L'elettorato danese,
il professor Martin Feldstein dell'Università di Harvard e
la Bundesbank hanno tutti cospirato per mandare a gambe all'aria i
mercati finanziari, ponendo con decisione interrogativi sulle attuali
parità dell'Erm (European exchange rate mechanism, ovvero il
meccanismo di determinazione del tasso dei cambi europeo) ed il futuro
dell'Emu (European Monetary Union, ovvero l'Unione monetaria europea).
Nel bocciare il Trattato di Maastricht, l'elettorato danese ha votato
contro l'Emu e la moneta unica europea. Si è anche ribellato
contro lo strapotere della burocrazia di Bruxelles e contro il carattere
di eccezionalità del fatto che il futuro politico dell'Europa
venga deciso con solo una minima partecipazione diretta dell'elettorato
europeo.
In un articolo apparso sull'Economist, che ha avuto una grande risonanza,
Martin Feldstein si è espresso senza mezzi termini contro l'Emu,
sostenendo che in Europa mancano quegli importanti meccanismi di compensazione
che consentono agli Stati Uniti di operare con un'unica moneta, e
cioè federalismo fiscale, lavoro e mobilità di capitale.
In loro assenza, i Paesi d'Europa che abbiano tassi di cambio fissi
si troveranno costretti ad adeguarsi agli shock economici individuali
attraverso mutamenti della politica fiscale e probabilmente con lunghi
periodi di disoccupazione che alla fine imporranno modifiche nei relativi
livelli retributivi.
Meglio ancora, come sostiene Feldstein, dovranno consentire l'assestamento
del tasso di cambio e di conseguenza una modifica quasi indolore dei
livelli relativi di retribuzioni e prezzi.
Qualche tempo fa la Bundesbank ha subìto una forte pressione
da parte dei politici germanici e di altri membri dell'Ems perché
non fossero alzati i tassi di interesse. La Bundesbank ha ascoltato
e poi ha agito come si pensava, proteggendo il marco tedesco elevando
semplicemente il tasso di sconto, così da ridurre le spinte
inflazionistiche. Ora si teme che una volta o l'altra venga elevato
il tasso Lombard, costringendo gli altri paesi europei ad alzare nuovamente
i rispettivi tassi d'interesse.
Nell'esaminare approfonditamente i problemi sollevati dai fatti recenti,
sarebbe bene partire dalle critiche mosse da Feldstein all'Emu. Vanno
innanzitutto stabiliti due punti fondamentali. Primo: mentre esistono
validi motivi economici per sostenere l'Emu, va tenuto presente che
i suoi fini sono marcatamente politici; fatto, questo, che rientra
nell'attuale processo di unificazione europea. Non è un mistero
che uno degli scopi principali dell'integrazione europea é
quello di evitare potenziali conflitti a livello continentale vincolando
irrevocabilmente la Germania in un sistema politico europeo. Il Cancelliere
tedesco condivide questo scopo con il Presidente francese e con altri
Capi di governo europei. Secondo: una volta che gli europei si siano
affidati all'Ems e ad un sistema di libero trasferimento di capitali,
sono prossimi a rinunciare all'impiego del tasso di cambio come strumento
di politica economica. Le argomentazioni di Feldstein sono in favore
tanto dell'Ems che del Trattato di Maastricht.
Spetta ora agli europei decidere se sostenere i fini politici impliciti
nella riunificazione europea. Vista dall'altra parte dell'Atlantico,
l'integrazione europea ha molti punti in suo favore, anche se ci si
interroga se la nuova Europa avrà una visione proiettata verso
l'esterno e se sarà disponibile agli scambi ed agli investimenti
esteri. Se gli europei sosterranno l'integrazione politica, allora
l'Emu rappresenterà effettivamente un grande passo in avanti
sulla via verso quell'integrazione economica che contribuirà
a cementare i legami politici. Nel contempo, però, non si può
non riconoscere che, come sostiene Feldstein, in assenza di alcuni
tra i meccanismi di adeguamento di cui si dispone negli Stati Uniti,
la moneta unica imporrà a volte costi reali a quei Paesi che
hanno necessità di adeguarsi.

Che dire dell'Ems?
E' il caso che i Paesi europei ritornino ad un sistema di fluttuazione
dei cambi? Provate a pensare che cosa accadrebbe - per dire - in Francia,
se ciò si verificasse. La Francia potrebbe abbassare i propri
tassi di interesse e consentire il deprezzamento della propria moneta.
Aumenterebbero le esportazioni ed in qualche misura aumenterebbero
anche gli investimenti. In sostanza, la Francia si troverebbe a seguire
l'attuale strategia di politica economica degli Stati Uniti, solo
con una migliore politica fiscale. Ma con tutta probabilità,
risentirebbe anche dell'attuale fase di difficoltà vissuta
dall'America, che vede i tassi d'interesse a lunga scadenza scendere
molto meno di quelli a breve scadenza a causa dei timori ingenerati
dalla maggiore facilità con cui si ottiene il denaro. Naturalmente,
gli altri Paesi europei non starebbero lì a guardare mentre
la Francia ci guadagna dalla svalutazione. Nell'attuale contesto,
piuttosto, la maggior parte delle monete europee fluttuerebbe al basso
insieme con quella francese, perdendo valore rispetto al marco tedesco.
Una simile trasformazione nell'ambito dei tassi di cambio contribuirebbe
a facilitare l'adeguamento all'unificazione germanica. Ciò
nonostante, il ritorno in Europa ad un sistema di tassi di cambio
fluttuanti sarebbe un errore. I tassi di cambio tra le maggiori monete
hanno presentato fluttuazioni eccessive fin dal 1973, fluttuazioni
che sono insite nel sistema e che gettano scompiglio negli scambi
commerciali, e i tassi fluttuanti mal si conciliano con una progressione
verso l'integrazione economica e politica.
Che dire di un riallineamento, pur rimanendo nell'Ems? Le argomentazioni
qui sono più convincenti. Una rivalutazione da parte della
Germania, oppure una svalutazione da parte di altri membri dell'Ems,
favorirebbe l'adeguamento dell'Europa alla riunificazione tedesca:
la Germania, in cui il deficit fiscale ha determinato un aumento della
domanda, incrementerebbe le proprie importazioni e ridurrebbe le esportazioni;
e intanto i Paesi europei che avessero svalutato, risentendo delle
pressioni determinate dalla recessione, vedrebbero migliorare la propria
bilancia commerciale. I vari Paesi potrebbero voler svalutare di percentuali
diverse, in quanto avrebbero sperimentato livelli inflazionistici
diversi dall'ultimo adeguamento dei tassi di cambio. Dopo la svalutazione,
i tassi di interesse sarebbero sempre ancora determinati dalla Germania.
Ma il premio di rischio della svalutazione dei tassi di interesse
a lungo termine di Francia, Gran Bretagna ed Italia registrerebbe
un calo successivamente alla svalutazione, per cui i rispettivi tassi
a lungo termine subirebbero un ribasso.
Allora, perché non svalutare? Numerose sono le argomentazioni
avverso una svalutazione da parte delle monete non germaniche in seno
all'Ems. In primo luogo, tutti questi Paesi si sono appoggiati all'Ems
per ridurre l'inflazione ed aumentare la credibilità delle
autorità monetarie. Tale credibilità è indubbiamente
in aumento, ed ora si trova a sostenere una prova decisiva. Se le
autorità optano per la svalutazione, in pratica rimettono in
discussione la loro determinazione a combattere il processo inflazionistico.
Se invece si rifiutano di svalutare, determinano la stabilizzazione
del tasso di cambio e rendono più credibili le proprie credenziali
in fatto di lotta all'inflazione. in secondo luogo, sulla base delle
regole stabilite dall'Ems, la svalutazione dovrebbe essere minima
e realizzata entro le fasce di oscillazione dell'Ems medesima. Queste
giustificherebbero appena un mancato riallineamento. (Resta da stabilire
se questo impedimento permarrebbe nell'eventualità di un riallineamento
coordinato di diverse monete). in terzo luogo, i Paesi che guardano
alla creazione dell'Emu riconoscono che, se da un lato è una
buona idea quella di svalutare ora, dall'altro potrebbe non esserlo
quella di fissare tassi irrevocabilmente nel 1997 o nel 1999, per
cui si oppongono alla svalutazione. In quarto luogo, qualsiasi Paese
che intraprenda una svalutazione nominale, deve assicurarsi che gli
aumenti delle retribuzioni e dei prezzi a livello nazionale non neutralizzino
i benèfici effetti della svalutazione. Ciò richiede
una politica fiscale più severa, oppure il ricorso ad una politica
dei redditi, o addirittura ambedue. Ma se queste politiche vanno usate
per sostenere un nuovo tasso di cambio, esse possono anche contribuire
a sostenere quello attuale. A conti fatti, tutto fa pensare che convenga
mantenere gli attuali tassi nella corsa all'Emu, anche se si tratta
di un equilibrio precario.