§ Salento - Firenze

Lo "spazio" creativo di Oreste Macrì (2)




Gino Pisanò



Ma lo iato prodotto dalla guerra, così nella storia come nelle coscienze, non poteva non lasciar segno sull'anima di Macrì. Il bisogno di un ripiegamento interiore per ritrovarsi e per 'capire', un impulso profondo a riconsiderare il senso dell'hic et nunc, alle sognlie del gouffre, il demone della verità, cercata in interiore, che incrocia "l'ossessione dell'umano [ ... ] nuovo e strano iddio che di noi stessi si ciba e ci coglie nella sua totale immanenza" (69), ma soprattutto la proda all'orizzonte di un umanesimo integrale che riveli "l'indifferenziato senza generazione [ ... ], il vero ignoto che ha sepolto la natura e il suo ultimo oggetto" (70) sono le spore di quel contributo alla critica di se stesso che brucia col calore di fiamma lontana nelle sue Pagine di un diario (1952) "semplici testimoni di un'anima che ancora si dilettava ad ascoltarsi liberamente nel pathos sacro dei limiti e degli oggetti di una natura provvidenziale e materna". (71)
Ancora una volta, dopo Fogli per i compagni, l'empito speculativo si coniuga con l'autobiografia spirituale: Agostino, Vico, Pascal orientano in senso trascendentale (uso il termine nell'accezione kantiana) l'escavazione interiore e allora il rovello esistenziale si fa domanda circa "l'inclinazione del piano della storia". Queste, a grandi linee, le ragioni che produssero Pagine, scritte fra il 23 settembre 1944 e il 28 aprile 1945 (72) e ascrivibili, al pari di Fogli, al periodo parmense o 'secondo', dopo il ?primo' frontespiziano, solariano, fiorentino. Ed egli aveva atteso "circa otto anni, illuso di evitare un pentimento nella furia cronachistica degli immediati anni postbellici" (73), prima di pubblicare quelle "pagine" sul quinto fascicolo delI'"Albero" (74), sede quanto mai opportuna e propizia alla rotta verso un neoumanesimo.
La scelta di editare alcuni brani del diario è generata dalla collocazione stessa del testo in parola sia all'interno della storia interiore di Macrì, sia dentro la vicenda generazionale che sempre sarà il referente e il sostrato del discorso macriano:

Un caso strano era accaduto in quel tempo di guerra universale e radicale: mentre la maggior parte dei miei coetanei, tra cui certamente i migliori, si era umanizzata nella lotta, nel sangue, nel sudore, nei contatti arcaico-economici di un'umanità tornata alle origini, e ritentava dal fondo dello sgomento l'impulso eroico, quasi una novella fondazione della vita [ ... ], una sparuta minoranza, tra cui chi scrive, fuori dalla momentanea retorica [ ... ], pur intimidita e schiacciata, tentava di trar profitto dalle condizioni ancestrali nelle quali la vita si era ricondotta, cercando di mirare più attentamente essa natura obbiettiva tanto spoglia, secca, deserta, nella sua sola luce e nelle sue forme (75).

E quelle "condizioni ancestrali" indirettamente chiamano in causa Fogli per i compagini, il "corpiciattolo" e l'"ora cotidiana" nell'ottica "del sangue e dell'istinto", insomma, ancora una volta, i "regni inferiori" dell'io. L'ermeneusi di Macrì slitta così dal piano della parola poetica a quello esistenziale, heideggeriano, della comprensione dell'esserci, del Dasein mit anderen come Seinsfrage, sicché si riformula la finitudine dell'ente alla luce del rapporto drammatico fra l'io e il mondo.
In queste pagine sembra dileguarsi, ancora una volta, il sogno che da Aristotele a Hegel ha cullato la cultura occidentale: quello del dominio razionale della realtà. E allora al pensiero interpretante non resta che riconoscere lo scacco dato all'assolutezza del suo atto.
Contestualizzata nel peristilio dell'esistenzialismo, la riflessione di Macrì sussume e ripropone, in quegli anni di conflitto, il problema del senso dell'essere: all'istanza ontologica si intreccia l'istanza assiologia dei supremi archetipi (bene-bello-vero). Essa tenta di introdurre nella banalità del mondo la luce di un significato salvifico. Heideggeriano ci appare, dunque, il "corpiciattolo" avvertito nella dimensione quotidiana: in suo nome Macrì, come abbiamo già detto, aveva contestato ai solariani "il vaneggiamento della donna amata" e "il fantoccio dello schermo". Heideggeriano perché convoca l'ente nella storicità del qui e dell'ora, sottraendolo ad ogni asettica e mistica astrazione. Alle spalle di Pagine vi è il teatro della guerra

Giorni fa tornavo da l'arma in bicicletta. [ ... ] Pattuglie dell'esercito occupante rastrellavano la zona di uomini idonei al lavoro e di partigiani [ ... ]. Con la testa vacua [ ... ] attraversavo le campagne e i paesi spogli d'anima viva. Era un giorno aperto, di sole luminosissimo (76).

Si profila la caduta nel gouffre del Non-essere alla cui teologia è intrinseca una natura dialettica:

non c'è dono, prima di un altro dono, non c'è atto d'amore prima di un altro atto d'amore e l'entità [ ... ] si inventa totalmente daccapo e dal nulla al nulla si commisura: immacolata [ ... ] resta soltanto la fruizione del dono e dell'atto d'amore (77).

Si riconnette, così, dialetticamente l'atto puro alla sua economicità per poi kantianamente sottrarlo a ogni logica utilitaristica

Nessun accento materialistico, ma una paziente penetrazione nella natura del bene, il quale non deve schiacciare col peso dell'autorità e della trascendenza, ma deve donarsi e sciogliersi totalmente nella gioia della fruizione (78).

Solo alla luce e nella luce di questo imperativo categorico è possibile tessere "la trama originaria di una probabile salvazione" laddove "il dolore dei vinti è la suprema intelligenza della terra" (79).
Spirito laico e 'religioso' insieme, Macrì avverte la fascinazione dell'infinito cui anela, alla maniera dell'hölderliniano Hyperion, per panica e cosmica fusione ("Allora percepii nitidamente, in piena luce, quell'eterno che non mi avevano donato i tanti pensieri delle mie povere notti, e procedetti stordito") (80), ma resiste in lui la 'ferinità' vichiana dello zoantropo ("L'universo viene con me [ ... ], ma la voce dell''animale' mi sussurra qualcosa di tremendo [ ... ] mi dice [ ... ] di non fidarmi di questi colori che si esaltano fra le prensili mani dell'anima") sicché le ragioni del senso disvelano l'infinita vanità del tutto e la sommano alla heideggeriana, negativa appercezione dell'esserci. ("Si apre, si spacca anzi il frutto marcescente de1 cosmo e ne scaturisce una melma magica, una pappa di anime [ ... ]. Allora mi afferro con tutte le mie forze al visibile e dico: qui siamo e tutto è qui; che il tutto s'è qui totalmente rivelato per quel che è") (81) fino alla scoperta dell'essere Per la morte ("Allora solo la morte infrange l'intricato filo dialettico, la morte che scende inesorabile 1 che tutto inabissa nel nulla") (82).
Nonostante la densità gnomica e filosofica del tracciato speculativo-discorsivo, fra Husserl, Heidegger, Vico e Kant, il tono non è monocorde e logicizzato ma, direi, lirico. La campagna parmense, Parma medesima, assumono per Macrì i connotati di una seconda 'dimora' (83); se ne offre a segno un }grano che illumina il libro segreto dello scrittore, voglio dire il rapporto 'vitale' fra la sua anima e la nuova terra d'elezione:

Una di queste sere dell'autunno, in cui lo splendore della fine della luce è così maturo e lavato, che pare detergere e rinvigorire la pasta granulosa e grigia dei piani e delle colline, dei casali e degli alberi, l'anima [ ... ] è davvero fino in fondo un fiato insano, una fisima malefica, una demonica cartilagine che, ovunque si posa, comunque è attratta e da ogni parte è respinta" (84).

Apollineo e dionisiaco, ferino e divino palpitano in queste pagine vibranti e corrusche, sempre intimamente coese dai due opposti maggiori della cultura occidentale: senso ed idea.
Con la pubblicazione di Pagine di un diario si chiude definitivamente il periodo parmense. Macrì ritorna a Firenze per accedere all'insegnamento universitario (1951) e svolgere, contestualmente fino al 1956, la funzione di Preside nella scuola media "Lorenzo il Magnifico". Durante i trentacinque anni di magistero accademico, la sua attività creativa segna il passo. Esclusiva e 'ascetica' è la milizia del critico, del teorico della letteratura, del traduttore (riceverà, per questo, il premio "Carmen d'Andrea", Grinzane Cavour, 1987), del filologo. La stia produzione acquista dimensioni oceaniche; fra l'altro egli cura, in collaborazione con Gaetano Chiappini, la maggiore e definitiva edizione critica dell'opera di Antonio Machado (e gli verrà la medaglia d'oro "Al mérito en las Bellas Artes" conferitagli da re Juan Carlos di Spagna), fonda l'ermeneusi della poesia di Lorca, che traduce, determinandone la 'fortuna' in Italia, realizza una monografia su Guillén che si aggiunge ai precedenti e fondamentali studi su Fray Luis de Léon, Juan de la Cruz, Góngora, Quevedo, Bécquer a partire dal quale traccia il profilo completo, sul piano stilistico, ideologico, storico della poesia spagnola del Novecento. Poi la quiescenza (1988) e la nomina a professore emerito dell'Università di Firenze, quindi l'absoluta libertas nella quiete domestica della sua casa fiorentina confortata dall'affetto coniugale, dagli studi ancora e sempre fervorosi, dalla devota osservanza di discepoli e amici, dalla frequentazione degli antichi compagni superstiti della stagione ermetica. Ed ecco ravvivarsi l'antica fiamma, redeunt Saturnia regna: ritorna sorprendentemente alla narrativa pura che condensa, nei suoi tratti fantastico-allegorici, le coordinate ideali della sua scrittura creativa (umorismo, lirismo, autobiografismo) nella visione prospettica di un mondo... mutatus ab illo, visione distaccata eppur partecipe e viva.
Allo Sturm 'ortisiano' dei Fogli e delle Pagine succede la saggezza di Didimo e di Filippo Ottonieri. Nascono così Schibalopoli (85) (1990) e Mister Trascendental (86) (1991), due racconti che meglio sarebbe definire 'operette morali' per quegli effetti di straniamento satirico-ironico-fantastico che ora surrogano la meditazione 'scoperta' sui costumi del genere umano.
Ma l'archetipo - 'esemplare' è, segnatamente per Schibalopoli, Jonathan Swift: al Gulliver che nel romanzo parodico settecentesco consuma l'esperienza odeporica nel paese dei nani (Lilliput), in quello dei briganti (Brobdingang), nell'isola volante e fra i cavalli sapienti (Houghuhnms), al Gulliver-Swift che, nella finzione surreale e fantastica, mette in stato d'accusa l'umanità intera (i disgustosi Yahoos) dalla vita ferina, fa eco, nel primo dei due racconti, la lucianesca avventura (il riferimento a Luciano riguarda il Viaggio sulla luna al crocevia del parodico, del satirico, del fantastico, del 'meraviglioso') di un marziano che, reduce dalla Terra, relaziona al Parlamento del suo pianeta circa l'esperienza da lui compiuta sul nostro, durante un viaggio avvenuto nell'anno... 2090. Si noti il century after in cui si proietta il theday after ben noto. Ed ecco il paignion agrodolce dello ysteron-proteron della satira (che chiama in causa il registro ludico di certi adynata, fra farsa e tragedia, del "mondo alla rovescia", maestri i fiamminghi Bosch e Bruegel, in una società che ha smarrito la sua identità), e il ludus satirico-fantastico si fa detonatore di una coscienza che pone l'uomo agli antipodi di se stesso, mentre pianto e riso, pietà e derisione (pirandelliano sentimento del 'contrario') si copulano nel gioco fra menzogna e verità. Si attua, così, quel "paradosso dell'invarianza" (Monod) in grazia del quale il vero e il falso si ritrovano insieme e si fondono nella duplice ma, in realtà unica, cifra serio-giocosa come analità e oralità, ossimoro esemplare (per via delle fecicibo) in Schibalopoli. Macrì, novello Tristam-Didimo, malcela nel grottesco la sua distopia, cui fa espresso, ma larvato accenno in un inserto metanarrativo, dichiarandola "inversa" alla maniera l'esasperata" di Swift, Butler, Zamiatin, Orwell, Huxley, Landolfi, Buzzati, Calvino (87). A dominare è, infatti, una langue polisemica: ad esempio alla Città del Sole di Tommaso Campanella è irrelata, in Macrì, la Città organica abitata da gente "terrea e obesa [ ... ] tranquilla ed estasiata" che respira "beata a pieni "polmoni" con rantoli e stertori traboccando liquidumi dai vari pori, fori, ghiandole". E' tutto un brulicare di uomini "apatici [ ... ], introflessi verso l'interno di ciascuno di loro, come inesistenti". Schibalopoli è la capitale della Terra e non è difficile scorgere, nel calembour, l'etimo della città degli escrementi (cfr. gr. skybalon) in cui si slarga un immenso Parco gastronomico "dove la folla formicolava in piedi, ma come sdraiata, seduta, capovolta per la complessione" e "mangiava e beveva, o meglio ingurgitava, succhiava, leccava, pocciava, lambiva, essendo del tutto sdentata, soccorrendo labbroni flosci [ ... ] in uno scoppiettìo di meteorismi 1 petardi e flati, rutti, reciticci ecc.".
Il lettore avvertirà certe suggestioni di stampo petroniano: come nel Satyricon, il cronotopo èquello del viaggio, dell'avventura, del ritorno. Il fagismo trimalcionesco si coglie nell'abbuffata del Sindaco "con tutta la sua giunta, loro signore e pargoli, parenti e amici". Insomma è una città che "vive e muore [ ... ] con puro e solo materiale escrementizio", dopo l'invenzione "omeopatica" fatta dalla moglie di un ristoratore. Costei e la sua prole "dal megacolon e dal megauretere" defecano e riciclano le feci, miracolosa panacea contro l'anoressia del genere umano che, ormai, dopo aver gustato tutti i più delicati cibi, è affetto da nausea e sente risvegliarsi l'appetito mercé la nuova gastronomia (fecale - urinaria - spermatica - scialorroica) e, superata la prova della selezione naturale, ormai vegeta, "espansa la massa corporea a un paio di metri, le carni flaccidamente polpose, sgocciolanti di untume [ ... ] il naso appallottolato, eroso se non rientrato nella cavità mascellare sdentata, la bocca anale per indistinzione fra i due fori".
Non lontano da certe sequenze del felliniano, ma seriore rispetto al racconto di Macrì, La voce della luna (si ricordi anche La grande abbuffata di Tognazzi) né da certe degradate esistenze eliotiane, Schibalopoli cela sotto il sudario satirico-parodico-fantastico l'amara Weltanschauung del suo autore, ossia il SUO j'accuse all'indirizzo del 'progresso', del consumo, della crisi di valori che è propria del genere Limano. Nell'humour tragicomico, archetipo il Leopardi di certe ben note Operette e dei Paralipomeni, il mimetizzato annuncio di un mondo senza speranza: la stessa Provvidenza divina èparodiata nella "bontà" di un Creatore prodigo verso i suoi figli ("quos aequus amavit Juppiter") che costituiscono il nuovo genere umano del 2090. La fuga dalla terra, lo schifo, il vituperio del marziano esploratore, l'incredulità sua e dei suoi compagni d'avventura, la delusione del Parlamento di Marte chiudono il racconto e ipostatizzano la condanna e il rifiuto del mondo, ovvero la distopia di una nuova città... eliaca, ultima pielas verso l'umanità che tenta di sopravvivere alla propria morte.
Ben altra, ma complementare angolazione, ha Mister Trascendental (88). Se in Schibalopoli l'archetipo èSwift, qui, come cercheremo di dimostrare, è Pessoa insieme con Machado. Il racconto scorre sul filo di una grande saggezza, rarefatta da quella Musa sovrana che è l'autoironia, attraverso la quale soltanto è possibile la catarsi del reale, "unico punto di equilibrio fra il tutto e il nulla" (P. Boitani). Funzione salvifica codesta che consiste nel "distruggere" per "ricostruire" sicché, evocando Eliot, par che l'autore voglia dirci "In my end is my beginning". Ancora il paignion si ricandida a veicolare l'innata arguzia macriana, forse ancestrale retaggio dell'italo aceto dei Padri. Si assume una chiave allegorico-fantastica, parodica del sacro e del trascendentale, non latente la [quarta radice" sotto lo schermo del metalinguaggio e dell'eteronimia. L'escamotage dello pseudonimo consente all'autore di doppiarsi nell'atto epilinguistico che ora veste i panni di una il-torsione satirica, iperbolizzante e dissacrante, dinanzi alla Morte cui dà scacco l'ironia, ma che, insieme, sacralizza ("purificata come oro di zecca 11) un sentimento laico eppure "religioso".
Mister Trascendental mi sembra la maggiore e più intrigante prova creativa di Oreste Macrì. Arditissima, fino alle soglie della letteratura d'essai, la fabula: l'Autore, mimetizzato nel suo "double" Simeone, si racconta (locutore / attore) in flasch bach dall'Aldilà dove è giunto con un trapasso indolore, fiabesco - dysneilandiano, sulle spalle di uno strano ippogrifo, il messo ("psicopompo" della genia di Ermes) dell'"American Trascendental Investiment Bank", un istituto di credito della Luisiana specializzato in fondi d'investimento nella "miglior vita", dove il "Grande Demone Intermediario" lo apostroferà accigliato e, come in un'operetta del Leopardi, dialogherà con lui nel mondo iperuranico. Ma di ciò si dirà fra breve. Dicevamo dell'autore che si racconta, o meglio... di Simeone che narra i casi ultimi e "trascendentali" di un tal dottor Macrì, ispanista novantacinquenne, titolare di una pineta ("Calamuri in quel di Otranto"), dimorante a Firenze, il quale, avendo "raggranellato" dopo molti anni di docenza universitaria la somma di 920 milioni (pari "a dollari 766.666 e infiniti 6") ha appreso da un suo collega di Houste che in America vi è una Banca (la citata "American Trascendental ecc.") specializzata in investimenti nell'Erebo (parodia della zona sacrale-animico-demonologica). Avvertendo egli "certi sintomi galoppanti", premonitori della "fine", ignorato dalle "nuove e già vecchie, pur esse, generazioni dell'ultimo ventennio", identificato "in qualche nota di storie letterarie e in qualche saggio o articolo sul consueto ermetismo "come un tale che visse... frequentò... collaborò... rimase fedele" (si prega il prof. Macrì di non fare ammenda all'estensore di questa nota per aver, anche costui, usato forme verbali "preterite" al suo indirizzo) decide di imbarcarsi su un aereo per raggiungere Baton Rouge, la città sul Mississipi, sede della suddetta Banca, per investire i suoi risparmi a pro dell'"altra" vita, attesa l'esclusiva operatività in quel settore dell'Istituto di credito americano.
Fin da queste prime battute, il lettore si imbatte nella dissacrante parodia del mito americano (anche in Schibalopoli le sagome megasomatiche sembrano allusive a certa morfologia antropica statunitense). L'America (U.S.A.) adombra il Paese di Cuccagna dove tutto appare (o è) possibile: perfino trasferire titoli di credito nell'Aldilà per agevolazioni... trascendentali! Dopo numerosi, ma inutili tentativi di individuare la Banca ("nessuno sapeva niente. M'addannavo a domandare a destra e a manca [ ... ] perfino al Sindaco e all'arciprete"), ormai additato e chiamato da tutti Mister Trascendental, il dottor Macrì, quasi in catalessi, viene raggiunto, anzi scovato, nel suo albergo dal messo di cui sopra ("Dottor Macrì, non c'è tempo da perdere. La sua ora dell'appuntamento è scoccata e il direttore l'aspetta") e traslato da codesto germano di Mary Poppins coram direttore, che tutto sa di lui: titoli accademici, bibliografia "approntata [ ... ] a cura del professor Chiappini", cifra del risparmio, ahimè troppo scarna poiché solo il minimo di un milione di dollari gli "consentirebbe, dopo morto, di rivedere la Terra almeno per tre minuti, tempo-base per qualunque operazione bancaria di quel tipo". Egli, invece, potrà disporre solo di "2 minuti e 29 secondi", ma può giovarsene per via di una eccezionale scappatoia riservata ai "soli critici letterari" come lui che "ha dedicato 15 lustri a questa commovente quanto superflua attività [ ... ] testimoni le 2673 pubblicazioni [ ... ] pari a ca. 19.000 pagine e 715 volumi [ ... ] mero flatus vocis" cui si sommano "ridicoli e supervacanei titoli, benemerenze, riconoscimenti, patacche ecc. [ ... ] di che dovrebbe vergognarsi" come anche dovrebbe delle sue "traduzioni per migliaia di versi [ ... ] con doppio distacco dalla natura e dalla realtà", sicché non si è goduto "il bel pianeta [ ... ] venerato solo attraverso le verbalizzazioni dei poeti". Insomma il dottore non ha mai visto l'azzurro del cielo senza le lenti della poesia, o più propriamente se l'è goduto "nei versi di Dante [ ... ] Dolce color doriental zaffiro [ ... ]" nè mai "ha ammirato uno squadrone di cavalleria precipite" senza associare i "famosi versi di Virgilio [ ... ] quádrupedánte putrém [ ... ]", dilettandosi, fin da bambino, col "mallarmiano bibelot d'inanité sonore", perfino dinanzi alla Morte i suoi occhi cercando, col Foscolo, il sole. insomma un fallimento: solo meno di tre minuti potrà rivedere la Terra contro i 92 anni di qualche plutocrate o sceicco o "mafioso di buoni affari". Vane le proteste di Mister T. che reclama più generosità, ma si sente opporre che

la vita è cara [ ... ] un solo istante, che dico, un minimo di un minimo di istante di vita aria luce ecc. è un tesoro inestimabile

sicché non gli resta che spendere bene "i suoi 2 minuti e 29 secondi" per rivedere la Terra che "non ha conosciuto e assaporato immediatamente". Troppo poco. Ed allora la scelta dei luoghi è deputata da Mister Trascendental al direttore: faccia lui;

Solo non manchino la mia bella pineta del Calamuri, il largo Alogne di Cursi, dove giocavo bambino, la Plaza Mayor di Salamanca, la passeggiata con l'amico Panarese dal cimitero di Settignano al Ponte della Mensola.

E con le credenziali del direttore, il tapino, ormai nell'Aldilà, si presenta al Grande Demone Intermediario che, superior come il
lupus della favola, lo interroga e lo spiazza: la Bank è l'una delle innumerevoli sue finanziarie sfuggitegli di mano che speculano sulla libido aeternitati". (Pari da sé il lettore... "trascendentale" la stoccata allegorica). Il Mister è stato truffato: un credito di vita è trasmissibile con assegni di conto corrente, il contratto è nullo, esistono altri e più seri istituti di credito in affari "escatologici". Ma Mister T. non ha più un penny, ha solo da spendere la sua "morte purificata, come oro di zecca [ ... ] compresa la coscienza, già scrostata nell'allenamento alla morte durante la sua vita". Il grande Demone accoglie e riflette:

E' la prima volta che ci viene offerto un valore inestimabile come la morte

e poi aggiunge:

Quando si è nati non si muore mai [ ... ]. Questo Aldilà non è nulla rispetto agli innumerevoli e infiniti altri Aldilà [ ... ] e nessuno può giocarsi la morte [ ... ] Potremmo accendere al suo nome un contocorrente o aprire un libretto al portatore, depositando per lei un piccolo acconto sulla sua morte.

Passano i millenni e Mister T. aspetta che si profili un prossimo Aldilà con la speranza di "trovare esperti più competenti e autorevoli in materie bancarie trascendentali", ma spasima di

rivedere la cara Terra, sia pure per qualche istante: quell'azzurro del Cielo di Dante senza Dante, quei cavalieri di Virgilio trascorrenti sul suolo vibrante [ ... ] senza Virgilio [ ... ] ripetere del Foscolo il momento della sua (di M.T.) morte volgendo l'ultimo respiro alla fuggente luce senza il Foscolo

insomma guardare il mondo non più sub specie poësis, ché la poesia è "l'eclisse della realtà".
Questo il tessuto narrativo, polisemico e denso di umori filosofici. Fra le letture possibili eccone una: mi sembra che il motivo dominante sia dato dall'ironia sulla Morte e, insieme, dal canto della sua sacertà. Neppure la "diva severa" si sottrae al ludo letterario, parossistico fino allo scherno nello straniamento allegoricofantastico. Attraverso un gioco di specchi (Macrì-Simeone-Mister T.) e di discronie, dilatato ad libitum il cronotopo, l'Autore si proietta in una dimensione surreale e, fra iperbole parodica e ironia, riflette da cinico (uso il termine nell'accezione più rigorosamente storico-filosofica) sulla vanità della vita, sulla reificazione e mercificazione (cattolica?) della Morte e di Dio. Archetipi, di codesta laica ed agra visione del mondo, Luciano dei Dialoghi del Morti e degli Dei e Leopardi delle Operette morali, di cui si avverte la lezione a proposito del binomio letteratura-vita:

"[Gli antichi] quando volevano descrivere il cielo, il mare, le campagne, si mettevano ad osservarle, e noi pigliamo in mano un poeta, e quando volevano ritrarre una passione s'immaginavano di sentirla, e noi ci facciamo a leggere una tragedia, e quando voleano parlare d'universo vi pensavano sopra, e noi pensiamo sopra il modo in che essi ne hanno parlato" (89).

Non è difficile ravvisare la giocosa e tenera palinodia autobiografica accanto alla parodia del sacro e del trascandentale in quanto di storicamente "positivo" e riconoscibile ne è alla base. Sotto il velame dell'allegoria si parodiano certe umane speranze e... committenze circa una sopravvivenza ultraterrena cercata a tutti i costi Ce dopo morto non si capisce che cosa ci vada a fare nell'altro mondo se in vita non ha goduto di nessun brivido o fremito del sacro o mistero o enigma"), fino al mercimonio simoniaco della misericordia e della Morte medesima. Ma mi sembra che non si debba cercare, nel messaggio macriano, altro che non sia una pura eticità sortita da una saggezza che sa ridere di ciò che farebbe piangere (ancora una volta Il umorismo nella pirandelliana veste di sentimento del contrario) perché Macrì, per dirla con Leopardi, ha fatto oggetto di commedia ciò che è proprio della tragedia, copulando autobiografismo, lirismo, scetticismo, umorismo in una gnomica, ma sempre lieve e "sorrisa" (mi si passi il dantismo) parola poetica, patinata di ironia e di autoironia sicché, in definitiva, è la sua stessa esistenza ad essere processata e, con essa, la letteratura ("Mi resterà un assillo: per quale motivo la Terra ha bisogno della poesia?" è la clausola del racconto) nella quale egli si è identificato subendone il potere assorbente e demonico fino all'alienazione.
Perfino la poesia, in questo orizzonte, è illusione, suprema ma vana, è "eclisse" del mondo. Resta solo, a conti fatti, la memoria salvifica della "dimora" genesiaca (Maglie, Cursi, Calamuri) microcosmo fanciullescamente arriso di speranze. Torna Leopardi ("pentirommi e spesso ma sconsolato volgerommi indietro") ma... senza Leopardi, ché al pianto e al pathos hanno dato scacco il gioco e il riso. A questo scopo soccorre l'infratesto (si osservi la valenza ludica di certi arcaismi, "mi guatò", o di certo idillismo, "Illune su di noi fulgeva il firmamento"), ma, soprattutto, l'alterità, sicché, pur mantenendosi l'identità ortonima, in realtà si assiste al distanziamento dell'io reale dall'io figurato. Da qui, come in Svevo, il camuffamento indotto dalla mimesi poetica nell'autorappresentarsi. E allora la pseudonimia (Simeone, da Canto di Simeone di Eliot, tradotto da Montale) è un elemento strutturale del discorso: attraverso il suo doppio l'autore si nega, ma anche questo è un gioco. In realtà tale negazione èambigua, ché egli si rappresenta per quel che non è in alcuni casi, per quel che vorrebbe essere in altri. Così, ad esempio, sotto la scorza delle iperbolizzanti e pedanti attribuzioni di consensi (i titoli) si cela Il altro Macrì che cerca la sua vera identità. Alla base di tutto il racconto, mi sembra che ci sia una metaforica esperienza di scacco, di alienazione e di morte che è poi la scoperta heideggeriana dell'autenticità dell'io.
Macrì usa il suo ortonimo e il suo pseudonimo per "ingannare" il lettore: verità e pseudos, come in Pirandello, sono dialettizzati. Ossimoro che fa della menzogna (la fabula) verità e della verità menzogna (l'aforisma, di Giorgio Manganelli, vale per la letteratura in generale). Allora il nome non è più elemento di identificazione ma di differenziazione -alienazione del soggetto da sè. In questa bachtiniana "essenza dialogica" della parola si incarna la crisi del soggetto che abdica, con lo pseudonimo, alla sua identità per recuperarla paradossalmente nella finzione, laddove si fa eteronimo. Questa la lezione di Pessoa e Machado (Abel Martin e Juan de Mairena) di cui dicevamo introducendo l'epitome del racconto. Attraverso tale pseudoeteronimia filtra il ludus della cifra autobiografica e della metamorfosi nella sua proiezione fantastica, surreale, rispetto alla quale l'enunciante si professa "irresponsabile" e si nega. Insomma un dentro/fuori luogo, in cui convergono abdicazione e assunzione di identità; vigile e sovrana, a livello coscienziale, la funzione significante.
In questa vorticosa giostra, attorta su se stessa, entri il lettore, al quale spetta la parte euristica che lo promuove a dignità di attore a latere o di famulo del poeta e della poesia.
Noi, intanto, tiriamo le somme della nostra lettura di Macrì... attraverso Macrì: il critico è insolubile dimidium dello scrittore, o viceversa. Alla base delle due scritture macriane (la critica e la creativa) resta il filosofo, del quale abbiamo tentato di indicare gli archetipi, perché, ricordando Gadamer, "non appena le espressioni artistiche vengono inserite nel processo di accordo con noi stessi [ ... ]allora non si tratta più di arte, ma di filosofia" (90) E allora l'insorgenza e il carattere della "duplice" pagina hanno una medesima origine, in quanto "la fonte prima delle sue (di Macrì) qualità di critico e di scrittore è la stessa" (91). Sinolica qualità creativa che vive della identità con la divina (e daimonica) vita del testo in un "nesso sintetico e inscindibile di triplice significato: strumentale [ ... ], testimoniale [ ... ] artistico". (92)

(2 - fine)


NOTE
AVVERTENZA
La prima parte di questo lavoro è stata pubblicata sul precedente numero di "Sudpuglia" (dicembre 1992, pp. 87-101)
69) O. MACRI', Pagine di un diario, in "L'albero" n. 13-16, fasc. V 1952, p. 35 70) Ibidem. 71) Ibidem.
72) Ibidem. 73) Ibidem, P. 34 74) Cfr, nota 69.
75) ibidem.
76) ibidem p. 41.
77) Ibidem, P. 38.
78) Ibidem.
79) Ibidem, p. 39.
80) Ibidem, p. 42.
81) Ibidem, p. 43.
82) Ibidem, p. 45
83) Sulla "seconda dimora vitale" cfr. O. MACRI', Tommaso Landolfi ecc., cit., pag. 39.
84) O. MACRI', Pagine ecc., cit., p. 41.
85) SIMEONE, Schibalopoli (Resoconto al parlamento Marziano), in "La collina", VII, 14/15, gennaio-dicembre 1990, pp. 30-36.
86) SIMEONE, Mister Trascendental, in "La Collina", VIII / IX, 16/18, gennaio 1991 - giugno 1992, pp. 38-45. Con questo racconto si chiude la nostra indagine sul prosatore Macrì. Segnaliamo qui di seguito le altre sue prose non censite in questa sede: O. MACRI' Per l'ottavo anno, in "Termini", nn. 32-33, 1939, pp. 623-624; ID., Epìstola all'amico defunto, in '"rospettive", n. 22 del 15.10.1941, pp. 12-13; ID., Lettera da Parma, in "La Fiera letteraria" del 13.6.1946, p. 8; ID. Risposte a un referendum, in "La luna su Parma" (ASlmanacco), gennaio-marzo '47, pp. 91-94; ID., Profilo di Guanda, in "Gazzetta di Parma" del 2.11.1949, P. 3; ID. Di una Associazione Nazionale Pro-Otranto, in "L'Albero", 5 agosto 1950, pp. 96-97; ID. O.M. in Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, pp. 257-259; ID., Confronto con Mao (Quasi un racconto) in "L'Albero", XVII, 48, pp. 216-219; ID., La strana domenica del poeta Macriì in "La Fiorentina" del 18-12-1982, pp. 66-68 e, infine, ID. Prose del malumore (inedite) sospese fra disagio esistenziale e ilarità dell'essere. Archetipi gli scrittori mitteleuropei (Kafka, Th. Mann, Rilke) e Joyce ai quali Macrì dedicò, fra il 1934 e il 1939, alcuni dei suoi primi scritti critici (cfr. O. MACRI', Solidità di una metamorfosi (su Kqfka), in "Santa Milizia" del 14-7-1934, p. 3; ID., Psicologia del lettore di Franz Kafka, in "Il Ferruccio" del 16.2.1935 e del 23.2.1935, pp. 3-4; ID. Alla ricerca del romanzo, in "Corrente" del 1-5.10.19,38, P. 3 [su ". Mann]; ID., Seconda ricerca del romanzo, in "Il Bargello" del 23.10.1938, p. 3 [su Dedalus di Joyce]; ID., Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi, in "Letteratura", n. 10, 1939, pp/ 178-181) che si iscrivono nella vocazione europea del loro autore e della sua generazione.
Una zona intermedia fra le "due scritture" macriane è rappresentata dalle stroncature, quasi un genere a sè. Si segnalano nell'ordine: O. MACRI', Teoria e pratica della dialettica avanguardistica e il talamo di Gramsci, in ID.? Realtà del simbolo cit., rispettivamente alle pp. 217-251 e 559-569. Si veda anche ibidem, pp. 487-504, Un'antologia negativa della poesia moderna. In Caratteri e figure ecc., cit.; ID. Processo all'ermetismo pp. 389-422 e ID., il ministro stanco andò a riposare con suo marito ecc. in "L'Albero", n. 73-74, gen-dic. 1985 (ma 1988) pp. 59-81.
87) Data la densa, ma breve estensione del racconto ci si esime dal i-invio dettagliato alle pagine che, comunque, sono quelle indicate in nota 85
88) Anche per questo racconto vale il criterio di citazione esposto nella nota precedente. Per gli estremi bibliografici si veda, invece, nota 86.
89) Cfr. G. LEOPARDI, Lettera ai signori compilatori della "Biblioteca italiana", in ID., Opere, tomo I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956, p. 769.
90) Cfr. H. G. GADAMER, La ragione nell'età della Scienza, introd. di G. VATTIMO, traduzione e note di A. Fabris, Genova, Il melangiolo, 1986, P. 35,
91) Epigrafe derobetisiana (Pretesti su Serra) in esergo a O. MACRI', La "mente" di De Robertis, in ID., Realtà del simbolo ecc. cit., p. 297.
92) Ibidem, p. 298.


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