§ Imprese e risorse

Realtą e prospettive dell'economia salentina




Renato Minafra



I1 Salento rappresenta una regione residua nella più vasta regione pugliese, caratterizzato da differenze orografiche, culturali ed economiche.
Le prime attengono alle caratteristiche del territorio, relativamente pianeggiante e coltivabile rispetto alla staticità del Tavoliere ed alle asperità della Murgia; le seconde derivano da incursioni e dominazioni che "comunque" hanno fatto sentire la influenza di razze diverse, sedimentandosi in un modello culturale più vicino ad un Sogno arabo", con discendenze gattopardesche, che alla razionalità levantina; le ultime da una conformazione "particolare", che ancora risente della borbonica enfatizzazione di latifondi incolti ("ricordi di un secolo prima") sui quali erano basate cospicue erogazioni di credito agrario, mai investite sulla terra ed invece distolte allo scopo di procurare ai fortunati percipienti rendita finanziaria piuttosto che agraria.
Tale ultimo fenomeno si è perpetuato nel tempo e da esso è derivata una obiettiva fragilità del settore produttivo, caratterizzato da imprese anemiche perché dotate di scarso capitale di rischio e - correlativamente - da scarsa cultura aziendale, a vantaggio della evoluzione ed affermazione di un ceto burocratico parassitario ("il maestro", "l'avvocato"), alla perenne ricerca del posto fisso come coronamento della filosofia esistenziale; ulteriormente si è affermato un sistema bancario che sintetizza le caratteristiche su esposte, somatizzandole nell'orientamento alla valutazione del patrimonio consolidato piuttosto che al reddito prospettico e delle garanzie accessorie invece delle fonti di rimborso autoliquidabili.
I1 quadro delineato si è relativamente evoluto nel tempo, con lo svilupparsi di un sistema caratterizzato da numerose piccole imprese, sorte per iniziativa di soggetti economici in grado di correre l'alea di iniziative prevalentemente tradizionali.
A tali settori si sono via via affiancati altri più moderni, tutti caratterizzati da basso tasso di applicazione tecnologica, quasi "un mondo" da esplorare in attesa di instaurare un rapporto definitivo possibile dopo il superamento delle difficoltà iniziali, "e se mai" in occasione del ricambio generazionale, che ha rappresentato uno dei più notevoli elementi caratterizzanti lo sviluppo del sistema medesimo.
Sociologicamente il piccolo imprenditore, (''Iu mesciu"), apprezzato dall'ambiente circostante (anche bancario), ha cercato di migliorarsi affidando le sorti della sua azienda ai figli acculturati, che col loro intervento potevano rappresentare quel "di più" indispensabile a far compiere alle strutture un agognato salto di qualità.
Ciò si è verificato nella più gran parte dei casi (i successi dei figli d'arte sono stati apprezzabili, se il capo carismatico ha consentito agli credi naturali di esprimere il meglio), salvo insuccessi, l'ovvio "spettacolo illogico", da ascrivere ad obiettiva inadeguatezza o dei preposti o delle strutture affidate.
In questo passaggio epocale, più che in altri, sono state avvertite le disfunzioni originate dalle carenze ambientali di infrastrutture ("roba di un'epoca lontana") e di, servizi (tra essi comprendendosi anche quelli di consulenza, cioè di una classe professionale che "spiega alla gente cosa vuol dire ..."), tipiche delle economie sottosviluppate.
I nuovi imprenditori, nell'ipotesi descritta, si sono trovati ad operare in un territorio ostile al cambiamento (un "deserto... tatuato"), insensibile a qualunque novità ("come una vecchia cuoca in una cucina"), diffidente verso il nuovo ("dicono che sia tutta una vaniglia"), sicché le possibilità evolutive sono state ampiamente frenate. Va da sé, in ogni caso, che solo attraverso il ricambio che elimina la "vetustà" delle idee è possibile gestire democraticamente il cambiamento, in ogni settore della società civile, specialmente quando il travaglio è avvertito dalla parte maggioritaria della collettività, quella convinta di non essere alla fine della "strada" quanto ad un faticoso inizio, anche se in salita.
Un'impresa è un insieme coordinato di risorse materiali ed immateriali, che si origina e si sviluppa per iniziativa di uomini che ad essa destinano il meglio, "tutto il meglio" delle loro risorse creative.
Non esistono imprese residue, cioè organizzazioni produttive sorte per caso o per noia o sulla base di scarsa abnegazione o dedizione: imprenditore è "qualcuno che pensa", che si dedica con professionalità e sacrificio alla realizzazione di una iniziativa economica, trasfondendo nella stessa la parte più apprezzabile di se stesso.
Laddove l'impegno è limitato o marginale, i risultati sono o insufficienti o insignificanti, "una ruggine densa".
Per tale caratteristica l'iniziativa economica assume, per chi la fa nascere e la gestisce, le caratteristiche di un bene da difendere, addirittura al di là del possibile e talvolta del lecito, indipendentemente dalla considerazione dell'ambiente circostante.
Nel corso della sua vita l'aggregato produttivo scorre "sulle sue ruote rotonde" e persegue sempre il conseguimento di condizioni di equilibrio tra i vari fattori in esso impiegati, che richiedono di essere remunerati almeno nominalmente, così legittimando la teoria del profitto capitalistico e la conseguente etica, specie dopo il risveglio che è seguito all'azzeramento del "sogno" rappresentato dalla economia collettivistica e dalla rivalutazione dell'autofinanziamento come essenza dello sviluppo.
E' però naturale che durante la sua attività l'impresa impatti talvolta energicamente con altre economie, con le quali si instaurano rapporti di varia natura: nel caso di soggetti di tipo privatistico i contatti trovano soluzioni che rientrano nell'ambito della logica di mercato mentre, con i soggetti di emanazione pubblica, le relazioni soggiacciono a regole leonine, che il più forte impone al più debole, con "crudeltà". A quest'ultimo tipo, evidentemente, appartengono i rapporti con le banche e con l'Erario: quest'ultimo rappresenta almeno nella filosofia costituzionale, lo strumento attraverso cui lo Stato, "vecchio incantatore", provvede al prelievo da destinare alle esigenze della collettività ed al funzionamento dell'apparato burocratico.
Quando il circuito è virtuoso sussiste un rapporto sinallagmatico tra ricchezza prelevata e servizi prestati; se diventa perverso, a causa di accumuli di disservizi o di sprechi, il tributo viene storicamente ritenuto dalla collettività, per la parte che eccede il giusto, come espropriazione e la sua tendenziale crescita viene interpretata come indicatore di disfunzione, perciò non condivisa, magari con "rabbia" giustificabile.
Nel quadro delineato le banche sono categorie particolari di imprese e di servizi, che trattano merce rapidamente obsolescente, la quale "strano ma vero" non può annoverarsi in rimanenza, che traggono i loro profitti vendendo i propri debiti ed acquistando debiti altrui. La loro gestione è caratterizzata da forti componenti psicologiche, che si riverberano anche nella valutazione del rischio-clientela, cioè nella serie di apprezzamenti da "viaggiatori di commercio" che al di là della consistenza patrimoniale consentono di definire l'ammontare massimo di risorse finanziarie affidabili agli operatori richiedenti un prestito ("è adesso che ho bisogno di te..."), magari allo scopo di avviare un processo produttivo.
Nello svolgimento della loro attività le aziende creditizie mirano ad armonizzare le scadenze attive e passive, ricorrendo al mercato interbancario per collocare o reperire risorse temporaneamente eccedentarie o deficitarie colmando, con la manovra dei tassi, le loro disfunzioni, quasi in "semioscurità" nonostante la tanto enfatizzata trasparenza. Similmente alle imprese commerciali, quindi, le imprese bancarie possono rendersi creditrici o debitrici sul mercato, dove negoziano i rapporti attivi e passivi che loro derivano dalla clientela, sulla quale scaricano l'onere: in tal senso la conseguenza che il sistema bancario, in quanto perno del sistema dei pagamenti, assomma in sé gli aspetti positivi e negativi del sistema delle imprese, perché ad un ambiente economico-produttivo efficiente corrisponde un ambiente bancario con le stesse caratteristiche e simmetricamente con le medesime possibilità di crescita e viceversa.
E' non l'è un controsenso"..!
Delincato a grandi tratti lo scenario, il "palcoscenico pleistocenico", va considerato il micro-sistema esistente nella sub-regione salentina, con specifico riferimento al Salento leccese, allo scopo di considerare obiettivamente
"la realtà" ("che decadenza"!) ed ipotizzare, magari in termini di mero auspicio, le prospettive che potrebbero essere conseguite. Studi del settore attribuivano, addirittura già prima della attuale crisi mondiale, caratteristiche volatili all'insieme economico-produttivo e riconoscevano al sistema bancario locale grossi connotati di inefficienza. E' il cane che si morde la coda, ed il problema non cambia sia che la situazione venga al meglio considerata un "altopiano preistorico" immobile, ogni giorno con "una ruga in più", lentamente mutabile ma solo a patto che intervengano "grandi novità", ovvero una "notte blu" nella quale l'imprenditore percorre "una strada" che "dove vada a finire non so dir e che "al fondo... scuro di un nero già blu" non consente di intravedere prospettiva di soluzione alcuna.
La connotazione, quindi, è che l'ambiente è pigro; che le strutture produttive sono finanziariamente e strategicamente fragili, che le banche sono inefficienti, che esiste pure limitata progettualità, e che infine i problemi generali (unificazione europea, svalutazione, inflazione, disoccupazione, deindustrializzazione, deintegrazione e consimili) rischiano di sterilizzare quel poco di positivo che faticosamente è stato realizzato e che, strenuamente, si tenta di difendere: l'aspetto negativo è ulteriormente condizionato dal "gorgo perfido" rappresentato dalla progressiva delegittimazione e dequalificazione dei pubblici poteri, "sempre impassibili".
Per questi motivi le piccole imprese operanti sul territorio non possono ulteriormente essere abbandonate a se stesse come "piccioni dalle ali bagnate", alle prese con problemi di competitività rispetto al mercato ("sensuale invisibile, teorico"), di difficoltà connesse al reperimento di capitale di prestito ("non ho una lira, questa è la realtà"), di impossibilità a dialogare ("sono qui... sempre più solo") con intermediari specializzati, sia nel campo della consulenza che in ambito finanziario.
Gli sforzi posti in essere dalle organizzazioni di categoria sono apprezzabili ma, certamente, insufficienti: esse "oramai" fungono solo da cassa di risonanza dei problemi, sempre più 'amari`, ai quali fa da contraltare una assuefazione al peggio - che deve ancora venire -, una sorta di stoica rassegnazione all' "indifferentemente" derivato dalla mancata focalizzazione della essenza del problema ed alla propensione all'individualismo.
"Certe parole sembrano pianto", ma il tutto è aggravato da un tasso elevato di inquinamento delle istituzioni e da un degrado sempre più progressivo della classe politica, espressione naturale del territorio, che trova omogenei i rapporti con imprenditori disinvolti ai cui affari sovente non è estranea, ed insieme ai quali non disdegna di aspirare, con voluttà, l'una mezza sigaretta".
Non può, in questo ambito, ignorarsi la problematica che le piccole imprese salentine dovranno affrontare a breve, col realizzarsi del mercato unico, un maxi-aggregato nel quale convivono realtà diverse, obbligate a compattarsi "come fa l'Europa quando piove" per reggere all'urto della globalizzazione, più che della internazionalizzazione. Grazie alla telematica, infatti, il mondo è ormai diventato un unico ambiente economico suddiviso in aree rilevanti, riferibili a continenti o parte di essi. La realtà europea è dominata da un gigante, per decenni in letargo, forse in una Trabant, che una volta risvegliatosi non riesce a nascondere il suo senso di superiorità, i suoi inevitabili disegni egemonici, nonostante la dolcezza di "Madeleine".
Oggi è difficile dire se la comunità che ci stiamo affannando di mettere a punto sarà dominata da una Germania Europea o dovrà considerarsi un'Europa Tedesca: sta di fatto che la congiuntura sfavorevole che stiamo vivendo - innescata dalla caduta dell'impero sovietico e dall'azzeramento della economia pianificata - richiede lo stabilirsi di nuovi rapporti di forza, nell'ambito dei quali non possono non riconoscersi le sussistenze dei ruoli preminenti per economie, più intraprendenti perché più solide, rispetto a ruoli di comparsa, riservati ad economie più deboli che hanno vissuto, e fatto vivere, al di sopra delle effettive possibilità: sarebbe il perpetuarsi di "un vecchio errore"!.
E' come procedere su di un filo teso nel vuoto, una "vita d'artista" in relazione alla quale, ipotizzando un epilogo, c'è da chiedersi "ma cosa resta?... tutto inventato? ...": per fornire una risposta occorre considerare che anche i paesi industrializzati hanno al loro interno regioni più povere, alle quali hanno da sempre trasferito le risorse eccedentarie.
Non è certo dall'estero, quindi, che perverranno le soluzioni ai nostri problemi, tantomeno è utile continuare ad ammettere passivamente che "così va il mondo", in perenne attesa di "un incantesimo" che "qualcuno", "chiunque" - forse anche un capopopolo, o un grande vecchio, od un altro uomo della provvidenza, o forse "Zorro" insieme a "Fantomas" - potrebbe determinare mentre "dondola il sogno": non serve.
"La strada... è stata percorsa già": come già accertato studiando il problema del Mezzogiorno dopo l'unità d'Italia, assisteremo ulteriormente alle enfatizzazioni di particolari etnie, a trasferimenti intimi, da fratelli ricchi a fratelli poveri, con poca considerazione per i rapporti di parentela più attenuati, magari tra cugini di ennesimo grado, ai quali sarà sempre riservato solo un "trasandato hotel".
Ovviamente nelle logiche di investimento peserà il gap da periferia, perché "sono fatali le distanze", e la presenza di situazioni anomale condizionanti l'ambiente, "il tuo mondo", in quanto il discorso sarà guidato da scelte capitalistiche e non da considerazioni sulla solidarietà internazionale o sulla necessità di attenuare gli squilibri di ogni singola macro-area.
Non è perciò lecito ipotizzare il perseguimento di una sola Europa, omogenea ed integrata quanto il crearsi di due Europe, una sviluppata che continuerà a crescere, "più su del regno delle aquile", ed una sottosviluppata, che "un'altra cosa sarà" perché continuerà a regredire, se non si inverte la tendenza. Con queste premesse il ruolo riservato alle imprese salentine è tutto da scoprire.
Non è certo da una cascata di metafore, per quanto superbe, che si possono trarre le conclusioni del discorso impostato in termini di prospettive: parrebbe "un disco dove uno abbaia follia". Come sempre è opportuno fare ricorso al pensiero classico, "che abbaglia la gente", e rammentare che tra due paesi, nei quali si produce congiuntamente panno e vino a parità di costi, non sussiste alcuna possibilità di scambio; viceversa, in presenza di diversi costi comparati, il meccanismo delle transazioni si avvia nella misura in cui ciascun paese si specializza nella produzione a maggiore valore aggiunto e crea dosi incrementali di ricchezza.
Dal paradosso è possibile ricavare la filosofia che dovrebbe presiedere ai nuovi rapporti da impostare: la parte sana della economia salentina deve smetterla con "i grandi sbadigli" per indirizzarsi verso attività produttive non importabili, piuttosto che alla sua sopravvivenza (che non è sufficiente perché "eventualmente" destinata a sfociare in patologia) al Suo rilancio; tale programma è realizzabile rinforzando la struttura finanziaria delle imprese ad esse dedite, anche per enfatizzare lo spirito di intrapresa, mercé la creazione di idonee entità locali, alle quali attribuire la funzione di vere e proprie infrastrutture finanziarie, disponibili ad apportare 'risorse" nella fase progettuale delle iniziative, nonché a fornire la consulenza specifica indispensabile, in "un tempo che tempo non sia", coerente con i bisogni del territorio interessato.
Ciò consentirebbe "ineluttabilmente" di abbattere l'economia dei cialtroni, dei "suggestionatori", parassitaria, illegale, illuminata da "luci sinistre", "che non ha più niente da dire", a vantaggio di quella "silenziosa", reale, attiva, propositiva ed autosufficiente orientata da un "vento che tutto quanto sparire farà". Nel contempo andrebbero individuate e promosse attività che generano prodotti collegati ai fattori climatici favorevoli, il "gran bel tempo" nel quale esistono, talvolta, "piogge guizzanti" ma altrettanto certamente "nuvole bionde" piuttosto che una gelida "temperatura inglese". Non dobbiamo vivere come colpa il fatto di possedere, tutti quanti i coinvolti in questa "storia", che perciò non è solo "un fatto mio", una cultura contadina piuttosto che industriale. La nostra terra è "un universo, un enigma", con tradizioni di base che, una volta autorizzate adeguatamente, sono da esportare; le nostre coste non hanno nulla da invidiare ad altre, più rinomate solo perché dotate di maggiori servizi; ad esse fanno corona paesini e cittadine dell'entroterra e sul mare, nonché masserie fortificate, che esprimono civiltà, anche nei muretti, e più che "passabile" cultura classica; le nostre chiese in pietra leccese, specie quando sono intrise del sole del tramonto, sono unanimemente riconosciute come monumenti da cui trasuda l'il segreto di un'intimità" che travalica `indaco" del "silenzio"; addirittura la nostra rete viaria consente facili spostamenti da una parte all'altra del Salento, in poco più di mezz'ora, il che "vuol dire" che sono percorribili itinerari suggestivi e gradevoli.
In questo contesto va tenuto presente che l'è quasi l'alba ... e fuori rosa è adesso il blu", che esistono cioè piccole e medie imprese in grado di essere competitive se ed in quanto aiutate ad essere al passo con i tempi in un ambiente favorevole, che consenta di individuare, e quindi tutelare, la loro nicchia operativa, e così porle nelle condizioni di vincere la "grande battaglia".
Tanto il Salento può e deve esprimere, come se fosse una l'oasi di carovaniere" e non una stazione di fine corsa del "treno dei desideri", senza timore, sulla "pista dell'allegria" rappresentata dal "domani" che l'è già qui", che forse "è diventato oggi troppo in fretta ......


NOTA
* Le frasi tra virgolette sono di Paolo Conte


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