§ Opinioni

Il consumo che genera inflazione




Innocenzo Cipolletta



Ci sono verità comode e verità scomode. Le prime, in genere, si fermano a metà. Una di queste è che l'inflazione in Italia è generata dai settori protetti.. affermazione che trova tutti d'accordo, ma che si ferma a metà perché non dice che cosa sono i settori protetti, cosa è la protezione, né come evitare che essa ci sia.
Fermandosi a questo punto di analisi, la verità è "comoda" perché trova il consenso di milioni di cittadini che si sentono vittime dell'inflazione e individua un responsabile collettivo (il terziario, il commercio o quant'altro), suscitando reazioni corporative, tese a punire il colpevole, con interventi tanto esemplari quanto inutili o senza riflessi nel breve termine: invocazioni per l'apertura del mercato a nuovi produttori, sorveglianza o controlli amministrativi dei prezzi, premi e punizioni fiscali (che tranquillizzano le coscienze ma eccitano l'inflazione ancora più di prima).
La coscienza collettiva è tranquilla, l'untore è individuato, i bravi cittadini si sono sfogati, nel frattempo il Paese si è burocratizzato, trionfa la cultura del dirigismo che esenta i singoli individui dalle loro responsabilità e trasferisce a un soggetto collettivo i compiti della gestione del quotidiano: così come avvenne sotto il fascismo, così come è avvenuto sotto il comunismo, così come una cultura diffusa nel nostro Paese continua a fare, addossando al governo, ai partiti e alle istituzione tutte le colpe del disagio italiano e, quindi, per converso anche tutti i meriti per un eventuale auspicato recupero.
Fermarsi a dire che i settori protetti della concorrenza internazionale generano inflazione non basta: bisogna anche dire di che protezioni godono tali settori e quali sono le azioni necessarie per ridurre almeno tali protezioni.
Non v'è dubbio che i monopoli legali sono aree protette; non v'è neppure dubbio che in questo caso la via da percorrere è quella delle modifiche legali e/o amministrative per consentire l'accesso di nuovi produttori. Ma basta una presenza di più produttori per assicurare la concorrenza e, quindi, per far scattare meccanismi antinflazionistici? La risposta è no. L'approccio dell'offerta, ossia la pluralità di concorrenti, è condizione necessaria, ma non sufficiente; occorre anche un approccio da domanda, ossia occorre anche che gli acquirenti (i consumatori) facciano scattare la molla della concorrenza. In caso contrario, la pluralità di concorrenti finirà per agire in collusione e determinerà aumenti di prezzo non giustificati.
Una facile lettura dei fatti economici' dà per scontato che l'acquirente se messo nelle condizioni di scegliere - sceglierà sempre il prodotto che, a parità di prestazioni, sia offerto al prezzo più basso. Ma questo non è sempre vero. Non è vero se c'è monopsonio, ossia se c'è un unico compratore che potrà imporre prezzi bassissimi o accettare prezzi altissimi. Quest'ultimo è purtroppo il caso evidente in Italia per il settore pubblico che acquista beni e servizi per un volume enorme (18 per cento del Pil) senza l'obiettivo di comprare al prezzo più basso. Anzi, come i recenti scandali dimostrano, il settore pubblico tende a far gonfiare i prezzi degli acquisti anche per creare spazi di illecito arricchimento di persone senza scrupoli.
Perché in Italia il settore pubblico non svolge funzione di calmiere dei prezzi dei propri acquisti? Le risposte sono tante (anche quella criminale), ma tutte convergono nel fatto che lo Stato può aumentare le sue entrate (Imposte, tasse, contributi) per legge e/o può finanziare in disavanzo la sua spesa (pagando interessi fuori d'ogni legge di mercato) senza vincoli di bilancio e senza tema di fallire.
Quindi lo Stato è protetto dalla concorrenza, perché ha entrate (fiscali o creditizie) 'Indicizzate " sulle proprie spese.
Per ristabilire un equilibrio in questo settore, non potendo far fallire lo Stato, occorre mettere veri limiti alla spesa pubblica e non già aumentare le entrate pubbliche, ciò che favorirebbe il circuito perverso di maggiori ,pese e maggiore, inflazione.
Se sullo Stato molti saranno d'accordo nel denunciarne i comportamenti collusivi con i produttori di beni e servizi, un falso senso di pudore collettivo sembra invece impedire di individuare l'altro settore della domanda che è protetta. Queste sono le famiglie e tutti i percettori di redditi indicizzati - come lo sono stati i salari fino al 31 dicembre 1991 - che non fanno agire la domanda con quella selettività che è necessaria per contrastare un aumento dei prezzi.
So già che gli epigoni dei luoghi comuni si ribelleranno nel veder trasformati in colpevoli (almeno parzialmente ) i consumatoti e le famiglie che una facile letteratura di consenso ha sempre considerato le vittime dell'inflazione. Essi evocheranno ancora una volta lo spettro di Maria Antonietta e la storiella dei croissants. Quest'ultima verità è spesso "scomoda", ma in Italia i consumatori, con redditi indicizzati da un sistema esplicito o implicito, non si oppongono come dovrebbero agli aumenti dei prezzi che subiscono perché sanno e pretendono che saranno poi indennizzati da un sistema di indicizzazione esplicito o implicito.
Opporsi all'inflazione non è cosa né facile né spontanea. Lo sanno bene le imprese che devono continuamente spingere i loro reparti acquisti a resistere agli aumenti. Per una famiglia, che ha tempi limitati per fare i propri acquisti o che ha le sue abitudini radicate, è un sacrificio non indifferente quello di paragonare i prezzi dei vai! negozi, cambiare il prodotto o la marca da acquistare, se quella solita è aumentata di prezzo, modificare le proprie abitudini cambiando negozio. La famiglia si opporrà agli aumenti dei prezzi solo se costretta, ossia se non riesce più a far quadrare il suo bilancio: e ciò avviene solo se non ha garanzia di recupero dell'inflazione.
E' così che in Italia, malgrado il commercio al dettaglio sia composto da una miriade di esercizi in concorrenza reciproca, quindi non protetti, di fatto tale concorrenza funziona poco e la crescita del prezzi al consumo supera quella dei prezzi alla produzione.
E' questa una verità scomoda, ma per ricostruire un mercato che funzioni in concorrenza non è sufficiente togliere le protezioni ai produttori: occorre levarle anche ai consumatori.


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