Uno
dei sonetti che Dun Karm Psaila (1871-1961), alias Dun Karm, incluse
nella raccolta giovanile Foglie d'alloro (1896) è dedicato A
Vincenzo Monti. Oltre a mostrare una chiara aderenza alla limpida classicità
montiana, il sonetto dichiara la riverenza di un nuovo poeta verso un
grande modello (1):
Quando al chiarore
di notturno lume
mentre grato ai mortali il sonno scende (2),
dispiego, o Monti, il ricco tuo volume
e nel tuo gran pensier l'anima intende.
Io ti vedo
spiegar l'agili piume
alle regioni ove il fulmine s'accende
e teco mi trascini ed il costume
oblio del mondo e solo il ciel mi splende.
Quindi mi balza
il cor, quindi dal seno
una voce mi sfugge; o dell'Ausonio
Apollineo ciel astro sereno,
Te dal Baltico
mar fino all'Jonio
imiti Europa e le castalìe Dive,
rasciutto il pianto, torneran giulive.
Il Monti che qui
piace tanto a Dun Karm è il pittore delle scene mitiche, il
nostalgico incurabile che alimenta la propria fantasia di visioni
gigantesche ricavate dalla storia antica, l'artista che costruisce
personaggi e avvenimenti con l'intento di fabbricare un vasto spettacolo
che a volte sembra terribile, a volte è incantevole, ma sempre
irraggiungibile, posto in una sfera al di là del vero storico.
Il Monti creatore di gesti teatrali e di figure drammatiche, pur essendo
spesso personaggi religiosi, sta offrendo al giovane poeta un universo
pieno di aspirazioni all'eroico. A causa della sua inalienabile preparazione
religiosa, Dun Karm poteva facilmente vedere nel Monti un maestro
che, pur utilizzando gli elementi della spettacolarità classica,
essenzialmente pagana, era al tempo stesso capace di plasmarli in
mezzi adatti alla costruzione di un dramma metafisico. Sotto questo
aspetto, la detta aspirazione delinea un Monti che si trova nel momento
storico del trapasso dal gusto classico al gusto romantico. Recependo
le componenti della spettacolarità tradizionale, Dun Karm poteva
anche lui adoperarli secondo i dettami di un'aspirazione del tutto
cristiana, cioè moderna e romantica.
In netta contrapposizione alla distinzione, promulgata da A. G. Schlegel
e da Madame De Staël, tra le due categorie di bellezza - cioè
il classico (degli antichi) e il romantico (dei moderni) -, il Monti
dichiara che egli legge "con trasporto tutti i buoni maestri"
e che le bellezze di un poeta non gli impediscono di sentire e di
ammirare le bellezze di un altro: "[ ... ] o italiana, o transalpina,
o cinese o araba che ella sia, fosse pur anche groenlandica, la poesia
mi piace tutta, purché la trovi buona" (3).
Si avvertono echi di questa posizione in Dun Karm, che afferma che
"nel campo delle arti le novità non sono altro che fantasticherie
e vane apparizioni di una bellezza che non esiste se non nell'immaginazione
di chi la crea; il mondo non cerca di vedere se una poesia sia moderna
o classica o neoclassica, ma desidera avere una buona poesia"
(4). Ma aggiunge altrove che, pur non facendo questioni su nomi come
Classicismo, Romanticismo o Verismo, perché tutti hanno qualche
cosa di buono, "sarei matto se volessi passare per buone certe
pedanterie e certe monotone cadenze alle poesie classiche; come quella
di dividere le ottave per distici, di mettere il punto fermo dopo
ciascuna stanza, di imitare servilmente gli antichi modelli e di non
metterci niente che in quelli non si trovi [ ... ], ma poi non bisogna
allontanarsene tanto da proscrivere e sentenziare a morte sommariamente
tutto ciò che sa di classico" (5).
Dun Karm, dunque, tenta di superare la crisi suggerita dalla dialettica
tra il classico e il romantico, ma avanza costantemente verso il secondo,
salvando il deposito della tradizione e manipolando le "morte"
forme secondo le esigenze di un "nuovo", contenuto, voluto
da nuovi tempi e da nuove condizioni.
Secondo l'autodefinizione del Romagnosi, anche lui contrario alla
divisione di classico e di romantico, Dun Karm sarebbe un "ilichiastico"
(6), come del resto ampiamente confermano diversi brani della sua
poetica.
Siccome l'isola, chiusa in sé, lontana dalle ultime aperture
tecniche e tematiche del nuovo secolo, aveva una salda tradizione
cristiana (e il romanticismo è fondamentalmente un movimento
cristiano, se non addirittura cattolico), Dun Karm, sempre fedele
al principio ottocentesco che la poesia deve rispecchiare l'andamento
della società contemporanea e cantare il suo carattere, non
poteva prescindere sia dall'aspetto monolitico della vita religiosa
maltese, sia dalla ferma adesione della classe colta alla cultura
neoclassica.
Ciò spiega perché le sue prime opere sono sature di
rievocazioni appassionate e nostalgiche del mondo classico, e manifestano
un accorato rimpianto di un paradiso perduto. Ma anche sotto questo
aspetto, il primo Dun Karm si muove nei limiti del romanticismo. La
patria cristiana del poeta èculturalmente e geograficamente
mediterranea, e il Mediterraneo si configurava in un sogno affascinante
per uno Schiller, un Herder, un Goëthe. I lamenti di tanti romantici
vogliono ricreare l'Eliso che, mentre riappare perfetto e ideale,
èirrimediabilmente scomparso. E' questo, in fondo, il carattere
delle evocazioni nostalgiche del romanticismo italiano.
Alla base di questo anelito all'equilibrio di un passato mitico, c'è
l'esaltazione della bellezza, materializzata nella Grecia antica dello
Schiller, celebrata dal Lessing, dal Goëthe, dal Keats dell'Hyperion,
dall'Hölderlin delle Liriche dell'anelito verso il ritorno dell'Ellade
nel mondo, dal Foscolo delle Grazie, dal primo Leopardi, soprattutto
quello del Bruto minore, di Alla primavera, dell'Inno ai patriarchi
e dell'Ultimo canto di Saffo, e dal Manzoni delle poesie giovanili,
come Adda, Contro la poesia e il gusto del tempo e Urania.
Ma in realtà il poeta maltese non si serve della mitologia
per rievocare la grandezza virtuosa del mondo antico, e neanche per
contemplare una classicità che è suprema perché
è pagana. Tenendo in mente l'interpretazione crociana, si può
dire che Dun Karm "proietta" mitologicamente un suo "stato
d'animo" (7). In altri termini, Dun Karm romanticizza il classico,
ed essendo lui tiri cristiano cristianizza romanticamente il classico.
Il bisogno di provare il meraviglioso e l'infinità degli spiriti
misteriosi, conducono all'insinuarsi di una nuova mitologia. Questa
dinamica è del tutto montiana. Abbozzando un parallelo tra
lo spirito poetico di Omero e di David, concepiti come i massimi rappresentanti
della poesia pagana e religiosa, il Monti stesso dà un giudizio
che può essere utilissimo per giustificare la posizione dunkarmiana
di fronte all'uso della mitologia nello svolgimento di argomenti mistici:
"Nell'Iliade viene in campo Giove con una truppa di numi che
sono in lite fra loro, che si strapazzano e si feriscono, e restano
essi feriti da braccio mortale, ed hanno qualche volta paura di morire;
che trasgrediscono i divieti dello stesso Giove, e lo addormentano
per dar delle busse con libertà ai Troiani da lui protetti.
Negli inni sacri si fa innanzi il Signore, il dio degli eserciti.
Innumerevoli angeli e cherubini mille volte più rilucenti dei
raggi del sole lo circondano, e con le ali si coprono per riverenza
la faccia; ne cantano incessantemente la gloria e l'onnipotenza [
... ]. Nell'Iliade vedesi Giove che dal monte Ida vibra tuonando dei
fulmini spaventosi davanti ai cavalli di Diomede e nel mezzo di tutto
l'esercito greco. Negl'inni sacri mirasi Dio che discende a punire
i nemici del suo popolo eletto. I cieli s'incurvano sotto il peso
de' suoi piedi, l'universo traballa e minaccia di ricadere nel caos
secondo. I venti lo pigliano sopra le ali; i tuoni gli ruggiscono
sotto le piante: i lampi, i fulmini le tempeste gli fanno d'intorno
un terribile e spaventoso corteggio, e le nuvole percosse dal foco
che gli esce dalla faccia s'infiammano come carboni roventi [ ...
]. Dove si trovano immagini più ricche e maestose di queste?"
(8).
A. G. Schlegel definiva la poesia romantica "poesia della nostalgia".
Entro questi limiti, l'anima cristiana anela ad uno spettacolo religioso
concepito paganamente per tradurre i concetti in immagini, l'ansia
per la vittoria di Dio in una battaglia umana. Anche quando la terra
promessa non èmitologizzata, la contemplazione è almeno
sempre retorica, e la spettacolarità sempre sensuale:
Nei ciechi
abissi
del Tartaro s'udì e le pesanti
ferree porte tremar e di catene
e di pianti e di guai un tal levossi
rumor che l'aer ne rimbomba ancora.
Lo sentir i monarchi e la corona
posando a terra, reclinar il capo
al grande Correttor della vincente
Repubblica di Cristo. (9)
La tensione verbale
anima la descrizione del quadro evangelico. Ad esempio, la sceneggiatura
della morte di Cristo è esteriormente fosca, accumula i rumori,
e i suoi aspetti teatrali declamano, colpiscono i sensi, ma non il
cuore del credente:
Ma al suo morire
crebbero
gli orror di notte bruna,
le stelle si nascosero,
s'insanguinò la luna,
e delle tombe gelide
si schiusero le porte
e di laggiù risorte
le larve palpitar. (10)
Di tutta la serie
di personaggi e di luoghi mitologici che formano l'universo classico
degli antichi, Dun Karm sceglie gli stessi che piacciono di più
al Monti, ad esempio Giove (11), Marte (12) e Averno (13). Per i due
poeti, però, il paradiso cristiano è Sionne (14).
L'ansia per la teatralità costringe i due poeti a tradurre
particolari virtù cristiane in simboli di atteggiamenti morali,
e ad incorporarli in figure umane che agiscono fortemente e giganteggiano
sole nell'ambito di uno spettacolo che, in realtà, non è
altro che una esteriorizzazione, pur essendo troppo eloquente e stilizzata,
di un vigoroso spirito religioso, una conciliazione tra il mondo pagano
e il cristianesimo.
Siccome queste personificazioni di qualità morali svolgono
una funzione centrale in poesie religiose, è giusto considerarle
come la manifestazione di un'esigenza poetica di formare romanticamente
una nuova mitologia cristiana, accanto all'antica cristianizzata.
Inoltre, dato che queste qualità personificate sono intimamente
involute nello sviluppo di una visione religiosa assai polemica, perché
si configura in una battaglia umana tra il principio del bene e quello
del male, la fantasia tende platonicamente a dare più rilievo
alle qualità negative o inferiori piuttosto che alle qualità
positive. In altri termini, l'esigenza teatrale tende spesso ad innamorarsi
troppo delle personificazioni di vizi, dando luogo così anche
ad una romantica cristianizzazione della poetica del lugubre e del
tetro. Nel caso specifico della poesia maltese, Dun Karm continua
così la tradizione iniziata dai minori e svolta secondo gusti
popolari e, innalzandola a livello letterario, la traduce in un altro
elemento per la creazione del quadro metafisico.
Ad esempio, le forze negative nell'uomo sono trasformate in allegorie
di vaste proporzioni che offrono alla fantasia diversi punti di copiosa
rappresentazione:
Invidia
col Tradimento a lato
volge il cipiglio orribile
(
)
L'Ira e il Furor saltellano
il ferro in man stringendo,
corre Discordia e ovunque
mesce scompiglio orrendo. (15)
Kienet ghassiesa
tà I-ibwieb il-Hjiena,
qaddejja taghha, il-Ghawg, il-Qerq, il-Gidba. (16)
[Era guardiana
delle porte l'Astuzia,
e le sue serve, il Male, l'Inganno, la Menzogna].
Questa "congiura"
spiega perché Dio, "l'infallibil Giove" per il Monti
(17), e "Quei [ ... ] che il mondo fa tremar quando si sdegna"
per Dun Karm (18), è un essere terribile. Tutti e due, in effetti,
parlano più di una volta dell'ira di Dio (19).
Le nuove deità distruggitrici sono viste nella loro attività
collegiale. Ma la maggiore tensione nasce quando queste sono poste
in contrapposizione alle forze del bene, anch'esse personificate.
La dialettica tra la virtù e il vizio, tra Dio e Satana, è
più trattabile e offre maggiori spunti di sviluppi scenici.
E' questa la scelta più cara al Monti e a Dun Karm. Il primo
contrappone la Pietà e la Crudeltà, e il secondo l'Amore
e la Crudeltà, la Virtù e la Nequizia:
Nude le braccia
ed irto il crin, l'ingorda
Crudeltà d'ogn'intorno ivi scorrea,
(
)
E scuoteva il flagello, e respingea
lungi dal monte la Pietà; che in vano
piegar quei petti barbari volea. (20)
Dove Virtù
non curasi,
dov'è sul tron Nequizia. (22)
U bdiet taqbida
harxa
bejn il-Qilla u l-Imhabba. (21)
[Ed ebbe inizio
una dura battaglia
tra la crudeltà e l'amore].
Il gruppo delle
qualità del bene (23) è formidabile, ugualmente rappresentabile
nella sua solidarietà. Il Monti svolge un rapporto di intima
concordia tra la Pietà e la Giustizia, e Dun Karm tra la Pace
e la Giustizia:
E il favellar
della Pietà commosse
anche il cor dell'eterna alta Giustizia. (24)
Regghet sehhet
ftehima qawwija,
Haqq u Sliema taw bewsa 'l xulxin. (25)
[Si verificò
di nuovo un forte accordo,
la Giustizia e la Pace si baciarono]
Pace e Giustizia
risero
e si baciarono in faccia. (26)
Si baciar,
serene in fronte
Giustizia e Pace. (27)
Dal Monti, Dun
Karm prende almeno
due delle sue antonomasie per descrivere Dio:
"il Fattore" (28) e "il Fabbro" (29). Un ruolo
particolare
in questo dramma religioso è affidato alla Chiesa cat
tolica, alle volte misticamente concepita
come la candida "sposa" di Dio (30), ma più spesso
è tradotta in un impero politico che domina la storia e sconfigge
i nemici. In risposta al sonetto di Vittorio Alfieri del Monti svolge
l'idea dell'impero attraverso l'insistenza su vocaboli politici, ad
esempio stato, cattedra, senato, e giungendo verso la fine fonda questa
concezione civile con la metafora della sposa. Dun Karm mette separatamente
in rilievo la concezione imperiale, ma riecheggia la fusione in altre
poesie:
Ma il ciel
confonde la ragion degli empi;
né per novelle scosse e per vetuste
della sposa di Dio vacilla il seggio. (31)
Saltniet waqghu,
ohrajn telghu,
thiddlu n-nies, tbiddlu d-drawwiet,
u wehidha fuq il-herba
baqghet tiddi l-Knisja toighok. (32)
[Caddero imperi,
e altri si costruirono,
si trasformarono i popoli, si trasformarono i costumi,
e sola sulle rovine
continuava a risplendere la tua Chiesa].
Fuq il-herba
tal-gnus u tal-grajja
inti, xbejba li qatt ma tixjieh,
tghaddi tidhak, mimlija bil-hajja,
fuq I-eghewwa d' gharqubek tistrieh. (33)
[Sulla rovina
delle nazioni e della storia
tu, vergine che mai non s'invecchia,
passi sorridente, piena di vita,
riposandoti con il calcagno sui nemici].
Ja tifla tal-kbir
Alla
( ... )
Ibleh min jahseb, billi jxerred demmek,
sejjer jeqirdek; Dak li dejjem mieghek
jarmi l'imperi biex iwettaqIilek. (34)
[O figlia del
gran Dio
( ... )
E sciocco chi pensa che, spargendo il tuo sangue,
potrà distruggerti; Colui che è sempre con te
getta via gli imperi per rassodare te].
E' opportuno aprire
qui una parentesi per rilevare il fatto che, accanto al quadro imperiale,
Dun Karm delinea anche un quadro coreografico della Chiesa. Questo
cristianesimo formale (rinnegato dal Tommaseo), che aveva influito
tanto sul comportamento religioso di Chateaubriand (35), di Madame
de Staël, di Pellico e di Berchet, pur non condizionando il significato
universale della fede, è colto nel suo aspetto fantasioso e
poetico (36). Tale orientamento religioso, pur non essendo una sostituzione
al protestantesimo tedesco o al cristianesimo calvinista della Staël
(perché il maltese si nutriva continuamente di una unica fede
e affermava l'importanza fondamentale della prassi cattolica), offriva
al poeta, come del resto al Manzoni, un altro fecondo filone di grandiosità
immaginativa, una fonte di figurazione mitica. La Chiesa coreografica
di Dun Karm, con la misteriosità insondabile dei dogmi, con
le cerimonie pittoresche, con la sua lunga storia di persecuzioni
e di vittorie avventurose, è al centro del progresso culturale
del mondo civile. Mentre non nega ovviamente il fondamento intellettuale
su cui si basa la dottrina, la sua Chiesa è romanticamente
vista sotto l'aspetto emotivo e si appoggia su un cristianesimo che
è, in primo luogo, un'esperienza sentimentale e personale.
Come Federico Schlegel, Dun Karm cercava nelle feste e nei coloriti
rituali del cattolicesimo un carattere mitico della vita umana, una
giustificazione all'ansia di misteriosità soprannaturale che,
in ultima analisi, è insopprimibile in ogni romantico. Attraverso
l'influenza della corrente francese sulla poesia italiana, Dun Karm
dipinge una Chiesa che è in sé poetica.
Questa concezione ha un fondamento storico: per lui, come per Balbo,
il cristianesimo è il principio inalienabile e insuperabile
della verità, che si sta attuando progressivamente, perché
la storia antica "è regrediente, mentre la cristiana è
progrediente" (37). Muovendo da questa concezione agostiniana
e bossuetiana della storia (che è sempre il motivo conduttore
del suo giudizio storico-religioso del naufragio di San Paolo a Malta,
ampiamente illustrato nelle opere che commemorano l'evento), Dun Karm
è vicinissimo agli storici cattolici liberali dell'ottocento,
particolarmente al Troya, al Tosti e al Capponi (38).
Una gran parte dell'effetto drammatico delle scene religiose, sensualmente
concepite e svolte con mezzi letterari che mirano a sconvolgere e
a commuovere, è indubbiamente dovuta alla netta contrapposizione
di elementi contrastanti e opposti. Prendendo lo spunto dal brano
biblico che parla della bellezza femminile di Maria Vergine, il Monti
dipinge un quadro della Madre addolorata sul Golgota:
Tu non sei
più quella
ch'eri poc'anzi, sì leggiadra e bella.
Dov'è la faccia rilucente e schietta
qual roseo volto di nascente aurora?
(
)
Così dunque tu sei la fortunata,
la benedetta fra l'ebree donzelle?
Così ten vai di gloria coronata
del ciel regina? (39)
Mantenendo gli
aspetti della descrizione montiana, Dun Karm ricrea in maltese un
quadro del tutto identico. Il contrasto è anche qui tra l'incanto
fisico celebrato dal profeta e la debolezza presente; il paragone
rievoca le "ebree donzelle" e la tonalità oscilla
tra la tonalità sentenziosa e la chiave interrogativa:
Fejn hu I-gmiel,
fejn hu l-hajr li bih mimlija
il-profeti habbruk? Minn fuq haddejk
ghebu I-wardiet u fuq xofftejk id-dija
tad-dahka mietet ma lehhet ghajnejk.
Hekk, mela, fost kemm hawn xebbiet lhudija
kellek tkun l-isbah wahda; u minn idejk
kull barka xxerred u kull ferh, Marija? (40)
[Dov'è
la bellezza, dov'è la felicità
di cui hanno parlato i tuoi profeti? Dalle guance
è sparito il color rosa e sulle labbra è morto
lo splendore insieme alla vitalità degli occhi.
Così, dunque, fra tutte le giovani ebree
dovevi essere la più bella; e dovevi versare
dalle tue mani ogni bene e felicità, Maria?].
Tutta questa produzione,
dunque, è colma di suoni violenti e di colori stravaganti.
L'aggettivazione è numerosa e ricercata, e le ripetizioni,
le riprese troppo evidenti; le esclamazioni, le interrogazioni retoriche
contribuiscono globalmente a dare una energia quasi fisica all'argomento
astratto e spirituale. Il gusto teatrale crea lo spettacolo invece
del raccoglimento.
E' comune sia al Monti sia a Dun Karm un nucleo lessicale che è
sempre in funzione della drammatizzazione della fede. L'enfasi dei
sostantivi e degli aggettivi è su significati lugubri, mentre
i verbi mirano a ingrandire e a scolpire l'azione. Sostantivi: fulmine,
catene, furore, saetta, servitù, nemico, ombre, polvere, fato,
fulgori, vendetta, disdegno, orror, fremito, infamia, procella, destino,
aquilone, tuoni, sorte, guerra; aggettivi: maledetta, disperato, egro,
orrendo, tenebroso, spaventoso, cupo, oscuro, lordo, maligno, bruno,
infernale, irato, superno, fatale, regale, lugubre, augusto, terribile;
verbi: palpitare, fremere, rimbombare, atterrare, guizzare, abbattere,
spezzare, irritare.
La poesia italiana del primo Dun Karm, cioè del periodo che
va dalla composizione dei primi versi nel 1889 fino al primo decennio
del nuovo secolo, è in verità priva di un profondo contenuto
umano, lontana da una crisi personale come costante punto di riferimento
o fonte di ispirazione. La crisi subentra nel 1909 con la morte della
madre, e culmina nel 1910 quando alcune riforme ecclesiastiche lo
costringono a passare tutto il resto della vita in solitudine (41).
Nel 1912 questo avvicinarsi verso un contenuto intimo e sperimentato,
che nell'evoluzione dell'artista si configura in un progressivo trapasso
dal neoclassicismo, già anelante verso un rinnovamento sentimentale,
ad un romanticismo evidentemente consapevole di sé, si trovò
in grado di maturare e di prendere una identità propria, perché
da quell'anno Dun Karm cominciò a sperimentare in maltese.
Ciò sommariamente significa che, pur conservando il frutto
delle esperienze precedenti sul Parnaso italiano, doveva sentire lo
svantaggio dell'inesistenza di una ricca tradizione letteraria in
vernacolo. Scrivere in maltese, oltre che in italiano, significava
conservare un'identità italiana, ma soprattutto adattarla secondo
le esigenze popolari e ambientali, e creare romanticamente, cioè
secondo i dettami del cuore e non più secondo quelli della
ragione calcolatrice.
NOTE
1) Di tutte le caratteristiche del Monti, Dun Karm sembra mettere
di più in rilievo la raffinatezza delle descrizioni, l'armonia
imitativa e gli elementi verbali che rendono scultorea la stia visione
fantastica, e cita alcuni versi della Bellezza dell'Universo per confermare
il suo giudizio (Cfr. Il monumento commemorativo del Congresso, "La
Diocesi", a. II, vol. XI, 1918, nota 1, p. 322). In un altro
brano, mentre svolge il concetto che il massimo valore di un artista
sta più nell'omogeneità dell'insieme che nell'individualità,
perfetta o imperfetta delle parti, riccheggia ciò che scrive
il Monti stesso in Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti,
in Scelta di componimenti drammatici e lirici, 32 edizione, a cura
di G. B. Francesia, Torino, Libreria Salesiana, 1886, p. 189, a proposito
dei difetti dei grandi poeti: "A chi è venuto mai in testa
di dire senza difetti la poesia dell'Alighieri, la musica di Verdi,
l'architettura di Michelangelo, la pittura di Raffaello? Ma chi dall'altro
canto èstato mai così imbecille da dichiarare brutte
le loro opere perché contengono qualche imperfezione? A certi
critici che spregiavano il Paradiso perduto di Giovanni Milton perché
ha dei difetti, così saggiamente rispondeva il poeta Monti:
"Oh perché pescate le pagliuzze che nuotano alla superficie
e non scendete a raccogliere i coralli che stanno al fondo? ( ...
) Ve n'ha di tali nel mondo che non sentirono mai l'ispirazione dell'arte,
come non provarono mai il fascino della natura, e guarderebbero al
Mosè di Michelangelo e alla Trasfigurazione di Raffaello colla
stessa indifferenza colla quale guardarono tante volte alle incantevoli
aurore nostre"" (Il monumento commemorativo del Congresso,
"La Diocesi", a. II, vol. XII, 1918, p. 352). Intorno ad
un giudizio so quella che il maltese considera la spontaneità
montiana nella scelta dei metri adatti ad un particolare argomento,
cfr. Ghaliex il-versi tat-tmienja fil-poeziia popolari, loc. cit.,
p. 108.
2) Cfr. Alla sera, v. 7, del Foscolo. La frase foscoliana è
riecheggiata anche in Lampa ckejna, v. 37.
3) Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti, loc. cit., p.
186.
4) L-ghagla u l-arti, "Il-Malti", sett. 1937, pp. 88-89.
Lo Zanella asserisce che "la novità in arte, il più
delle volte, non è che orgoglio di immagini mezzane; le quali,
inette a battere le strade regali, gettandosi per obliqui sentieri,
puerilmente s'immaginano di toccare le somme altezze" (Vita di
Andrea Palladio, Milano, Hoepli, 1880, p. 111). Anche il Guerrazzi
aveva proposto la sua opposizione alla denominazione di classico e
di romantico. Lo stesso Banville scrive: "En poèsie et
en littérature je crois qu'il n'existe ni romantiques, ni classiques,
ni fantaisistes, ni réalistes, ni naturalistes, ni simplicistes,
ni magiciens du style, et qu'en tout et pour tout, il y a seulement
de bons et de mauvais écrivains" (citato da A. FARINELLI,
Il romanticismo nel mondo latino, Torino, Fratelli Bocca, 1927, p.
24).
5) Un amico ... caro, in "La Palestra del Seminarista",
a. I, vol. III, 1901, p. 55. Una tale conciliazione tra l'antico e
il moderno, a cui consentivano i poeti che scrivevano in Italia nei
decenni che varino a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, particolarmente
il Foscolo, il Monti e il Fantoni, è il nucleo centrale del
parere che Ippolito Pindemonte rivolge all'autore dei Sepolcri:"antica
l'arte / onde vibri il tuo stral, ma non antico / sia l'oggetto in
cui miri" (I sepolcri, vv. 351-353). Il De Cristoforis afferma:
"Colui adunque sarà savio apprezzatore degli antichi,
che seguirà l'arte loro, e non la materia" (Recensione
a Sulla poesia-sermone di Giovanni Torti, Dal Conciliatore, a cura
di P. A. Menzio, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1921, p. 78).
6) "Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io sia classico
o romantico; e ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno
a rispondervi che io non sono né voglio essere né romantico,
né classico, ma adatto ai tempi e ai bisogni della ragione,
del gusto e della morale" (G. D. ROMAGNOSI, Della poesia considerata
rispetto alle diverse età delle nazioni, Testi di poetica romantica,
F. ALLEVI ed., Milano, Marzorati, 1960, pp. 236-237).
7) B. CROCE, Discorsi di varia filosofia, Bari, Laterza, 1943, p.
159
8) Al chiarissimo monsignore Ennio Quirino Visconti, loc. cit., pp.
187-188.
9) Nel giubileo episcopale di Leone XIII, vv. 122-130. Del Monti cfr.,
ad esempio, Discesa di Cristo all'inferno e al limbo, vv, 3-8.
10) Per novello sacerdote - I, vv. 57-64. Per un simile sfoggio di
copiosa spettacolarità nel trattamento dello stesso argomento
dal Monti, cfr. Per la Passione di nostro Signore, vv. 115-123.
11) Monti: Al signor di Monigolfier, v. 140; Invito d'un solitario
ad un cittadino, v. 58; Sulla mitologia, v. 117; Dun Karm: Il-X tà
Frar, 1926, v. 13; Il naufragio di San Paolo a Malta, v. 13; Cristo,
vv. 69, 83.
12)Monti: Sopra la morte, v. 9; Dopo la battaglia di Marengo, v. 41;
Dun Karm: Per novello sacerdote-I v. 82.
13) Monti: Discesa di Cristo all'inferno e al limbo, v. 11; Sulla
molle di Giuda, v. 8; Su la rigenerazione della Grecia, v. 38; Dun
Karm: A Maria Immacolata, v. 37; La Chiesa e Leone XIII, v. 78. Mentre
il Monti cristianizza anche Acheronte (Sulla morte di Giuda, v. 14),
Stige (Ibid., v. 27) e Cocito (1bid., v. 35), Dun Karm cristianizza
Tartaro (Nel giubileo episcopale di Leone XIII, v. 123).
14) Monti: Sopra i dolori di Maria Vergine, v. 12; Dun Karm: Lil Malta
tallum u tà ghada, v. 44.
15) Mestizia e timore, vv. 29-31, 33-36.
16) Paci u gwerra, vv. 63-64.
17) Il giorno, v. 18.
18) La predicazione evangelica, vv. 13-15.
19) Monti: Su la rigenerazione della Grecia, v. 22; All'Italia, v.
1; Dun Karm: La Natività di Maria, v. 30; A Maria Immacolata,
v. 78. Il Monti parla anche della "divina ira" (Pel santo
Nalale, vv. 7-8), e Dun Karm dell'"ira superna" (La frammassoneria
in Malta, v. 62; Nel giubileo episcopale di Leone XIII, v. 89) e della
"folgore divina" (La frammassoneria in Malta, v. 63) e il
Manzoni dell'"ira giá grande di Dio", dell'"ira
tremenda" (La Passione, vv. 78, 82) e di l'una ineffabile ira"
(Il Natale, vv. 17-18).
20) Per la Passione di nostro Signore, vv. 19-24. Cfr. anche Urania,
vv. 241-247, del Manzoni.
21) Is-Salib u Santa Liena, vv. 29-30.
22) Mestizia e timore, vv. 23-24.
23) Le più importanti per i due poeti sono: (i) l'Amore e (ii)
la Giustizia, Cfr., del Monti: (i) Pel santo Natale, v. 9; Per la
Passione di nostro Signore, v. 119; (ii) Sulla morte di Giuda, v.
10; Il terrorismo, v. 10; e di Dun Karm: (i) Il Natale, v. 45; Il
mare, v. 24; A padre Charles Plater S.J, vv. 21, 24, 31, 39; Per il
Congresso Eucaristico internazionale di Malta, v. 179; A Mons. Paolo
Galea, vv. 57, 58; (ii) Il mare, v. 59; Mestizia e timore, v. 53;
Lil Kristu Sultan, v. 16; Il Natale, v. 41.
24) Per la Passione di nostro Signore, vv. 104-105, Per tiri altro
rapporto tra le due, cfr. Sopra i dolori di Maria Vergine, vv. 85-88.
25) Il-Milied, vv. 13-14.
26) il naufragio di San Paolo a Malta, vv. 49-50.
27) Per il Congresso Eucaristico internazionale di Malta, vv. 182-183.
28) Monti: Sopra i dolori di Maria Vergine, v, 12; Per la Passione
di nostro Signore, v. 134; Dun Karm: Il Natale, v. 28. Cfr. anche
Inferno, III, v. 4 e Il cinque maggio, v. 34, del Manzoni.
29) Monti: La bellezza dell'universo, v. 54; Dun Karm: Alla Croce,
v. 86; Per novello sacerdote-Il, v. 39.
30) Monti: Per la sollevazione di Roma, v. 2; Dun Karm: La Chiesa
e Leone XIII, v. 56.1 Per novello sacerdote-Il, v. 122; La predicazione
evangelica, v. 10; La frammassoneria in Malta, v. 15; Nel giubileo
episcopale di Leone XIII, v. 1; Ancora l'alpinista vv. 36, 38; La
dignità episcopale, v. 86. Cfr. anche Paradiso, XI, v. 32 e
XII, v. 43.
31) In risposta al sonetto di Vittorio Alfieri, vv. 12-14.
32) Dan min hu? vv. 53-57.
33) Il-Knisja, vv. 1-4.
34) Lil-Knisja, vv. 1, 12-14.
35) Guzè Aquilina, il critico più importante dell'epoca,
è probabilmente lo scrittore che ha diffuso di più il
messaggio emotivo-religioso di Le genie du Christianisme, dal quale
cita il seguente brano per abbozzare la sua visione estetico-morale
dell'arte: "il est temps qu'on sache enfin à qui se reduisent
tous les reproches ( ... ) qu'on fait tous les jokurs au Christianisme;
il est temps de montrer que loin de repetiser le pensée, il
se pret merveilleusement aux choses de l'âme et peut enchanter
d'esprit aussi divinement que tous le poemes de Virgile et d'Homere"
(Il-polz tà Malta, 2° ed., Malta, A. C. Aquilina &
Co., 1969, p. 222).
36) Cfr., ad esempio, La dignità episcopale, Xemgha, Il-Vjatku
Il-lampa tassagrament, Wara hamsa u gboxrin sena, II-Ghid tà
l-imwiet, Il-monument, Corpus Domini, Nhar San Gwann.
37) C. BALBO, Le speranze d'Italia, Torino, Unione Tipografico-Editrice
1920, p. 204. Delle varie opere in cui Dun Karm espone questo giudizio,
cfr. Lil Santu Wistin, Lill-Knisja, Dan min bu?, Per novello sacerdote-I,
La predicazione evangelica, Alla Croce, La Chiesa e Leone XIII, Cristo,
Il-musbieh talInuze".
38) Dall'altro canto, è contrario alla concezione anti-cattolica
del Carducci, come rivelano il contenuto e il tono apertamente polemico
del seguente brano: "Tranne qualche cervello eteroclito, gli
uomini consentivano e consentono trovarsi la vera grandezza di un
re, di un popolo, di una nazione nel farsi rispettare ed amare più
che nel farsi temere: per cui nessuno, il quale avesse fior di senno,
sognò mai di dir grandi Antioco, Nerone, Maometto, i quali
posero la loro ragione nel numero dei soldati e nella punta delle
spade. Tuttavia l'italianissimo caposcuola del moderno verismo, Giosuè
Carducci, spasimante per la gloria della giovane Italia, dissente
e vuol tutto a rovescio. Egli compiange la picciolezza di Roma odierna,
cattolica, apostolica, la quale domina sovra tutto il inondo, ma colla
bontà e colla ragione: e invoca la grandezza e magnificenza
dell'antica, pagana, battagliera, le Cui aquile portavano l'artiglio
sanguinoso sulle più remote spiagge del mondo. Per cui in una
delle sue odi barbare intitolata Alle fonti del Clitumno, ci non esita
punto di dire che una strana compagnia (alludendo, credo io, agli
Apostoli) sovra i campi del lavoro umano / sonanti e i clivi memori
d'impero / fece deserto, ed il deserto disse / regno di Dio; perché
egli, tutto compassione, si lamenta che Roma "più non
trionfa". Ma sì, parli il buon popolo romano, che ( ...
) vide giungere al Santo Padre pellegrinaggi fin dagli estremi angoli
del mondo e poi lettere, telegrammi, offerte, attestazioni di venerazione
e eli ossequio da vescovi, da re, da imperatori e da uomini di gran
rinomanza; parli, dico io, se Roma trionfi ancora, parli se il principe
degli apostoli abbia fatto di Roma un deserto, o piuttosto la metropoli
del mondo" (Foglie d'alloro, Malta, Alessandro A. Farrugia, 1896,
nota 1, p.99).
Prendendo lo spunto da un'asserzione del Discours sur l'histoire universelle
del Bossuet, Dun Karm propone nella saffica Cristo del 1911 un'altra
risposta ideale contro la presa di posizione anticristiana del Carducci.
39) Sopra i dolori di Maria Vergine, vv. 29-40.
40) ld-duluri, vv. 1-8.
41) Cfr. G. CARDONA, Dun Karm - bajtu u hidmietu, Malta, Klabb Kotba
Mattin, 1972, pp. 67-72.