§ Realtą non romanzesca

Il ricatto di periferie tracotanti




Saverio Vertone



Nel dibattito sulle minoranze linguistiche organizzato a Saint Vincent dal Premio Nosside, avevo messo in luce una strana asimmetria della "legge sugli alloglotti" recentemente approvata. Mi era parso strano che il disegno legislativo prevedesse l'insegnamento delle parlate occitane nelle valli di Cuneo o di quelle griche in Puglia, mentre in Val d'Aosta e nel Sud Tirolo (dove si parlano varianti del franco-provenzale e del sud-bavarese) gli alunni delle scuole elementari imparano il francese o il tedesco. Questa considerazione è stata considerata lesiva dell'autonomia regionale dal vicepresidente dell'Union Valdotaîne. Né ho ancora capito perché. Di fatto, egli mi ha comunicato, al termine della discussione, che i limiti della proverbiale ospitalità valdostana erano stati superati e che la mia presenza non era gradita. Ne è nato un caso giornalistico, sul quale non vale la pena tornare. La lingua si muove a volte più rapidamente del cervello, e sono sicuro che il vicepresidente, dicendomi "Se ne vada, qui siamo a casa nostra", abbia solo dimenticato - per un attimo - di trovarsi, come me, sul suolo della Repubblica italiana. Anzi, sono certo che adesso la memoria gli è tornata. Il caso personale, del tutto irrilevante, rimanda tuttavia a un caso generale assai più degno di interesse.
Chi dia un'occhiata alle franchigie della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige (regioni a statuto speciale) nota subito due cose:
1) il carattere medioevale di certi privilegi;
2) il peso in gran parte parassitario delle loro finanze.
Per mettere in chiaro il primo aspetto basta citare il prelievo dei nove decimi dell'Iva su tutte le merci comunque provenienti dall'estero che abbiano la ventura o la sventura di dover attraversare la Val d'Aosta per raggiungere le altre regioni italiane.
E' una rendita di posizione che ricorda la gabella sui ponti praticata con entusiasmo in epoca feudale, e che getta un'ombra non proprio rassicurante sull'Europa delle regioni, così come viene auspicata in certi ambienti politici e culturali.
Lo storico François Furet ha scritto recentemente che, almeno nell'Europa occidentale, i risultati di due catastrofiche guerre mondiali vengono a tenere a bada lo sciovinismo delle nazioni. Ma è dubbio tuttavia che i lontani ricordi del Medioevo, dei suoi particolarismi, dei suoi meticolosi massacri artigianali e dei suoi innumerevoli impacci alla circolazione mercantile possono agire da freno agli avidi e intolleranti sciovinismi locali.
Il secondo aspetto è più delicato, perché chiama in causa non solo gli statuti speciali, ma la politica dei governi romani e i silenzi della stampa nazionale.
Prima bisogna però fornire qualche cifra. Secondo calcoli recenti, il saldo positivo a vantaggio della Val d'Aosta e a carico dell'erario italiano ammonta a 1.600 miliardi l'anno, e a 4.000 per il Trentino Alto Adige.
Sono quasi 6.000 miliardi che concorrono ad ampliare il nostro deficit e a creare singolari disparità di trattamento fra i cittadini, visto che i valdostani pagano la benzina, il caffè, lo zucchero e persino la birra assai meno degli altri italiani.
Questo flusso di denaro favorisce la corruzione, indebolisce il tessuto sociale e ha il medesimo effetto dell'oppio sullo spirito d'iniziativa.
E' stato già messo a nudo, con cifre e dati, il carattere assistenziale del benessere altoatesino, dove un quinto della forza lavoro è costituito da dipendenti pubblici e dove la provincia di Bolzano integra lo stipendio di chi guadagna meno di un milione e trecentomila lire al mese (minimo fissato per ogni famiglia di quattro persone). E cifre equivalenti sono emerse per la Val d'Aosta. Non mi risulta che, oltre al Corriere della Sera e al Sole-24 Ore, il resto dei mass media abbia ripreso questi dati sconcertanti. E del resto, neanche il libro di Sebastiano Vassalli ("Sangue e suolo"), che qualche anno fa ha denunciato le discriminazioni altoatesine ai danni dei cittadini di lingua italiana, ha ricevuto la risonanza dovuta.
E' un vero peccato che il grande pubblico sia tenuto all'oscuro di questa situazione, perché, insieme alla Cassa del Mezzogiorno e al vertiginoso aumento delle pensioni di invalidità in certe province, le distorsioni finanziarie di queste regioni spiegano molte cose. Soprattutto una: il legame sotterraneo tra "Roma ladrona" e il leghismo diffuso nel Nord come
nel Sud.
E' un legame sottilmente perverso che spinge il centro a vessare i cittadini (tanti cittadini, non tutti) con le tasse per tener buoni altri cittadini con le elargizioni.
Roma corrompe, compra voti, acquista consensi; ma la provincia ricatta, minaccia e ottiene tanto più facilmente quanto più ostile e astiosa si dimostra la sua contrapposizione alla Repubblica. Si ottiene dallo Stato più del dovuto, solo minacciando lo Stato o con la mafia o con il separatismo.
Ecco perché due regioni così lontane nello spazio, come la Val d'Aosta e la Calabria, sono riuscite a distruggere il loro ambiente urbano e naturale usando aggressivamente fondi a vario titolo prelevati dall'erario. Ed ecco perché due province così diverse come Avellino e Trento si contendono il primato pro-capite per le pensioni d'invalidità.
Poiché alza il prezzo chi sputa nel piatto dello Stato, è prevedibile che il piatto si riempia di soldi quanto più si riempirà di saliva. E del resto Bossi ha dichiarato, ai suoi esordi, di ispirarsi proprio ai principii dell'autonomismo valdostano e sudtirolese. Bisogna riconoscere che non è colpa sua se questo rapporto, per tanti versi esemplare, fra il centro e la periferia dello Stato, ha il suo fascino e se il contagio tende a diffondersi. E' però evidente che il modello non è estensibile a piacere, perché "Roma ladrona" potrà essere ricattata e costretta a elargire in certe zone solo se potrà continuare a spennarne altre. Bossi chiede una impossibile generalizzazione del modello. Mentre gli italiani, tutti gli italiani, dovrebbero chiedere semplicemente la sua abrogazione.

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