§ Mafia & mafia

Una mafia che viene da lontano




Ada Provenzano



Una volta tanto, hanno tenuto banco libri d'impegno civile, di scoperta, di analisi del fenomeno mafioso: l'intervista di Marcelle Padovani a Giovanni Falcone ("Cose di Cosa Nostra"), i saggi di Pino Arlacchi ("Gli uomini del disonore") e di Franco Cazzola ("L'Italia del Pizzo "), i racconti-inchiesta di Luca Rossi ("I disarmati. Falcone, Cassarà e gli altri").
Dal complesso paesaggio della criminalità organizzata emerge un dato inquietante: la mafia è così forte che non intende più convivere con lo Stato e reclama libertà assoluta di azione sul territorio. E qui siamo nel campo della criminalità economica, della mafia imprenditrice, della produttività mafiosa; nel campo, cioè, che uomini come Falcone e Borsellino avevano aggredito con le indagini nelle banche e nelle finanziarie, con le investigazioni sulle consistenze patrimoniali e sulle loro origini e sviluppi, con gli intrecci di interessi, con le contiguità politico-mafiose. E proprio in questo settore era stato determinante l'apporto dei pentiti, che avevano raccontato ai due massimi esponenti del vecchio pool antimafia strutture operative e segrete, vicende affaristiche e business a raggio mondiale: tutto materiale confluito nelle istruttorie, e tutte istruttorie che colpivano al cuore l'attività vitale del cartello del crimine, che dunque ha reagito con fredda determinazione, facendo terra bruciata intorno ai magistrati che erano impegnati in questo filone di ricerca al calor bianco.
La mafia, tuttavia, non è fenomeno dei nostri giorni; è intrastoria che viene da lontano. E non è soltanto attività criminale; è anche "cultura", per quanto negativa e repellente. Capire la mafia, allora, vuol dire anche dedicarsi a letture meno recenti (ma non per questo, tragicamente, meno attuali) e per molti aspetti altrettanto rivelatrici.
Napolcone Colajanni fu deputato repubblicano al Parlamento dal 1890 al 1921, e fu docente di statistica all'Università di Napoli. Colajanni scrisse "Nel Regno della Mafia", un classico nel suo genere, ancora straordinariamente vivo sia per quel che concerne l'analisi del potere mafioso sia per le azioni che suggerisce per combatterlo. Nota Sebastiano Vassalli che in una nota a pie' di pagina Colajanni dà una notizia curiosa sull'origine della parola "mafia", che non figurava nella prima edizione (del 1838) del "Dizionario sicilianoitaliano" del Mortillaro e che soltanto dopo l'Unità d'Italia venne inserita nella terza ristampa (del 1876) con la seguente spiegazione: "Voce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra". Secondo Vassalli, "può sembrare una cosa da poco: non lo è. Le questioni di parole non sono mai questioni di poco conto e la storia della parola 'mafia' è una storia mafiosa, come la realtà che sta dietro a quella parola e che ai tempi di Colajanni aveva da poco cambiato pelle e nome".
E infatti: nel Regno delle Due Sicilie quelli che poi vennero definiti "mafiosi" si chiamavano (e si facevano chiamare) "liuni", leoni, onnipotenti custodi delle grandi proprietà feudali. Furono i leoni a dare pieno appoggio all'impresa dei Mille, perché anche l'aristocrazia siciliana la appoggiò, e perché costoro vedevano in Giuseppe Garibaldi uno dei loro: vedevano, cioè, un "mafiusu", un audace, un intrepido, un ribelle, e in fin dei conti un "creativo", secondo i complessi significati della parola di probabilissima origine araba. Il termine "mafia", però, diventa popolare nel 1863, con la prima rappresentazione - a Palermo - dei "Mafiusi di la Vicaria", una commedia dialettale di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca.
Nel pirandelliano "I vecchi e i giovani" quello che forse è il vero e proprio protagonista, Mauro Mortara, è l'ultimo dei "liuni" che hanno fatto l'Italia, e che per tanti versi richiama il principe Salina, del "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa: un eroe positivo, un uomo compiuto, uno spirito dominatore che vede tutte le cose e tutte le vicende con distacco e le sente molto più piccole di lui. E' lui, Mortara, l'archetipo morale del mafioso dell'intera produzione letteraria successiva, che sfocerà nel Mariano Arena, sciasciano del "Giorno della civetta" e nel falconiano uomo di Cosa Nostra Siciliana dei nostri giorni. E sarà proprio Giovanni Falcone, a scrivere le parole più brucianti su questo aspetto della criminalità organizzata come espressione anche di una cultura dominante: "La mafia ha un'organizzazione ferrea: si "deve" basare su dei valori. Sono uomini, non vermiciattoli; li chiamano pecorai, ma sono il precipitato della saggezza siciliana, gente che ti comanda con gli occhi. La mafia è il segno di un'identità: per la nostra storia, per la Sicilia. Il meno peggio che le poteva capitare".
E' in queste parole il nocciolo della tragedia siculo-italiana. Dice Vassalli: "la Sicilia, l'Italia, non sono riuscite ad esprimere nel corso dei secoli una cultura ed una moralità "positive" abbastanza forti da permettere ad un uomo come Falcone di avvertire la distanza stratosferica che lo separava -che avrebbe dovuto separarlo! - dalla negativa e discutibile grandezza degli assassini che avevano già deciso la sua stessa morte. Ormai è certo: abbiamo creato un mito e ne siamo succubi. Cento e più anni di letteratura ci mostrano senza possibilità di dubbio che la cultura italiana, almeno fino ad oggi, non ha in sé parole d'ordine e valori abbastanza forti da potersi contrapporre alle parole d'ordine e ai valori della mafia, e che non è in grado di reggere lo sguardo di quell'arcaica e rozza Medusa, nemmeno con gli occhi dei suoi uomini migliori".
Sciascia, appunto. Quello che ci ha fatto capire tante cose della mafia, dei suoi interessi, della sua potenza, della sua contrapposizione allo Stato (il boss Arena da una parte, il capitano Bellodi dall'altra).
Sciascia che sembra in fondo subire il fascino irresistibile della piovra quando si scaglia contro i "professionisti dell'antimafia", e forse anche quando, in un momento drammatico della storia italiana, dice di non stare "né con lo Stato né con le Brigate rosse": ha detto questo, ha scritto questo, per la fascinazione della cultura mafiosa? Si è schierato per se stesso, per la sicilianità (o per una malintesa - inconsapevolmente? - sicilianità) come frutto di una storia "altra", di una psicologia differenziata, di un'antropologia diversa?
L'ultimo "liuni", il pirandelliano Mortara, si riarma, ormai canuto, per combattere i socialisti dei Fasci siciliani. Lo scontro è una questione che va risolta a tu per tu, secondo i vecchi metodi di soluzione delle "questioni siciliane". Una pallottola, una delle prime pallottole sparate dal "nemico", cioè dall'esercito, mette fine ai suoi giorni.
E cade così com'è, grottescamente vestito da brigante, pupo con i fili tirati dall'arcaica cultura mafiosa. I "sabaudi", come dice Mortillaro, e come aveva già scritto il Pitrè, continuano a controllare la politica siciliana e nazionale con le elezioni, e l'economia con le banche e con la Borsa. Esattamente un anno prima, per poter agire liberamente, nel Banco di Sicilia, la mafia aveva ucciso per arma bianca Emanuele Notarbartolo, (il primo centenario di questo delitto eccellente è caduto il primo febbraio 1993; e la vicenda è stata narrata da Oreste Magrì in "L'onorevole padrino").
Notarbartolo, ex sindaco palermitano ed ex direttore del Banco, è accoltellato e scaraventato da un treno in corsa perché la mafia teme che possa danneggiare ancora i suoi affari; o, più semplicemente, perché, avendoli danneggiati in passato, era stato condannato a morte. il processo sarà celebrato prima a Milano, poi a Bologna, infine a Firenze, e infiammerà come mai in passato, e come mai fino ad oggi, le coscienze critiche e l'opinione pubblica italiana. Finirà come sempre: assassini assolti per insufficienza di prove. Sullo scenario, mafiosi, faccendieri, corruttori e corrotti a tutti i livelli, compresi quelli, - altissimi - dello Stato. Neanche l'Italia immediatamente post-risorgimentale, ebbe il coraggio, o la forza, o la dignità morale di guardare in faccia il "Mostro casalingo", quella "Medusa" alla quale ancora oggi di tanto in tanto "dà in pasto un eroe".


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000