§ Ideali unitari?

Europa dei pregiudizi




Antonio Maccanico



Una lettura di grande interesse e particolarmente attuale è il documento che contiene i risultati di una ricerca commissionata dall'Ufficio italiano della Comunità europea sull'Europa degli italiani. Questo documento, seguito agli accordi di Maastricht, è denso di indicazioni importanti e di stimoli alla riflessione.
Costituisce esso stesso, direi, un elemento di prova di quanto sia insufficiente, approssimativo, e spesso fuorviante il modo di discutere e di informare sui temi europei, e quale sia la "cultura", e cioè le idee generali, le convinzioni, i pregiudizi, che sul tema in questo momento sono seminati non solo nell'opinione pubblica in genere, ma anche in segmenti qualificati, nei cosiddetti "opinion leaders" del Paese.
La ricerca, che tende a documentare gli orientamenti degli italiani sui problemi dell'integrazione europea, è svolta in modo molto analitico e penetrante nella più selezionata opinione nazionale (imprenditori agricoli, industriali, dirigenti della pubblica amministrazione, ecc.), ma consente utili confronti anche con l'opinione pubblica generica e con i dati reali delle considerazioni socioeconomiche dei vari Paesi della Comunità. E colpisce, per la verità, che per alcune convinzioni e giudizi di fondo non vi siano divari notevoli tra l'opinione pubblica qualificata e quella generica, il che significa che vi è una notevole omogeneità di orientamento tra le élites e le masse.
Questo non è certamente di per sé una dato negativo, ma considerato che alcune convinzioni sono in contrasto palese con i dati reali, ciò significa che nemmeno l'opinione pubblica più avvertita ha una percezione adeguata della realtà nella quale opera.
Il dato più importante è la convinzione quasi generale che l'italiano sia nella Comunità il popolo che ha la più salda fede nell'Europa unita e ne sia il più fervido sostenitore.
Sull'ideale europeo non vi sono divisioni tra gli italiani: ma non vi sono divisioni, perché esso è un ideale astratto.
In concreto, è altrettanto generale la convinzione che l'Italia sia il Paese meno preparato in assoluto ad entrare nella Comunità, meno preparato anche della Grecia e del Portogallo.
Significativo è altresì il largo consenso che trova l'opinione secondo cui Germania e Francia, che nella fede europeistica sarebbero largamente sopravanzate dall'Italia, siano invece i Paesi che si avvantaggiano di più nel processo di integrazione europea e che siano destinati ad esercitare una sorta di egemonia all'interno della Comunità: quindi, l'Italia sarebbe condannata a svolgere un ruolo secondario.
Non meno importanti sono le convinzioni secondo cui i problemi dell'inflazione, della politica di bilancio e del debito pubblico, l'ammodernamento delle istituzioni, la riforma del sistema politico, la ripresa del sistema produttivo sarebbero insolubili per spinta autonoma, e che solo i vincoli comunitari ci potranno costringere ai comportamenti convergenti con gli altri Paesi che il processo di integrazione politica e monetaria inevitabilmente richiederà.
Si tratta di una visione pessimistica che riflette uno stato d'animo di sfiducia, forse una vera crisi di identità nazionale. Sembra caduto nell'oblio che l'Italia è uno dei grandi Paesi fondatori della Comunità, che essa ha un ruolo di Paese industriale importante da giocare, che ha traguardi che sono alla sua portata: più che `pessimismo dell'intelligenza" sembra complesso di inferiorità, ritorno ad una vecchia propensione in nuove forme, alla propensione a vedere la chiave della soluzione dei nostri problemi fuori di noi, all'esterno, negli sviluppi di eventi che ci trascendono. Sembra rassegnazione ad un destino di marginalità e di subalternità.
Credo che i responsabili della guida del Paese potrebbero trarre da questa lettura utili insegnamenti sullo stato d'animo prevalente in segmenti importanti della nostra comunità nazionale, e cercare anche in queste pagine le vie da imboccare per scuotere la gente dallo scoramento e dal dubbio, che non è la condizione migliore per affrontare il difficile cammino che ci sta dinanzi.

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