§ Nostoi

Dove non e inverno




Antonio Errico



Incontrarti adesso, quando il lungo tempo ha stinto ormai il colore del ricordo, mi lascia così, quasi indifferente, così come fosse niente il rivedere te.
Ti ho scordato. Non ti stupire, sai. A volte accade. Anche a mio padre accadde di scordarmi. Te ne ho parlato qualche volta, forse.
Dovevo provare un arco e lo puntai su un gatto che passava sopra il muro. Il gatto rantolò, poi si stese sul fianco, con gli occhi aperti in faccia al sole.
Mio padre disse: ora sei cresciuto. Puoi fare senza me, disse.
Imbruniva. La tramontana mulinò la voce. Poi non mi parlò mai più, neppure il giorno che mi allontanai dalla sua casa.
Gli dissi padre addio. Lui continuò a travasare il mosto nelle botti.
Accade che si tagli in due una vita, che si tenga per sé di quella un solo istante che resta sospeso dentro di noi, sgravato da ogni impurità, d'ogni residuo di angoscia, di rancore.
E' come ombra che nasce di controra, tremula, obliqua, figlia di scialbore, come fumo di fiamma quando smuore, profilo di nube alta, lontanante.
Così sei stato tu, per me: distante: memoria incerta, intorpidita, fondo scuro sepolto nel ricordo che non avrei voluto riaffiorasse mai.
Ma ora vieni a chiedermi perdono, ora vecchio anche tu, stanco del viaggio, ora anche tu disperso, forse più saggio, incapace di cercare ancora un regno; ora che non sai più ricominciare, che non sai più rischiare, ora che anche tu hai pianto e perso, vieni a cercarmi, a domandarmi il senso di quel che è stato o non è stato.
E' tardi, Enea. Io non so che dirti. O forse solo che il tempo ci consola, ci allontana da tutte le ossessioni a cui la vita ci legò.
Adesso siamo qui. Tu sei tornato. lo non volevo rivederti, ma ti ho aspettato. Sapevo che a una cert'ora si ritorna; sapevo che si ritorna quando annotta, e la strada che si ha da fare fa paura, e anche un frinire sembra un ululato, sapevo che si ritorna quando il fiato comincia a farsi grosso, e gli occhi vorrebbero sonno, il pensiero riposo, la smania vorrebbe placarsi, i segreti svelarsi a qualcuno che ascolta e ti accarezza la fronte come volesse sanarti le rughe, svuotarle di tutti i giorni passati: dei giorni sfiancati dall'andare senza un dove, di tutti i giorni inutili e di quelli spaventosi, dei giorni di solitudine, di quelli furiosi, di ogni giorno che ha avuto tristezze e nostalgie, rimpianto di una casa, di una voce, per lasciarti solo un attimo immerso nella luce del primo giorno che vivesti.
Enea, io sapevo che saresti ritornato.
E ora siamo qui, tra realtà e sogno, in un tempo aperto, passaggio di stagioni, mutìo di luna, inizio e conclusione, albore e tenebrore, chiaro-scuro.
Sei stanco, Enea, siediti qui, riposati.
Siediti qui, riposati. A quest'ora la città stringe come morsa e tu hai fatto tanta strada. Come stai? Così, lo so. Mi rispondi: così; ogni volta. Tua moglie che non scrive. Ascanio che non viene più a trovarti.
Ritornerà anche lui, vedrai. Ritornerà per farti le domande che tu fai adesso a me.
Mi rassomigli, Enea. Hai le stesse malinconie, gli stessi sguardi inquieti, i sospiri profondi, i lunghi silenzi che avevo io alla tua età.
Hai la stessa mia paura del futuro, quell'ansia di trovare una certezza, di lasciare tutto in ordine, perché non si sa mai: le bollette pagate, le stanze pulite, le camicie stirate, qualche soldo da parte.
Hai voglia di stare in pace con chiunque abbia attraversato la tua vita, con tutti quelli che ti tradirono o che hai tradito, che ti aspettarono e che non hai aspettato, con chi ti ha fatto piangere, che tu hai fatto piangere, con chi hai dimenticato o ti ha dimenticato, con tutto il tuo passato.
Poi a un tratto ti accorgi che è già tardi. Capisci che non potrai mai fare in tempo a mettere a posto tutto, che resterà sempre qualcosa di incompiuto, un argine che frana, un desiderio che non vuole abbandonarti, un rimorso che non ti riesce di scacciare.
Resterà tutto com'è: i vetri sporchi, le indecisioni, le occasioni perse, le parole impronunciate, le valigie ancora piene, la polvere tra le pagine dei libri, l'odore di sigarette nei tessuti delle tende.
Resterà tutto com'è; un immoto presente, un'ora che si ripete sempre uguale, una storia in cui non muta mai il finale, i vasi di gerani secchi ai davanzali.
Mi rassomigli Enea, e non vorrei. Non vorrei rivedermi nel tuo volto, nella storia che ti fa straniero in ogni luogo.
Non vorrei che tu vedessi in me il vecchio che sarai, che sentissi l'abbandono che poi ti prenderà, la noia e il fastidio della vita che sento adesso io.
Ci sono padri e figli che non si rassomigliano, che non si riconoscono.
Hanno sorti differenti, errori e colpe differenti. Sanno allontanarsi, sanno non pensarsi. Avrei voluto che per noi fosse così.
Ma alle corse dei cavalli - i pomeriggi alle corse dei cavalli, il tuo pane con la cioccolata, i tuoi vestiti alla marinara, le criniere che sembravano bandiere -tutte le volte alle corse dei cavalli, io puntavo sempre sul cavallo sbagliato.
Poi cominciai a far puntare te. Anche tu puntavi sul cavallo sbagliato.
Mi rassomigli. Me ne sono accorto mentre ti guardavo andare via l'ultima volta che sei venuto qui a trovarmi, mentre pensavo che avrei voluto dirti ancora molte cose.
Pensai che avrei voluto dirti molte cose, che avrei voluto dirti tutti i nomi delle torri di scolta a strapiombo sul mare, dirti di come si stanano e volpi, dei porti sepolti, dei pozzi Stregati, di come si incendiano le navi nemiche, insegnarti scongiuri, a trarre gli auspici dalle stelle e dai venti, dal rumore del mare.
Ti avrei voluto parlare di inganni, di vendette smisurate e silenziose, dei passaggi sbarrati, dei giudizi astiosi, di questo e di altro che non ti dissi mai.
Avrei voluto raccontarti di quando rubai i superbi cavalli di Laomedonte per farli accoppiare con le mie giumente; di quando mi apparve tua madre, una dea, e mi innamorò, e la innamorai, della volta che ubriaco rivelai questo amore, C Un dio mi punì, una dea mi abbandonò.
Di questo e di altro ti avrei voluto parlare in quella notte di incendi e di fughe, mentre sentivi il mio corpo pesare sulle tue spalle, mentre io sul mio cuore sentivo il peso del nostro tradire.
Ma ora non so che dirti. O, se vuoi, posso dirti che mi vergogno dei morti come se avessi sottratto i miei giorni a loro.
E' così, Enea: la tua gloria, il fiato che mi resta, questo nostro poco vivere lo dobbiamo a tutti quelli di cui non ricordiamo più neppure il nome, ai nostri servi, ai figli dei servi.
Dimmi, che cosa hai risposto quando Ascanio una volta ti ha chiesto - perché almeno una volta ti ha chiesto - dov'era sua madre, dov'erano tutti gli altri bambini, la sua spada di legno, il veliero di giunchi che aveva costruito con me, quando ti ha chiesto perché quella notte scappammo, perché non restammo finché c'era battaglia, finché si poteva resistere ancora. Che cosa hai risposto?
Sì, lo so: gli hai detto di una fiamma che quella notte brillò sul suo capo - che lui bambino non vide, che io vecchio non vidi -, gli hai detto del fragore di un tuono - che lui non udì, che io non udii -, e poi gli hai parlato del fato, di una terra da cercare lontano, di una grande città da fondare, e di un impero senza confini dove alba e tramonto si accendono insieme. E di sua madre hai detto: voleva che tu crescessi più forte, da solo.
Lui ha creduto che fosse una fiaba, la prima fiaba che gli raccontavi.
Tu non avevi avuto mai tempo per raccontargli una fiaba, la sera.
Fu solo per questo che Ascanio non seppe distinguere il falso dal vero.
Lui ti seguì per sentirti parlare del destino, di una terra lontana.
Tu lo scordasti per poterlo ingannare senza avere rimorso.
In fondo è tutta qui la nostra storia, Enea: in questo scordare per scioglierci dai nodi delle nostre finzioni, delle imposture, in questo allontanarci da chiunque possa dirci chi siamo.
Ma cosa dirai se ritornerà, come adesso tu sei ritornato, se ritornerà, imperatore o sfollato, a domandarti, come tu adesso mi domandi, le stesse cose che ti chiese allora, e tu non avrai più parole per mentire, e lui non saprà più credere alle fiabe, che cosa dirai se lui pretenderà di svelare i misteri, di capire tutto quello che è accaduto, dal principio, dalla tua viltà, dal tuo tradire, se poi vorrà sapere come sarebbe stata la sua vita se fosse stata diversa la tua vita.
E quando ti racconterà che lui è passato per molte terre, su molte macerie, che ha conosciuto tutte le miserie, lo squallore di tutti gli angiporti, che ha visto gli occhi di bambini deportati, di fanciulle stuprate, i soldati infossati a testa in giù nella sabbia, quando ti dirà che è invecchiato cercando il regno immenso di quella tua fiaba, dove il sole e la luna nascevano insieme, tu cosa dirai?
Forse dirai, se avrai ancora voce, forse dirai cerca ancora. Ancora.
Portami via di qui, lontano. Più lontano che puoi, in riva al mare.
Voglio andare via così, per un incanto, quasi fosse un gioco, quasi fosse sonno.
Portami via di qui, oltre il cancello, portami lontano dove non è inverno, oltre questo silenzio, dove non è buio.
Portami via di qui, lontano. A casa. Voglio sedermi fuori, nel giardino, odorare le foglie di tabacco, tirare l'acqua dal pozzo nel cortile.
Portami via di qui, dove c'è luna, portami fino alla foce del racconto. Voglio udire voci, vedere molta luce. Vedere che colore ha la mattina. Voglio sentire l'odore del pane, il rumore dei passi sulle scale, voglio sapere che qualcuno ritorna, aspettare il sonno senza fretta.
Portami via di qui, torniamo a casa. Abbiamo ancora molto da parlare. Non darti pena per questo delirare.
Vedrai, mi passerà. Saprò guarire. Mi basterà riconoscere la strada.
Non puoi lasciarmi qui, mi rassomigli.
Ci sono tante cose che devo ancora dirti, ancora tante cose che mi devi dire.
Portami via di qui, lontano.

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