"Stavamo
per prendere Totò Riina". Stavano per prenderlo, "
'u curtu ", ma non l'avevano preso: si era potuto dileguare tranquillamente,
erano ventuno anni che girava indisturbato per Palermo, con tanto
di scorta e col telefono (cellulare?) grazie al quale comunicava con
il suo avvocato, il dottor Nino Fileccia, il quale aveva dichiarato
che Riina era vivo, stava bene in salute e continuava a gestire i
propri affari: senza che nessuno avesse mai intercettato il telefono
del boss dei boss né quello dell'avvocato in questione, senza
che nessuno avesse chiesto "ulteriori delucidazioni" a questo
legale che "mandava a dire" e poi rientrava nel suo cono
d'ombra professionale come se non avesse detto niente, o come se quel
che aveva detto non riguardasse né Cosa Nostra, né lo
Stato italiano, né la società siciliana.

'"U Papa", Michele Greco, dopo quattro anni di latitanza,
venne catturato in una casa di pastori nelle campagne di Caccamo.
Da tempo era alla guida della Commissione mafiosa. Nel luglio dello
scorso anno, " 'U zappuni", Paolo Alsano, capo della temibile
famiglia di Corso dei Mille, sfuggì alla cattura: abbandonò
sul comodino l'orologio d'oro e prese il largo. Viveva in casa sua,
una villetta-bunker con nome e cognome sul citofono. Prima, nessuno
lo aveva ricercato. Doveva scontare una pena di 17 anni. L'inutile,
tardivo blitz si fece dopo l'assassinio di Paolo Borsellino.
Quanti mafiosi in Sicilia, vivono e agiscono indisturbati in casa
propria? E perché nessuno li prende? Che cosa hanno fatto,
oltre a imbrattar carte con tesi sociologiche, tutti i Commissari
Antimafia? Eppure, sono noti i loro nomi, i nomi delle loro 'famiglie",
quelle del complici e affiliati, i tipi di affari che coltivano, i
quartieri, le aree e le città in cui operano. Ma restano invulnerabili.
"Perché", ha detto il pentito Tommaso Buscetta, 'sono
ricchi e possono pagarsi la sicurezza".. A chi la pagano? Solo
ai mafiosi che "in Sicilia sono molti, ma proprio molti"?
O anche ad altri? E a chi? E con quale moneta di scambio?

Sono tanti anni
che percorriamo la terra di Sicilia, che incontriamo colleghi, scrittori,
politici, uomini d'affari, amici. E sono tanti anni che sentiamo dire
che, "se vogliono, possono prenderli ". Chi non li prende?
E se poi li prendono, perché vengono rimessi in circolazione?
Quali e quante colpe ha la società nel suo complesso (noi tutti,
e politici, investigatori, magistrati)? Da quanto tempo contiamo morti
ammazzati, assistiamo a stragi, a delitti eccellenti, a lupare bianche?
Per quanto tempo ancora gli uomini del disonore continueranno a farla
franca?
E infine, chi sono i boss e i loro affiliati? Risultato di annidi
indagini, aggiornato al 31 gennaio 1990, quello che riportiamo è
il dossier riservato all'Arma dei Carabinieri: 144 pagine, titolo
"Organigramma della mafia", acquisito dalla Commissione
parlamentare antimafia. In mancanza di sentenze giudiziarie definitive,
ovviamente, ogni nostro verdetto è sospeso. Ma si tratta pur
sempre di 3.564 nomi e cognomi che i carabinieri hanno messo a disposizione
delle istituzioni per le opportune verifiche. Si tratta delle 142
"famiglie'' che dominano e insanguinano la Sicilia, scrivono
pagine luttuose per l'Italia, oscurano la civiltà del Paese,
cancellano vite e intelligenze, aggregano il peggio della comunità.
In questo modo intendiamo dare il nostro contributo alla conoscenza
più approfondita del fenomeno della criminalità organizzata
in Italia. Ma vogliamo anche mettere tutti di fronte alle proprie
responsabilità: perché nessuno venga più a dirci,
al cospetto del prossimo morto ammazzato eccellente meridionale, "noi
non sapevamo". Ora si sa, si sa molto più di quanto occorra
per agire. Nessuno, ma proprio nessuno, ha più una sola attenuante.
Per questo la cattura di Totò Riina non basta. Se Cosa Nostra
Siciliana è stata decapitata, lo è stata per poco. I
Bagarella, i Santapaola, gli Aglieri, probabili successori, sono dietro
l'angolo. Latitanti da anni. Ancora imprendibili?
Mafia &
mafia / Col pentito
A domanda risponde
Il pentito
è un siculo-americano, Joe Cuffaro. A interrogarlo è
Giovanni Falcone. Si parla delle "famiglie emergenti" dei
Galatolo, dei Fidanzati, dei Madonia, dei loro collegamenti con Cosa
Nostra americana e con i cartelli del crimine organizzato della Colombia.
Ecco alcuni stralci dell'interrogatorio.
Domanda - Sa se
i Galatolo godono di particolare protezione da parte della polizia
nella zona in cui vivono?
Risposta - Credo di sì, ma prima di rispondere vorrei tornare
al ristorante 'Toro". Una sera andammo a cena lì con Vincenzo
Galatolo e, naturalmente, qualcuno dovette alzarsi, per darci il tavolo.
Mentre eravamo lì seduti, almeno dieci, forse dodici persone,
cittadini italiani importanti, un paio di avvocati, un magistrato,
politici, gente della Palermo bene, si avvicinarono a Vincenzo Galatolo
per salutarlo, gli strinsero la mano e tornarono ai loro tavoli. Galatolo
mandò bottiglie di champagne a tutti questi politici e avvocati.
Domanda - Può raccontarmi della protezione da parte della polizia
di cui gode Galatolo?
Risposta - L'unica cosa che so è che la stazione dei carabinieri
del quartiere dell'Arenella o dell'Acquasanta è controllata
da Enzo Galatolo. Ogni volta che viene spiccato un mandato di arresto,
il primo a saperlo èVincenzo Galatolo, prima che i carabinieri
vadano ad arrestare qualcuno lo dicono a lui.
Domanda - Chi le ha detto questo?
Risposta - Vincenzo Galatolo. Egli avviserebbe i ricercati di andarsene
in un altro posto per non farsi arrestare.
Domanda - Ha parlato di un posto di blocco.
Risposta - Una sera stavamo tornando dall'Hotel Villa lgea dopo aver
cenato con Madonia e Madonia se ne andò con Mimmo Mannino in
un'altra macchina. lo stavo portando Galatolo a casa sua a Vicolo
Pipitone. Poco prima di entrare nella via in cui abita, c'era un posto
di blocco dei carabinieri e io mi preoccupai un po', ma lui mi disse
di fermarmi e scese dall'auto. Era davvero arrabbiato. E disse: "Che
diavolo state facendo davanti a casa mia? Se dovete fare un posto
di blocco andate a farlo da un'altra parte".
(
)
Risposta - Galatolo mi disse che in uno dei suoi viaggi in Sicilia
vennero rapite dodici o tredici persone delle fazioni perdenti ed
egli fu portato dai suoi cugini su nelle montagne. Arrivò in
un grande edificio, una specie di magazzino in campagna dove c'erano
queste persone legate con delle corde ed era in corso una sorta di
processo. C'erano alcuni dei più importanti rappresentanti
delle quattro famiglie siciliane e stavano processando queste persone.
Decisero di ucciderli tutti e fu chiesto a molte persone di premere
il grilletto durante l'incontro. Fu chiesto in particolare a John
Galatolo di premere il grilletto su tre o quattro persone e John mi
descrisse come queste persone fossero spaventate. Alcune di loro piangevano,
alcune gridavano, alcune non dicevano assolutamente niente. Ed egli
premette il grilletto su tre o quattro persone, le uccise lui stesso.
Una delle vittime, proprio prima che John la uccidesse, gli chiese:
"Va bene che tu mi uccida, perché io ho fatto veramente
qualcosa di sbagliato, ma l'unico favore che ti chiedo è di
assicurarti che la mia famiglia ritrovi il mio corpo, questo è
l'unico favore che ti chiedo". Così John prese quel cadavere
e lo lasciò vicino la casa della famiglia dell'ucciso, e i
familiari ne trovarono il corpo poche ore dopo. Un altro dei particolari
che egli ha menzionato: gettarono i cadaveri in un crepaccio nella
montagna, non molto lontano dal magazzino; era veramente profondo,
forse duecento, trecento metri, e vi gettarono tutti i cadaveri, li
cosparsero di benzina e diedero loro fuoco".