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Mafia & mafia / Storie di Sicilia
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Il ritorno dell'esercito |
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G.
L.
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L'esercito
in Sicilia: è un rapporto già sperimentato. Ha tanti precedenti,
a partire dall'Unità nazionale: e il pendolo dei rapporti con
la gente oscilla tra la sanguinosa repressione dei tumulti di Bronte
e il prodigarsi senza soste per le vittime del maremoto di Messina.
Ma sono sostanzialmente due gli interventi delle forze armate contro
la mafia e per l'ordine pubblico.
La prima visita in Sicilia Mussolini la fece nel '24 e durò due settimane; Mussolini prese atto che insieme con fame, pellagra e malaria c'era anche la mafia. Tornato a Roma e deciso a ripulire l'isola dalle coppole storte, disse ad Emilio De Bono: "Mi occorre un uomo nuovo, capace, inflessibile, esperto di cose siciliane, senza essere siciliano". Fu scelto il prefetto Cesare Mori, anche se aveva un limite: "Di politica non capisce nulla", osservò qualcuno della segreteria del Duce. E fu profetico. Il 6 giugno del '24 Mori prese possesso della Prefettura di Trapani, da dove cominciò, servendosi anche dell'esercito, una lotta alla mafia sul territorio. A fine ottobre del '25, il Prefetto trasferì il suo quartier generale a Palermo. In assenza di garanzie costituzionali, Mori poté cingere d'assedio i paesi, tagliare gli acquedotti, affamare ed assetare gli abitanti, per stanare i latitanti. La mafia di allora, radicata nelle campagne, negli sconfinati feudi dell'entroterra siciliano, aveva interessi collegati al capitale agricolo e alla nobiltà. Ma i figli e i nipoti dei "campieri" di allora, quadri intermedi di quell'esercito mafioso, sono anche i protagonisti di oggi. La repressione indiscriminata di Mori toccò sostanzialmente la manovalanza mafiosa e garantì una relativa tranquillità nei paesi siciliani. La gente diceva: "Si dorme con le finestre aperte", ma se qualcuno entrava in casa non c'erano giornali in grado di registrare la notizia. La mafia seppe reagire a quel pettine fitto che rastrellava la Sicilia. Si comportò come suggerisce un proverbio che racchiude una parte della sua filosofia: "Calati juncu, quannu passa la china", ("piegati giunco quando scende la piena del fiume"). I mafiosi abbassarono il livello di attività e attesero tempi migliori. Dal controllo del territorio Mori passò ad incidere sui rapporti nel sociale della mafia, e dunque sui collegamenti, anche allora, tra ambienti politici e mafiosi. Il 3 dicembre '27 la Camera concesse l'autorizzazione a procedere contro il nazional-fascista Alfredo Cucco, un illustre oculista palermitano che Mori aveva accusato di collusioni con i capi della mafia delle Madonie. E da quel momento la stella di Mori cominciò ad offuscarsi. Da Roma gli giungevano chiari inviti ad insistere soprattutto nei rastrellamenti e nei posti di blocco, lasciando "tutto il resto" alla magistratura. Nel giugno del '29 Mori fu chiamato a Roma "perché - spiegò Mussolini - grazie al regime fascista la mafia è stata interamente debellata". L'esercito tornò in campo in Sicilia, con funzioni di ordine pubblico e contro il banditismo, alla fine della guerra, tra il '45 e il '49. La banda Avila, quella dei niscemesi nella Sicilia orientale, e la banda Giuliano a Montelepre controllavano e terrorizzavano una gran fetta dell'isola: rapine, sequestri di persona, estorsioni e ricatti erano il loro affare, nobilitato dall'utopia separatista di alcuni intellettuali (non tutti in buona fede) che in quei delinquenti riuscivano persino a vedere l'Evis, un esercito di "liberazione nazionale". Proprio per questo la violenza assunse una connotazione politica. Il disegno separatista venne strumentalmente coltivato anche da Stati Uniti, Inghilterra e Urss. La stessa Casa Savoia ricevette l'invito da parte dei monarchici siciliani a considerare l'ipotesi di un "Regno di Sicilia", se avesse prevalso la Repubblica. Dietro le quinte di queste complesse vicende un ruolo importante ebbe la mafia. Don Calogero Vizzini, il Capo dei Capi che aveva facilitato - su esplicito invito del governo di Washington ai boss siculo-americani - lo sbarco e la penetrazione degli Alleati in Sicilia, era rimasto in una posizione di ambigua attesa di fronte alla prospettiva separatista. Ma quando si rese conto che le decisioni delle grandi potenze non avrebbero esteso alla Sicilia lo status "maltese", don Calò offri i suoi servigi allo Stato per debellare le bande armate che neppure l'esercito era riuscito a piegare. Nel mai chiarito "patto" stretto tra mafia e pezzi dello Stato per l'uccisione di Salvatore Giuliano sono state individuate da saggisti, storici e dagli stessi atti della Prima Commissione Parlamentare Antimafia le ragioni di una quasi legittimazione di Cosa Nostra in Sicilia, di un patto preciso tra i boss e i governi dell'immediato dopoguerra. La "guerra di mafia" degli anni Ottanta, ad esempio, cominciò dopo l'uccisione di Stefano Bontate, figlio di quel "don Paolino" che aveva avuto un ruolo determinante negli accordi che precedettero l'uccisione di Turiddu a Castelvetrano. Il "patto" resse in Sicilia fino a quando una schiera di investigatori e di magistrati, tutti poi sistematicamente uccisi, non vollero più riconoscere nella mafia un elemento di "stabilità" della Sicilia, ma indicarono in Cosa Nostra Siciliana la radice dei mali e del sottosviluppo dell'isola. Mafia & mafia / Il dizionario Che cos'è la mafia Il Devoto-Oli
definisce la mafia "un'organizzazione clandestina di natura criminosa
suddivisa in tante piccole associazioni ( cosche o famiglie) rette
dalla legge dell'omertà e del silenzio". La parola ha
origini antiche e oscure ... Secondo alcuni deriva dal francese "majler",
ingozzarsi; secondo alti! dall'arabo "maehfil", luogo di
adunanza, o da "mohafi", amico riconoscente. Agli esordi
ottocenteschi si scriveva con una o due "f": mafioso era
chiamato in Sicilia un uomo coraggioso, leale, valente. In Toscana
"maffia" voleva dire miseria. Quale ne sia il punto di partenza
etimologico, oggi la parola è in tutto il mondo sinonimo di
criminalità organizzata. |
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