§ Dun Karm e Vincenzo Monti a confronto

Nostalgie del perduto amore




Oliver Friggieri
Docente Università di Malta



Uno dei sonetti che Dun Karm Psaila (1871-1961), alias Dun Karm, incluse nella raccolta giovanile Foglie d'alloro (1896) è dedicato A Vincenzo Monti. Oltre a mostrare una chiara aderenza alla limpida classicità montiana, il sonetto dichiara la riverenza di un nuovo poeta verso un grande modello (1):

Quando al chiarore di notturno lume
mentre grato ai mortali il sonno scende
(2),
dispiego, o Monti, il ricco tuo volume
e nel tuo gran pensier l'anima intende.

Io ti vedo spiegar l'agili piume
alle regioni ove il fulmine s'accende
e teco mi trascini ed il costume
oblio del mondo e solo il ciel mi splende.

Quindi mi balza il cor, quindi dal seno
una voce mi sfugge; o dell'Ausonio
Apollineo ciel astro sereno,

Te dal Baltico mar fino all'Jonio
imiti Europa e le castalìe Dive,
rasciutto il pianto, torneran giulive.

Il Monti che qui piace tanto a Dun Karm è il pittore delle scene mitiche, il nostalgico incurabile che alimenta la propria fantasia di visioni gigantesche ricavate dalla storia antica, l'artista che costruisce personaggi e avvenimenti con l'intento di fabbricare un vasto spettacolo che a volte sembra terribile, a volte è incantevole, ma sempre irraggiungibile, posto in una sfera al di là del vero storico. Il Monti creatore di gesti teatrali e di figure drammatiche, pur essendo spesso personaggi religiosi, sta offrendo al giovane poeta un universo pieno di aspirazioni all'eroico. A causa della sua inalienabile preparazione religiosa, Dun Karm poteva facilmente vedere nel Monti un maestro che, pur utilizzando gli elementi della spettacolarità classica, essenzialmente pagana, era al tempo stesso capace di plasmarli in mezzi adatti alla costruzione di un dramma metafisico. Sotto questo aspetto, la detta aspirazione delinea un Monti che si trova nel momento storico del trapasso dal gusto classico al gusto romantico. Recependo le componenti della spettacolarità tradizionale, Dun Karm poteva anche lui adoperarli secondo i dettami di un'aspirazione del tutto cristiana, cioè moderna e romantica.
In netta contrapposizione alla distinzione, promulgata da A. G. Schlegel e da Madame De Staël, tra le due categorie di bellezza - cioè il classico (degli antichi) e il romantico (dei moderni) -, il Monti dichiara che egli legge "con trasporto tutti i buoni maestri" e che le bellezze di un poeta non gli impediscono di sentire e di ammirare le bellezze di un altro: "[ ... ] o italiana, o transalpina, o cinese o araba che ella sia, fosse pur anche groenlandica, la poesia mi piace tutta, purché la trovi buona" (3).
Si avvertono echi di questa posizione in Dun Karm, che afferma che "nel campo delle arti le novità non sono altro che fantasticherie e vane apparizioni di una bellezza che non esiste se non nell'immaginazione di chi la crea; il mondo non cerca di vedere se una poesia sia moderna o classica o neoclassica, ma desidera avere una buona poesia" (4). Ma aggiunge altrove che, pur non facendo questioni su nomi come Classicismo, Romanticismo o Verismo, perché tutti hanno qualche cosa di buono, "sarei matto se volessi passare per buone certe pedanterie e certe monotone cadenze alle poesie classiche; come quella di dividere le ottave per distici, di mettere il punto fermo dopo ciascuna stanza, di imitare servilmente gli antichi modelli e di non metterci niente che in quelli non si trovi [ ... ], ma poi non bisogna allontanarsene tanto da proscrivere e sentenziare a morte sommariamente tutto ciò che sa di classico" (5).
Dun Karm, dunque, tenta di superare la crisi suggerita dalla dialettica tra il classico e il romantico, ma avanza costantemente verso il secondo, salvando il deposito della tradizione e manipolando le "morte" forme secondo le esigenze di un "nuovo", contenuto, voluto da nuovi tempi e da nuove condizioni.
Secondo l'autodefinizione del Romagnosi, anche lui contrario alla divisione di classico e di romantico, Dun Karm sarebbe un "ilichiastico" (6), come del resto ampiamente confermano diversi brani della sua poetica.
Siccome l'isola, chiusa in sé, lontana dalle ultime aperture tecniche e tematiche del nuovo secolo, aveva una salda tradizione cristiana (e il romanticismo è fondamentalmente un movimento cristiano, se non addirittura cattolico), Dun Karm, sempre fedele al principio ottocentesco che la poesia deve rispecchiare l'andamento della società contemporanea e cantare il suo carattere, non poteva prescindere sia dall'aspetto monolitico della vita religiosa maltese, sia dalla ferma adesione della classe colta alla cultura neoclassica.
Ciò spiega perché le sue prime opere sono sature di rievocazioni appassionate e nostalgiche del mondo classico, e manifestano un accorato rimpianto di un paradiso perduto. Ma anche sotto questo aspetto, il primo Dun Karm si muove nei limiti del romanticismo. La patria cristiana del poeta èculturalmente e geograficamente mediterranea, e il Mediterraneo si configurava in un sogno affascinante per uno Schiller, un Herder, un Goëthe. I lamenti di tanti romantici vogliono ricreare l'Eliso che, mentre riappare perfetto e ideale, èirrimediabilmente scomparso. E' questo, in fondo, il carattere delle evocazioni nostalgiche del romanticismo italiano.
Alla base di questo anelito all'equilibrio di un passato mitico, c'è l'esaltazione della bellezza, materializzata nella Grecia antica dello Schiller, celebrata dal Lessing, dal Goëthe, dal Keats dell'Hyperion, dall'Hölderlin delle Liriche dell'anelito verso il ritorno dell'Ellade nel mondo, dal Foscolo delle Grazie, dal primo Leopardi, soprattutto quello del Bruto minore, di Alla primavera, dell'Inno ai patriarchi e dell'Ultimo canto di Saffo, e dal Manzoni delle poesie giovanili, come Adda, Contro la poesia e il gusto del tempo e Urania.
Ma in realtà il poeta maltese non si serve della mitologia per rievocare la grandezza virtuosa del mondo antico, e neanche per contemplare una classicità che è suprema perché è pagana. Tenendo in mente l'interpretazione crociana, si può dire che Dun Karm "proietta" mitologicamente un suo "stato d'animo" (7). In altri termini, Dun Karm romanticizza il classico, ed essendo lui tiri cristiano cristianizza romanticamente il classico.
Il bisogno di provare il meraviglioso e l'infinità degli spiriti misteriosi, conducono all'insinuarsi di una nuova mitologia. Questa dinamica è del tutto montiana. Abbozzando un parallelo tra lo spirito poetico di Omero e di David, concepiti come i massimi rappresentanti della poesia pagana e religiosa, il Monti stesso dà un giudizio che può essere utilissimo per giustificare la posizione dunkarmiana di fronte all'uso della mitologia nello svolgimento di argomenti mistici: "Nell'Iliade viene in campo Giove con una truppa di numi che sono in lite fra loro, che si strapazzano e si feriscono, e restano essi feriti da braccio mortale, ed hanno qualche volta paura di morire; che trasgrediscono i divieti dello stesso Giove, e lo addormentano per dar delle busse con libertà ai Troiani da lui protetti. Negli inni sacri si fa innanzi il Signore, il dio degli eserciti. Innumerevoli angeli e cherubini mille volte più rilucenti dei raggi del sole lo circondano, e con le ali si coprono per riverenza la faccia; ne cantano incessantemente la gloria e l'onnipotenza [ ... ]. Nell'Iliade vedesi Giove che dal monte Ida vibra tuonando dei fulmini spaventosi davanti ai cavalli di Diomede e nel mezzo di tutto l'esercito greco. Negl'inni sacri mirasi Dio che discende a punire i nemici del suo popolo eletto. I cieli s'incurvano sotto il peso de' suoi piedi, l'universo traballa e minaccia di ricadere nel caos secondo. I venti lo pigliano sopra le ali; i tuoni gli ruggiscono sotto le piante: i lampi, i fulmini le tempeste gli fanno d'intorno un terribile e spaventoso corteggio, e le nuvole percosse dal foco che gli esce dalla faccia s'infiammano come carboni roventi [ ... ]. Dove si trovano immagini più ricche e maestose di queste?" (8).
A. G. Schlegel definiva la poesia romantica "poesia della nostalgia". Entro questi limiti, l'anima cristiana anela ad uno spettacolo religioso concepito paganamente per tradurre i concetti in immagini, l'ansia per la vittoria di Dio in una battaglia umana. Anche quando la terra promessa non èmitologizzata, la contemplazione è almeno sempre retorica, e la spettacolarità sempre sensuale:

Nei ciechi abissi
del Tartaro s'udì e le pesanti
ferree porte tremar e di catene
e di pianti e di guai un tal levossi
rumor che l'aer ne rimbomba ancora.
Lo sentir i monarchi e la corona
posando a terra, reclinar il capo
al grande Correttor della vincente
Repubblica di Cristo.
(9)

La tensione verbale anima la descrizione del quadro evangelico. Ad esempio, la sceneggiatura della morte di Cristo è esteriormente fosca, accumula i rumori, e i suoi aspetti teatrali declamano, colpiscono i sensi, ma non il cuore del credente:

Ma al suo morire crebbero
gli orror di notte bruna,
le stelle si nascosero,
s'insanguinò la luna,
e delle tombe gelide
si schiusero le porte
e di laggiù risorte
le larve palpitar.
(10)

Di tutta la serie di personaggi e di luoghi mitologici che formano l'universo classico degli antichi, Dun Karm sceglie gli stessi che piacciono di più al Monti, ad esempio Giove (11), Marte (12) e Averno (13). Per i due poeti, però, il paradiso cristiano è Sionne (14).
L'ansia per la teatralità costringe i due poeti a tradurre particolari virtù cristiane in simboli di atteggiamenti morali, e ad incorporarli in figure umane che agiscono fortemente e giganteggiano sole nell'ambito di uno spettacolo che, in realtà, non è altro che una esteriorizzazione, pur essendo troppo eloquente e stilizzata, di un vigoroso spirito religioso, una conciliazione tra il mondo pagano e il cristianesimo.
Siccome queste personificazioni di qualità morali svolgono una funzione centrale in poesie religiose, è giusto considerarle come la manifestazione di un'esigenza poetica di formare romanticamente una nuova mitologia cristiana, accanto all'antica cristianizzata. Inoltre, dato che queste qualità personificate sono intimamente involute nello sviluppo di una visione religiosa assai polemica, perché si configura in una battaglia umana tra il principio del bene e quello del male, la fantasia tende platonicamente a dare più rilievo alle qualità negative o inferiori piuttosto che alle qualità positive. In altri termini, l'esigenza teatrale tende spesso ad innamorarsi troppo delle personificazioni di vizi, dando luogo così anche ad una romantica cristianizzazione della poetica del lugubre e del tetro. Nel caso specifico della poesia maltese, Dun Karm continua così la tradizione iniziata dai minori e svolta secondo gusti popolari e, innalzandola a livello letterario, la traduce in un altro elemento per la creazione del quadro metafisico.
Ad esempio, le forze negative nell'uomo sono trasformate in allegorie di vaste proporzioni che offrono alla fantasia diversi punti di copiosa rappresentazione:

Invidia
col Tradimento a lato
volge il cipiglio orribile
( … )
L'Ira e il Furor saltellano
il ferro in man stringendo,
corre Discordia e ovunque
mesce scompiglio orrendo.
(15)

Kienet ghassiesa tà I-ibwieb il-Hjiena,
qaddejja taghha, il-Ghawg, il-Qerq, il-Gidba.
(16)

[Era guardiana delle porte l'Astuzia,
e le sue serve, il Male, l'Inganno, la Menzogna].

Questa "congiura" spiega perché Dio, "l'infallibil Giove" per il Monti (17), e "Quei [ ... ] che il mondo fa tremar quando si sdegna" per Dun Karm (18), è un essere terribile. Tutti e due, in effetti, parlano più di una volta dell'ira di Dio (19).
Le nuove deità distruggitrici sono viste nella loro attività collegiale. Ma la maggiore tensione nasce quando queste sono poste in contrapposizione alle forze del bene, anch'esse personificate. La dialettica tra la virtù e il vizio, tra Dio e Satana, è più trattabile e offre maggiori spunti di sviluppi scenici. E' questa la scelta più cara al Monti e a Dun Karm. Il primo contrappone la Pietà e la Crudeltà, e il secondo l'Amore e la Crudeltà, la Virtù e la Nequizia:

Nude le braccia ed irto il crin, l'ingorda
Crudeltà d'ogn'intorno ivi scorrea,
( … )
E scuoteva il flagello, e respingea
lungi dal monte la Pietà; che in vano
piegar quei petti barbari volea.
(20)

Dove Virtù non curasi,
dov'è sul tron Nequizia.
(22)

U bdiet taqbida harxa
bejn il-Qilla u l-Imhabba.
(21)

[Ed ebbe inizio una dura battaglia
tra la crudeltà e l'amore].

Il gruppo delle qualità del bene (23) è formidabile, ugualmente rappresentabile nella sua solidarietà. Il Monti svolge un rapporto di intima concordia tra la Pietà e la Giustizia, e Dun Karm tra la Pace e la Giustizia:

E il favellar della Pietà commosse
anche il cor dell'eterna alta Giustizia.
(24)

Regghet sehhet ftehima qawwija,
Haqq u Sliema taw bewsa 'l xulxin.
(25)

[Si verificò di nuovo un forte accordo,
la Giustizia e la Pace si baciarono]

Pace e Giustizia risero
e si baciarono in faccia.
(26)

Si baciar, serene in fronte
Giustizia e Pace.
(27)

Dal Monti, Dun Karm prende almeno
due delle sue antonomasie per descrivere Dio:
"il Fattore" (28) e "il Fabbro" (29). Un ruolo particolare
in questo dramma religioso è affidato alla Chiesa cat
tolica, alle volte misticamente concepita
come la candida "sposa" di Dio (30), ma più
spesso è tradotta in un impero politico che domina la storia e sconfigge i nemici. In risposta al sonetto di Vittorio Alfieri del Monti svolge l'idea dell'impero attraverso l'insistenza su vocaboli politici, ad esempio stato, cattedra, senato, e giungendo verso la fine fonda questa concezione civile con la metafora della sposa. Dun Karm mette separatamente in rilievo la concezione imperiale, ma riecheggia la fusione in altre poesie:

Ma il ciel confonde la ragion degli empi;
né per novelle scosse e per vetuste
della sposa di Dio vacilla il seggio.
(31)

Saltniet waqghu, ohrajn telghu,
thiddlu n-nies, tbiddlu d-drawwiet,
u wehidha fuq il-herba
baqghet tiddi l-Knisja toighok.
(32)

[Caddero imperi, e altri si costruirono,
si trasformarono i popoli, si trasformarono i costumi,
e sola sulle rovine
continuava a risplendere la tua Chiesa].

Fuq il-herba tal-gnus u tal-grajja
inti, xbejba li qatt ma tixjieh,
tghaddi tidhak, mimlija bil-hajja,
fuq I-eghewwa d' gharqubek tistrieh.
(33)

[Sulla rovina delle nazioni e della storia
tu, vergine che mai non s'invecchia,
passi sorridente, piena di vita,
riposandoti con il calcagno sui nemici].

Ja tifla tal-kbir Alla
( ... )
Ibleh min jahseb, billi jxerred demmek,
sejjer jeqirdek; Dak li dejjem mieghek
jarmi l'imperi biex iwettaqIilek.
(34)

[O figlia del gran Dio
( ... )
E sciocco chi pensa che, spargendo il tuo sangue,
potrà distruggerti; Colui che è sempre con te
getta via gli imperi per rassodare te].

E' opportuno aprire qui una parentesi per rilevare il fatto che, accanto al quadro imperiale, Dun Karm delinea anche un quadro coreografico della Chiesa. Questo cristianesimo formale (rinnegato dal Tommaseo), che aveva influito tanto sul comportamento religioso di Chateaubriand (35), di Madame de Staël, di Pellico e di Berchet, pur non condizionando il significato universale della fede, è colto nel suo aspetto fantasioso e poetico (36). Tale orientamento religioso, pur non essendo una sostituzione al protestantesimo tedesco o al cristianesimo calvinista della Staël (perché il maltese si nutriva continuamente di una unica fede e affermava l'importanza fondamentale della prassi cattolica), offriva al poeta, come del resto al Manzoni, un altro fecondo filone di grandiosità immaginativa, una fonte di figurazione mitica. La Chiesa coreografica di Dun Karm, con la misteriosità insondabile dei dogmi, con le cerimonie pittoresche, con la sua lunga storia di persecuzioni e di vittorie avventurose, è al centro del progresso culturale del mondo civile. Mentre non nega ovviamente il fondamento intellettuale su cui si basa la dottrina, la sua Chiesa è romanticamente vista sotto l'aspetto emotivo e si appoggia su un cristianesimo che è, in primo luogo, un'esperienza sentimentale e personale.
Come Federico Schlegel, Dun Karm cercava nelle feste e nei coloriti rituali del cattolicesimo un carattere mitico della vita umana, una giustificazione all'ansia di misteriosità soprannaturale che, in ultima analisi, è insopprimibile in ogni romantico. Attraverso l'influenza della corrente francese sulla poesia italiana, Dun Karm dipinge una Chiesa che è in sé poetica.
Questa concezione ha un fondamento storico: per lui, come per Balbo, il cristianesimo è il principio inalienabile e insuperabile della verità, che si sta attuando progressivamente, perché la storia antica "è regrediente, mentre la cristiana è progrediente" (37). Muovendo da questa concezione agostiniana e bossuetiana della storia (che è sempre il motivo conduttore del suo giudizio storico-religioso del naufragio di San Paolo a Malta, ampiamente illustrato nelle opere che commemorano l'evento), Dun Karm è vicinissimo agli storici cattolici liberali dell'ottocento, particolarmente al Troya, al Tosti e al Capponi (38).
Una gran parte dell'effetto drammatico delle scene religiose, sensualmente concepite e svolte con mezzi letterari che mirano a sconvolgere e a commuovere, è indubbiamente dovuta alla netta contrapposizione di elementi contrastanti e opposti. Prendendo lo spunto dal brano biblico che parla della bellezza femminile di Maria Vergine, il Monti dipinge un quadro della Madre addolorata sul Golgota:

Tu non sei più quella
ch'eri poc'anzi, sì leggiadra e bella.
Dov'è la faccia rilucente e schietta
qual roseo volto di nascente aurora?
( … )
Così dunque tu sei la fortunata,
la benedetta fra l'ebree donzelle?
Così ten vai di gloria coronata
del ciel regina?
(39)

Mantenendo gli aspetti della descrizione montiana, Dun Karm ricrea in maltese un quadro del tutto identico. Il contrasto è anche qui tra l'incanto fisico celebrato dal profeta e la debolezza presente; il paragone rievoca le "ebree donzelle" e la tonalità oscilla tra la tonalità sentenziosa e la chiave interrogativa:

Fejn hu I-gmiel, fejn hu l-hajr li bih mimlija
il-profeti habbruk? Minn fuq haddejk
ghebu I-wardiet u fuq xofftejk id-dija
tad-dahka mietet ma lehhet ghajnejk.
Hekk, mela, fost kemm hawn xebbiet lhudija
kellek tkun l-isbah wahda; u minn idejk
kull barka xxerred u kull ferh, Marija?
(40)

[Dov'è la bellezza, dov'è la felicità
di cui hanno parlato i tuoi profeti? Dalle guance
è sparito il color rosa e sulle labbra è morto
lo splendore insieme alla vitalità degli occhi.
Così, dunque, fra tutte le giovani ebree
dovevi essere la più bella; e dovevi versare
dalle tue mani ogni bene e felicità, Maria?].

Tutta questa produzione, dunque, è colma di suoni violenti e di colori stravaganti. L'aggettivazione è numerosa e ricercata, e le ripetizioni, le riprese troppo evidenti; le esclamazioni, le interrogazioni retoriche contribuiscono globalmente a dare una energia quasi fisica all'argomento astratto e spirituale. Il gusto teatrale crea lo spettacolo invece del raccoglimento.
E' comune sia al Monti sia a Dun Karm un nucleo lessicale che è sempre in funzione della drammatizzazione della fede. L'enfasi dei sostantivi e degli aggettivi è su significati lugubri, mentre i verbi mirano a ingrandire e a scolpire l'azione. Sostantivi: fulmine, catene, furore, saetta, servitù, nemico, ombre, polvere, fato, fulgori, vendetta, disdegno, orror, fremito, infamia, procella, destino, aquilone, tuoni, sorte, guerra; aggettivi: maledetta, disperato, egro, orrendo, tenebroso, spaventoso, cupo, oscuro, lordo, maligno, bruno, infernale, irato, superno, fatale, regale, lugubre, augusto, terribile; verbi: palpitare, fremere, rimbombare, atterrare, guizzare, abbattere, spezzare, irritare.
La poesia italiana del primo Dun Karm, cioè del periodo che va dalla composizione dei primi versi nel 1889 fino al primo decennio del nuovo secolo, è in verità priva di un profondo contenuto umano, lontana da una crisi personale come costante punto di riferimento o fonte di ispirazione. La crisi subentra nel 1909 con la morte della madre, e culmina nel 1910 quando alcune riforme ecclesiastiche lo costringono a passare tutto il resto della vita in solitudine (41).
Nel 1912 questo avvicinarsi verso un contenuto intimo e sperimentato, che nell'evoluzione dell'artista si configura in un progressivo trapasso dal neoclassicismo, già anelante verso un rinnovamento sentimentale, ad un romanticismo evidentemente consapevole di sé, si trovò in grado di maturare e di prendere una identità propria, perché da quell'anno Dun Karm cominciò a sperimentare in maltese. Ciò sommariamente significa che, pur conservando il frutto delle esperienze precedenti sul Parnaso italiano, doveva sentire lo svantaggio dell'inesistenza di una ricca tradizione letteraria in vernacolo. Scrivere in maltese, oltre che in italiano, significava conservare un'identità italiana, ma soprattutto adattarla secondo le esigenze popolari e ambientali, e creare romanticamente, cioè secondo i dettami del cuore e non più secondo quelli della ragione calcolatrice.


NOTE
1) Di tutte le caratteristiche del Monti, Dun Karm sembra mettere di più in rilievo la raffinatezza delle descrizioni, l'armonia imitativa e gli elementi verbali che rendono scultorea la stia visione fantastica, e cita alcuni versi della Bellezza dell'Universo per confermare il suo giudizio (Cfr. Il monumento commemorativo del Congresso, "La Diocesi", a. II, vol. XI, 1918, nota 1, p. 322). In un altro brano, mentre svolge il concetto che il massimo valore di un artista sta più nell'omogeneità dell'insieme che nell'individualità, perfetta o imperfetta delle parti, riccheggia ciò che scrive il Monti stesso in Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti, in Scelta di componimenti drammatici e lirici, 32 edizione, a cura di G. B. Francesia, Torino, Libreria Salesiana, 1886, p. 189, a proposito dei difetti dei grandi poeti: "A chi è venuto mai in testa di dire senza difetti la poesia dell'Alighieri, la musica di Verdi, l'architettura di Michelangelo, la pittura di Raffaello? Ma chi dall'altro canto èstato mai così imbecille da dichiarare brutte le loro opere perché contengono qualche imperfezione? A certi critici che spregiavano il Paradiso perduto di Giovanni Milton perché ha dei difetti, così saggiamente rispondeva il poeta Monti: "Oh perché pescate le pagliuzze che nuotano alla superficie e non scendete a raccogliere i coralli che stanno al fondo? ( ... ) Ve n'ha di tali nel mondo che non sentirono mai l'ispirazione dell'arte, come non provarono mai il fascino della natura, e guarderebbero al Mosè di Michelangelo e alla Trasfigurazione di Raffaello colla stessa indifferenza colla quale guardarono tante volte alle incantevoli aurore nostre"" (Il monumento commemorativo del Congresso, "La Diocesi", a. II, vol. XII, 1918, p. 352). Intorno ad un giudizio so quella che il maltese considera la spontaneità montiana nella scelta dei metri adatti ad un particolare argomento, cfr. Ghaliex il-versi tat-tmienja fil-poeziia popolari, loc. cit., p. 108.
2) Cfr. Alla sera, v. 7, del Foscolo. La frase foscoliana è riecheggiata anche in Lampa ckejna, v. 37.
3) Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti, loc. cit., p. 186.
4) L-ghagla u l-arti, "Il-Malti", sett. 1937, pp. 88-89. Lo Zanella asserisce che "la novità in arte, il più delle volte, non è che orgoglio di immagini mezzane; le quali, inette a battere le strade regali, gettandosi per obliqui sentieri, puerilmente s'immaginano di toccare le somme altezze" (Vita di Andrea Palladio, Milano, Hoepli, 1880, p. 111). Anche il Guerrazzi aveva proposto la sua opposizione alla denominazione di classico e di romantico. Lo stesso Banville scrive: "En poèsie et en littérature je crois qu'il n'existe ni romantiques, ni classiques, ni fantaisistes, ni réalistes, ni naturalistes, ni simplicistes, ni magiciens du style, et qu'en tout et pour tout, il y a seulement de bons et de mauvais écrivains" (citato da A. FARINELLI, Il romanticismo nel mondo latino, Torino, Fratelli Bocca, 1927, p. 24).
5) Un amico ... caro, in "La Palestra del Seminarista", a. I, vol. III, 1901, p. 55. Una tale conciliazione tra l'antico e il moderno, a cui consentivano i poeti che scrivevano in Italia nei decenni che varino a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, particolarmente il Foscolo, il Monti e il Fantoni, è il nucleo centrale del parere che Ippolito Pindemonte rivolge all'autore dei Sepolcri:"antica l'arte / onde vibri il tuo stral, ma non antico / sia l'oggetto in cui miri" (I sepolcri, vv. 351-353). Il De Cristoforis afferma: "Colui adunque sarà savio apprezzatore degli antichi, che seguirà l'arte loro, e non la materia" (Recensione a Sulla poesia-sermone di Giovanni Torti, Dal Conciliatore, a cura di P. A. Menzio, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1921, p. 78).
6) "Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io sia classico o romantico; e ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono né voglio essere né romantico, né classico, ma adatto ai tempi e ai bisogni della ragione, del gusto e della morale" (G. D. ROMAGNOSI, Della poesia considerata rispetto alle diverse età delle nazioni, Testi di poetica romantica, F. ALLEVI ed., Milano, Marzorati, 1960, pp. 236-237).
7) B. CROCE, Discorsi di varia filosofia, Bari, Laterza, 1943, p. 159
8) Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti, loc. cit., pp. 187-188.
9) Nel giubileo episcopale di Leone XIII, vv. 122-130. Del Monti cfr., ad esempio, Discesa di Cristo all'inferno e al limbo, vv, 3-8.
10) Per novello sacerdote - I, vv. 57-64. Per un simile sfoggio di copiosa spettacolarità nel trattamento dello stesso argomento dal Monti, cfr. Per la Passione di nostro Signore, vv. 115-123.
11) Monti: Al signor di Monigolfier, v. 140; Invito d'un solitario ad un cittadino, v. 58; Sulla mitologia, v. 117; Dun Karm: Il-X tà Frar, 1926, v. 13; Il naufragio di San Paolo a Malta, v. 13; Cristo, vv. 69, 83.
12)Monti: Sopra la morte, v. 9; Dopo la battaglia di Marengo, v. 41; Dun Karm: Per novello sacerdote-I v. 82.
13) Monti: Discesa di Cristo all'inferno e al limbo, v. 11; Sulla molle di Giuda, v. 8; Su la rigenerazione della Grecia, v. 38; Dun Karm: A Maria Immacolata, v. 37; La Chiesa e Leone XIII, v. 78. Mentre il Monti cristianizza anche Acheronte (Sulla morte di Giuda, v. 14), Stige (Ibid., v. 27) e Cocito (1bid., v. 35), Dun Karm cristianizza Tartaro (Nel giubileo episcopale di Leone XIII, v. 123).
14) Monti: Sopra i dolori di Maria Vergine, v. 12; Dun Karm: Lil Malta tallum u tà ghada, v. 44.
15) Mestizia e timore, vv. 29-31, 33-36.
16) Paci u gwerra, vv. 63-64.
17) Il giorno, v. 18.
18) La predicazione evangelica, vv. 13-15.
19) Monti: Su la rigenerazione della Grecia, v. 22; All'Italia, v. 1; Dun Karm: La Natività di Maria, v. 30; A Maria Immacolata, v. 78. Il Monti parla anche della "divina ira" (Pel santo Nalale, vv. 7-8), e Dun Karm dell'"ira superna" (La frammassoneria in Malta, v. 62; Nel giubileo episcopale di Leone XIII, v. 89) e della "folgore divina" (La frammassoneria in Malta, v. 63) e il Manzoni dell'"ira giá grande di Dio", dell'"ira tremenda" (La Passione, vv. 78, 82) e di l'una ineffabile ira" (Il Natale, vv. 17-18).
20) Per la Passione di nostro Signore, vv. 19-24. Cfr. anche Urania, vv. 241-247, del Manzoni.
21) Is-Salib u Santa Liena, vv. 29-30.
22) Mestizia e timore, vv. 23-24.
23) Le più importanti per i due poeti sono: (i) l'Amore e (ii) la Giustizia, Cfr., del Monti: (i) Pel santo Natale, v. 9; Per la Passione di nostro Signore, v. 119; (ii) Sulla morte di Giuda, v. 10; Il terrorismo, v. 10; e di Dun Karm: (i) Il Natale, v. 45; Il mare, v. 24; A padre Charles Plater S.J, vv. 21, 24, 31, 39; Per il Congresso Eucaristico internazionale di Malta, v. 179; A Mons. Paolo Galea, vv. 57, 58; (ii) Il mare, v. 59; Mestizia e timore, v. 53; Lil Kristu Sultan, v. 16; Il Natale, v. 41.
24) Per la Passione di nostro Signore, vv. 104-105, Per tiri altro rapporto tra le due, cfr. Sopra i dolori di Maria Vergine, vv. 85-88.
25) Il-Milied, vv. 13-14.
26) il naufragio di San Paolo a Malta, vv. 49-50.
27) Per il Congresso Eucaristico internazionale di Malta, vv. 182-183.
28) Monti: Sopra i dolori di Maria Vergine, v, 12; Per la Passione di nostro Signore, v. 134; Dun Karm: Il Natale, v. 28. Cfr. anche Inferno, III, v. 4 e Il cinque maggio, v. 34, del Manzoni.
29) Monti: La bellezza dell'universo, v. 54; Dun Karm: Alla Croce, v. 86; Per novello sacerdote-Il, v. 39.
30) Monti: Per la sollevazione di Roma, v. 2; Dun Karm: La Chiesa e Leone XIII, v. 56.1 Per novello sacerdote-Il, v. 122; La predicazione evangelica, v. 10; La frammassoneria in Malta, v. 15; Nel giubileo episcopale di Leone XIII, v. 1; Ancora l'alpinista vv. 36, 38; La dignità episcopale, v. 86. Cfr. anche Paradiso, XI, v. 32 e XII, v. 43.
31) In risposta al sonetto di Vittorio Alfieri, vv. 12-14.
32) Dan min hu? vv. 53-57.
33) Il-Knisja, vv. 1-4.
34) Lil-Knisja, vv. 1, 12-14.
35) Guzè Aquilina, il critico più importante dell'epoca, è probabilmente lo scrittore che ha diffuso di più il messaggio emotivo-religioso di Le genie du Christianisme, dal quale cita il seguente brano per abbozzare la sua visione estetico-morale dell'arte: "il est temps qu'on sache enfin à qui se reduisent tous les reproches ( ... ) qu'on fait tous les jokurs au Christianisme; il est temps de montrer que loin de repetiser le pensée, il se pret merveilleusement aux choses de l'âme et peut enchanter d'esprit aussi divinement que tous le poemes de Virgile et d'Homere" (Il-polz tà Malta, 2° ed., Malta, A. C. Aquilina & Co., 1969, p. 222).
36) Cfr., ad esempio, La dignità episcopale, Xemgha, Il-Vjatku Il-lampa tassagrament, Wara hamsa u gboxrin sena, II-Ghid tà l-imwiet, Il-monument, Corpus Domini, Nhar San Gwann.
37) C. BALBO, Le speranze d'Italia, Torino, Unione Tipografico-Editrice 1920, p. 204. Delle varie opere in cui Dun Karm espone questo giudizio, cfr. Lil Santu Wistin, Lill-Knisja, Dan min bu?, Per novello sacerdote-I, La predicazione evangelica, Alla Croce, La Chiesa e Leone XIII, Cristo, Il-musbieh talInuze".
38) Dall'altro canto, è contrario alla concezione anti-cattolica del Carducci, come rivelano il contenuto e il tono apertamente polemico del seguente brano: "Tranne qualche cervello eteroclito, gli uomini consentivano e consentono trovarsi la vera grandezza di un re, di un popolo, di una nazione nel farsi rispettare ed amare più che nel farsi temere: per cui nessuno, il quale avesse fior di senno, sognò mai di dir grandi Antioco, Nerone, Maometto, i quali posero la loro ragione nel numero dei soldati e nella punta delle spade. Tuttavia l'italianissimo caposcuola del moderno verismo, Giosuè Carducci, spasimante per la gloria della giovane Italia, dissente e vuol tutto a rovescio. Egli compiange la picciolezza di Roma odierna, cattolica, apostolica, la quale domina sovra tutto il inondo, ma colla bontà e colla ragione: e invoca la grandezza e magnificenza dell'antica, pagana, battagliera, le Cui aquile portavano l'artiglio sanguinoso sulle più remote spiagge del mondo. Per cui in una delle sue odi barbare intitolata Alle fonti del Clitumno, ci non esita punto di dire che una strana compagnia (alludendo, credo io, agli Apostoli) sovra i campi del lavoro umano / sonanti e i clivi memori d'impero / fece deserto, ed il deserto disse / regno di Dio; perché egli, tutto compassione, si lamenta che Roma "più non trionfa". Ma sì, parli il buon popolo romano, che ( ... ) vide giungere al Santo Padre pellegrinaggi fin dagli estremi angoli del mondo e poi lettere, telegrammi, offerte, attestazioni di venerazione e eli ossequio da vescovi, da re, da imperatori e da uomini di gran rinomanza; parli, dico io, se Roma trionfi ancora, parli se il principe degli apostoli abbia fatto di Roma un deserto, o piuttosto la metropoli del mondo" (Foglie d'alloro, Malta, Alessandro A. Farrugia, 1896, nota 1, p.99).
Prendendo lo spunto da un'asserzione del Discours sur l'histoire universelle del Bossuet, Dun Karm propone nella saffica Cristo del 1911 un'altra risposta ideale contro la presa di posizione anticristiana del Carducci.
39) Sopra i dolori di Maria Vergine, vv. 29-40.
40) ld-duluri, vv. 1-8.
41) Cfr. G. CARDONA, Dun Karm - bajtu u hidmietu, Malta, Klabb Kotba Mattin, 1972, pp. 67-72.


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