasi successive, rifiuta ostinatamente di parlare di recessione, probabilmente imbarazzata dalla tenacia con cui persegue una rigida politica monetaria.


Tutti i Paesi europei ammettono visibilmente che le rispettive politiche monetarie dovranno uniformarsi alle indicazioni di Berlino. Ora, non c'è chi non veda come, fino a quando sarà la politica monetaria tedesca a stabilire la rotta all'interno dei criteri-guida previsti dal Sistema di tassi di cambio europeo, sarà impossibile per Paesi che vogliano uscire dalla recessione, come la Gran Bretagna, o per Paesi che vogliano contenere tendenze depressionarie, come Francia, Italia, Spagna, varare misure monetarie significative.
Non si tratta, in questo caso, di coordinamento politico, ma di abdicazione politica per tutti, ad eccezione della Germania. Ciò dovrebbe indurre alcuni Paesi a ben ponderare l'opportunità di rinunciare ad una parte della propria sovranità economica per aderire ad una unione monetaria pienamente operante nello spirito dell'Europa 1992.
Persino Paesi all'esterno dei confini formali del Mercato Comune, come Svizzera, Svezia e Finlandia, sono alle prese con la recessione, incapaci di adottare contromisure efficaci e praticamente costretti a seguire il leader europeo, perché tutti gli altri lo fanno e loro non intendono essere emarginati.
Quali sono le prospettive dell'economia mondiale? Gli Stati Uniti segnalano una modesta ripresa, ma la ricostruzione della Germania dell'Est e dei Paesi dell'ex Patto di Varsavia pone una sfida formidabile al progresso economico mondiale. i trasferimenti in atto ad Ovest ad Est sono, in qualche caso, a spese dei Paesi in via di sviluppo. E' probabile che il 1992 si riveli alla fine un anno mediocre per il mondo intero, con delusione (quando si faranno i conti di questi dodici mesi) di quanti si attendevano un rilancio alla vigilia del Mercato unico.
Dalla Russia, intanto, continuano ad arrivare dati economici negativi: il calo del 15-20 per cento registrato dal prodotto dello scorso anno rappresenta una flessione formidabile da sopportare per qualunque Paese. E un altro calo si preannuncia per il prossimo anno. Il Paese dispone ancora di forniture di prodotti alimentari, ma il sistema di distribuzione non è né equo né agevole. A Mosca i giovani cercano di vendere prodotti semilussuosi o di cambiare valuta e rifiutano il lavoro produttivo organizzato. Il morale degli adulti è basso e la produttività ne risente. Può darsi che il processo di riforma economica riesca a consolidarsi, ma è difficile che all'orizzonte si profili una ripresa economica prima del 1994 o del 1995.
Maggiori progressi si registrano negli ex Paesi satelliti, anche se per nessuno di loro si può parlare di una fase di crescita solida. La regione orientale tedesca, che ha beneficiato di massicci trasferimenti dall'ex Germania Ovest, dovrebbe essere la prima ad entrare in una ripresa che si annuncia apprezzabile già da ora, visti i segnali incoraggianti che giungono. Per i prossimi mesi, anche Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia (di più la Boemia, di meno la Slovacchia, unite o divise che siano) potranno contare su un miglioramento economico, malgrado le difficoltà incontrate fino a questo momento. La cosiddetta "terapia shock" non ha dato grossi risultati laddove è stata applicata (particolarmente in Polonia). Come ha brillantemente sintetizzato un diplomatico cinese nel corso di una recente riunione a New York: gli shock ci sono stati, e sono stati molti; ma la terapia?
Il rallentamento che ha colpito i principali centri industriali del Nordamerica, dell'Europa occidentale e del Giappone ha contagiato il mondo in via di sviluppo, dove l'esportazione ha risentito della debolezza economica dei Paesi avanzati. In America Latina e nell'area del Pacifico, altre economie in crescita hanno invece continuato ad espandersi e a migliorare le condizioni di vita. La Cina, in particolare, se l'è cavata assai meglio dei suoi ex colleghi socialisti. Altri rilanci economici potrebbero verificarsi quanto prima in Sudamerica e nell'area del Pacifico.
A giudicare dall'attuale andamento dell'economia mondiale, le prossime notizie favorevoli dovrebbero venire dagli Stati Uniti: la politica di un anno elettorale si traduce sempre in un certo stimolo per l'economia. Il che non è abbastanza per cinquanta o più economisti, i quali con una lettera aperta inviata al Presidente hanno chiesto l'adozione di misure di politica fiscale - finanziamento per le strutture pubbliche oltremodo necessarie, investimenti pubblici a livello di governo statale e locale - più un'agevolazione del credito. Staremo a vedere quel che accadrà nei prossimi mesi.


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