§ Prose e racconti

Prove narrative di Giovanni Bernardini




Francesco Lala



L'intramontabile fascino del racconto è testimoniato dal successo ottenuto in Italia (e così in campo internazionale), tanto per limitarci all'ultimo secolo e mezzo, da autori quali Camillo Boito (l'autore di 'Senso", v. film di Luchino Visconti), Giovanni Verga, Alfredo Panzini, Alberto Moravia, Dino Buzzati e via dicendo. Il quale richiamo ai classici del racconto sta qui a validificare la premessa circa la perennità del genere, non certo ad enfatizzare la pur accertata positività di una schiera di autori di minor fama, e in particolare di scrittori salentini quali V. Bodini, A. De Jaco, E. Panareo, R. Durante ed altri, più o meno quelli che con saggezza critica riunì Anna Grazia D'Oria nel suo 'Narratori Salentini" (Lecce, ed. "Salento domani", 1987). Tra costoro èGiovanni Bernardini con "Il ragazzo in fondo al mare".
Ora di quest'ultimo compare una raccolta di prose e racconti, "Prove narrative" (Bari, Fr. Milella editore, 1992), comprendente ventiquattro "pezzi", per la gran parte pubblicati su riviste (da "il Critone" a "il Ponte", da "il Campo" a "l'immaginazione" ecc.) ed altri sul "Corriere del giorno". Sono sette i racconti inediti: "Una partenza", "Quadernetto tedesco", "La montagna", "La divisa del paziente", "L'orologio", "La macchia" e "Lo scarafaggio".
Chi ha seguito la carriera letteraria di Giovanni Bernardini fin dalle sue prime prove, ad iniziare dal 1947, anno della brevissima vita della sua "Taverna letteraria", e ne ha apprezzato le qualità narrative (accanto, naturalmente, a quelle riconoscibili nel poeta) non può che compiacersi del fatto che in queste 'prove' l'autore abbia raccolto prose e racconti già pubblicati ma sparsi, accanto ai 'nuovi', sicché meglio su di lui si potesse dare uno sguardo d'insieme oltre i tre 'racconti lunghi' "Chi rimane" (1969), "Compare brigante" (1973) e "Allegoria (semiseria) del Viaggiatore" (1984) e diciotto, diciamo così 'normali', accanto ad essi inseriti. Siamo dinanzi ad una discreta possibilità, che non si esaurisce con ciò che si è sopra citato, ma comprende anche "I bruchi", pubblicati sulla rivista "Sallentum" (nn. 2-3 del 1982, 1-2 del 1988 e n. 3 dello stesso anno), e "Il bivio e le parole" (1989), brevi prose ironico-metafisiche su una molteplice condizione animal-umana.
Veniamo dunque a queste "Prove narrative". Le prose che più evidenziano le sempre notevoli qualità narrative di Bernardini ci appaiono "Campo d'arma", "Temporale di notte", "Quadernetto tedesco", "La montagna", appartenenti alla prima sezione del libro ("La memoria"); "La kasbah di Taurisano", "Raccoglitrici &olive", della seconda ("L'inchiesta"); "Una commedia", "Quest'inverno ti racconterò", "La voce di Lilli", della terza ("Il racconto"), "La macchia", "Lo scarafaggio", "L'ippogrifo", della
quarta ("La fantasia"). In termini "matematici', quattro prose su nove (I parte), due su tre (II parte), tre su tre (III parte) e tre su nove (IV parte). Chi seguisse preferenze tali troverebbe - poiché le quattro parti indicano una sicura suddivisione - gli indici più alti di realizzazione nei gruppi "Il racconto", "L'inchiesta" e "La memoria", il minore in "La fantasia". Proprio come ci si deve aspettare, se i due veri e propri capolavori, tra i racconti pubblicati precedentemente in volume, restano "Il vetturale" e ... La neve", a ragione celebrati da Mario Sansone nell'Introduzione a "Compare brigante". E proprio nel 'raccontare' si fa più significativa la narrativa di Bernardini ("Chi rimane", "Compare brigante" e "Allegoria (semiseria) del Viaggiatore" restano a parte, sempre in una sfera di encomiabile compiutezza, ma a questi 'racconti lunghi' è dovuto un discorso a parte, e del resto ad essi si è già data una giusta collocazione-tributo). Qui si concluderà quindi con un rapido cenno a "Una commedia", "Quest'inverno ti racconterò" e "La voce di Lilli". Il primo è l'"interno" familiare d'una grigia quotidianità vista attraverso la mente di un fanciullo (il figlio) il quale evade mirando il mare, visibile da casa, durante le scenate tra il padre, uomo represso dall'oscurità della sua vita di modesto impiegato, e la madre, casalinga limitata dal monotono sfaccendare; il primo racconto, dicevo, è reso vivo particolarmente dallo studio introspettivo del protagonista, il quale è sconfitto perfino nella sua fissazione di scrivere una commedia. "Negli ultimi tempi s'era messo in licenza. Allo scopo, affermava, di riscrivere per intero la commedia. Com'era impostata non poteva andare. Aveva strappato i suoi quaderni fitti di cancellature, richiami, d'una grafia puntuta e discontinua. E tutto il giorno si strascicava per casa, il passo perduto, gli occhi acquosi da cane frustato... "
Mosso e con un'alternante tecnica di flashbacks, il racconto "Quest'inverno ti racconterò": il lettore è duplicemente attratto, sia dalla congegnata costruzione per mezzo della quale è tirato da un ricordo d'amore ad un'aula di scuola, sia dal fluire rapido e piuttosto particolareggiato. Il protagonista, in un guizzo di memoria, smarrisce il filo del discorso, si perde proustianamente in un episodio della Milano della 'bufera', nell'aprile del 1945, il giorno dello sciopero generale in opposizione alla guerra, in un clima di amore e morte.
"La voce di Lilli", con il quale qui si conclude, risulta il più organico ed elaborato ('voce' questa che si adopera in senso positivo) fra tutti i ventiquattro 'pezzi' del libro. Vi risultano due aspetti già riscontrabili in Bernardini, un insieme di vicende tra personali ed esistenziali, congiunto da un'ironia che in questo racconto serpeggia lievemente in tutta la struttura.
Di quello che potremmo dire semiautobiografismo è parte evidente la professione del protagonista, "il professore", insieme con il numero dei figli, di cui uno a Firenze, la madre morta non molto tempo prima della stesura del racconto, a causa di un edema polmonare, nonché altri elementi corrispondenti a quello familiare dell'autore. L'altro dato, il raccontare con il sorriso sulle labbra, deriva da un evidente contrasto fra l'atmosfera cupamente paurosa e kafkiana (con la presenza d'un misterioso malocchio) e d'altra parte la razionalistica formazione culturale di Bernardini, che non lascia spazio al Mistero, ma tutto riporta a ineluttabile scientificità. "Mentre con l'abituale contraddizione riconosceva il fascino emanante dai suoi fantasmi, la ragione gli ripeteva che bisognava metterli in fuga [ ... ] Bisognava rimuovere Lilli, risospingerla nel buio dal quale tentava di uscire, rimuovere la telefonata, anche il ricordo di sua madre o meglio viverlo con una accettazione più aderente alle leggi della natura" (p. 86). Il fatto è che aleggia nel racconto la presenza della morte, non tanto attraverso la sua drammatica evenienza, quanto l'idea del mistero che essa comporta. In Bernardini, dal contrasto fra il non credere a 'certe cose' e i fatti paranormali che si succedono in "La voce di Lilli" si origina il manifestarsi dell'irrinunciabile scetticismo dell'autore, che "registra gli eventi" sino alla conclusione tragicomica. Il tutto in un equilibrato dosaggio di morfemi che si muovono dal polo madre (morta di recente), citata 16 volte, e voce (di Lilli) 10, quasi a costellare il racconto di elementi drammatici, pur in un contesto di calore familiare (moglie, 15; figli, 8).


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