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Classicitą di una voce moderna: Gaetano Salveti
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Il caso Lucifero |
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Oliver Friggieri
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Mi
sembra particolarmente difficile parlare con coerenza di una personalità
così ricca e complessa come quella di Gaetano Salveti. Conoscerlo
di persona sembra contribuire, paradossalmente, molto e anche, allo
stesso tempo, troppo poco alla vera conoscenza del suo essere poetico,
anche se tra l'uomo (estroverso, dotato di una forte personalità,
serio e ridente) e l'artista (fine cesellatore della parola, costruttore
intelligente di modelli espressivi del tutto originali e provocatori)
c'è una corrispondenza altrettanto affascinante e suggestiva,
un rapporto profondo che va oltre la semplice distinzione classica tra
causa (esperienziale) e effetto (creativo). Comunque, mi affaccio a
proporre degli spunti per una indagine di Il caso Lucifero (Centro Studi
di Poesia e di Storia delle Poetiche, 1982) ben consapevole della polivalenza,
della complessità semantica e metaforica dei suoi testi, costruiti
con esattezza simile ad una precisione quasi matematica dello spirito,
elaborati e messi in un unico insieme come se non fossero altro che
momenti differenti, distinti e omogenei di un lungo cammino diretto
verso una meta satura di contrasti e di interrogativi.
Di Salveti si sono occupati alcuni dei critici italiani più importanti, come Giuliano Manacorda, Giorgio Barberi Squarotti, Giacinto Spagnoletti (l'autore di una puntuale prefazione al volume), Italo Calvino e altri. Tutti sembrano stupefatti, a mio parere, dal contrasto inerente all'opera di Salveti, tra quello che appare e quello che è. Amletico fino ad un certo punto, Salveti va oltre la superficie delle cose, indovinando il senso profondo delle "lacrymae rerum" virgiliane. Nelle riflessioni che seguono mi propongo di mettere in risalto alcuni dei momenti che contribuiscono a dare l'impressione di un Salveti "viaggiatore" interiore, nel senso di un Novalis, e di un indagatore psicologico del mondo della "banalità", fonte inesauribile di verità ultime e inafferrabili. La pensosità, l'apparente indifferenza, la tendenza a decifrare il misterioso nell'ovvio sono, dunque, tappe di assoluto significato in un itinerario del genere. Già si imbatte nel primo paradosso che, comunque, ha una sua logica di carattere simultaneamente esperienziale e poetico. La poesia che riassume in sé le caratteristiche di un "programma" lirico, di un colorito emblema complessivo, di un punto di partenza per tutto il viaggio, si chiama Testamento. L'ultima tappa, in senso cronologico, racchiude in sé, in ultima analisi, le prerogative tipiche di tutta la sua poetica essenziale, cioè è, in essenza, un preambolo, e in nessun modo un epilogo. il discorso perde subito il senso della temporalità, e va dimensionato in termini superiori a quelli storici, facilmente identificabili alla luce di un tempo e di uno spazio definiti. Il poeta rivisita le sue tematiche più preferite, il nucleo inconfondibile delle sue autentiche ansietà, si sottopone con coraggio umano e con vigorosità tecnica ad un rigoroso esame di coscienza, e si presenta finalmente come un giovane che non raggiunge mai la vecchiaia poetica. Le varie dimensioni della sua complessa individualità, non facilmente confondibile con quella di altri protagonisti del secondo Novecento, infinitamente lontana da quella di tanti altri, anonimi in sostanza, che stanno producendo "poesia" di poca o di nessuna rilevanza, si collegano quasi istintivamente a costruire un quadro dell'uomo-poeta, dell'essere e del poetare, cioè della funzione della sua parola concepita e sfruttata in tutte le direzioni come forza di sostituzione alla vita stessa. Il dualismo tra il "credere" e il "non credere" (La discesa all'inferno), anche se finalmente "il problema non trova soluzioni", è superabile attraverso un interrogatorio che il poeta "organizza" all'interno della propria coscienza, e che poi rielabora in forma poetica del tutto personale. L'"inutilità" e la fervida convinzione che è la poesia a poter risuscitare l'uomo, vittima di Lucifero, potenzialmente un Lucifero, dall'inattività e salvarlo dai molteplici rischi dell'alienazione quotidiana si fondono armoniosamente in un unico insieme. Tale Testamento è, in verità, un manifesto poetico e umano, un programma da seguire alla luce della conquista fondamentale, l'autocoscienza: Il primo gennaio
millenovecentosettantacinque C'è in Salveti un'aspra ironia che campeggia solennemente nei versi come se fosse la stessa forza dalla quale egli deriva tutte le sue abilità poetiche e umane. Anche in questa sede appare il paradosso: è una specie di ironia gentile, spesso piena di affetto e di nascosta, implicita commiserazione. Le radici di questo modo di poetare si trovano altrove. Una classicità del tutto moderna, un giornalismo sofisticato e sublimato, una sofferta coscienza delle ansietà dell'uomo contemporaneo, un indifferentismo saturo di fede e di fiducia, e finalmente un amore appassionato per la parola concepita come ancora salvifica: ecco la formula poetica, complessa e piena di contrasti interni tutti ricchi di significati e di giustificazioni, che abbraccia le componenti inalienabili di una modernità del tutto fresca e allo stesso tempo classica, sempre consapevole di una tradizione che continua ininterrottamente ad alimentare lo spirito nella sua capacità di ricostruttore dell'esistenza, di fabbricatore (di origine quasi kantiana) di un io creativo, del tutto nuovo, in arrabbiato contrasto con l'io esistenziale. Sulle macerie dell'esperienza si ricompone l'io capace di andare oltre gli stretti confini della monotonia quotidiana. La poesia di Salveti è, in fondo, un'alternativa alla prevedibilità della vita, concepita come continua ripetizione: Ma difficile
è ricordare (Elegia di uno perduto nel deserto) Il "deserto"
è anche la città, l'"isola ardente" è
pure il cosmo che non ha confini, dal momento che la geografia fisica
è tradotta in geografia dello spirito. La storia è diventata
psicologia, la cronaca quotidiana è cresciuta in una metafora
della condizione del genere umano. Salveti è del tutto fedele
ad una delle verità desanctisiane: l'arte non può mai
perdere di vista la tragedia, e anche il comico, ossia l'ironico,
deve giustificarsi in un unico modo, cioè nel suo configurarsi
come una tappa che segue il superamento della crisi. Non si tratta
più di facili distinzioni tra ottimismo e pessimismo, distinzioni
che essenzialmente perdono di vista il divario che separa l'esperienza
dalla riflessione. Potremmo, se
lo credi, (L'incontro di Uisse) La sintassi strategicamente frantumata ma anche perfettamente costruita a base di una visione delle cose, come se fosse una nuova "città" eretta sulle rovine della guerra inspiegabile del parlare comune, l'aggettivazione piena di sorprese (intesa più a rivelare lo stato d'animo che a qualificare gli esseri), l'accoppiamento sereno del dialogo con il monologo, il mutamento insistente degli stati d'animo lungo un unico cammino interlocutorio, l'impressione di una certezza troppo sfidante collegata ad una indifferenza tipica dei grandi maestri di fronte alla vita, cioè alle proprie opere: sono caratteristiche di una poetica del tutto personale, raramente inseribile nelle varie correnti della poesia contemporanea. L'eclettismo di Salveti non è soltanto culturale, di stampo storico-letterario; è addirittura spirituale, donde nasce la poetica del paradosso sublime. Il suo stato d'animo, irrequieto e allo stesso tempo deciso, attraversa fasi di varie nature. Il linguaggio subisce mutamenti considerevoli di momento in momento; il frasario elementare è troppo vasto, internamente contrastante, per essere ridotto con sicurezza ad una serie di modelli tipici. La parola si rinnova con una forza creativa che sfida le regole, e la struttura sintattica si perde consapevolmente in avventure insolite che non hanno niente a che fare con l'improvvisazione tipica di tanta poesia contemporanea a cui manca una vera e propria individualità. Salveti riesce a mettere in rilievo una verità estetica spesso accantonata, se non addirittura dimenticata, dalla poetica novecentesca: la modernità è anche più difficile della classicità, perché le forme devono sempre aderire ad una serie di esigenze tipiche dell'epoca, senza mai perdere di vista la tradizione da cui emana la stessa epoca moderna. Gli esempi di questa maturità strategica sono numerosi, ma mi limito ad individuare alcuni tra i più salienti: Così
il gesto malinconico (L'incontro di Ulisse)
(La discesa all'inferno)
(Il viaggio) Ma la sostanza
poetica vera e propria di Salveti si trova subito nella sua calma
malinconia, del tutto maschile e sobria, molto lontana dalla tentazione
di cadere nelle condizioni romantico-crepuscolari di un ormai caratteristico
ripiegarsi su se stessi. Anche se per un Jung l'arte ha una natura
femminile, la femminilità poetica di Salveti è maschile,
dotata dell'immunità di ricorrere alle facili confessioni personali.
Gli istinti fondamentali dell'uomo, cioè dell'essere umano,
come la paura, il dubbio, la consapevolezza dell'ignoto, il presentimento
del domani saturo di sorprese ormai superate, diventano poesia mentre
perdono di vista lo spunto personale, storico, da cui partono come
documenti autenticamente vissuti. Man mano che il poeta svolge le
sue tematiche e approfondisce un discorso basato sulla sua esperienza,
il particolare assume dignitosamente il carattere distintivo dell'universalità.
L'incontro personale di un Salveti con un Lucifero si traduce in un
incontro archetipico tra il genere umano e "l'altro", l'opposto,
o il possibile e il probabile. Esperienza come materia prima, lirica
come condizione finale: entro i due poli estremi si svolge con ammirevole
e costante coerenza un "programma" poetico che trasforma
il personale in un collettivo inquietante, anche se poeticamente piacevole.
L'io storico diventa un io cosmico, umano. Prendendo le mosse da tappe
autenticamente raggiunte in sede personale, il poeta riesce a tradurre
l'angst individuale in una condizione caratteristica del genere umano.
La serie di distinzioni facili tra momenti diversi, con cui il tempo
va definito per esigenze pratiche, diventa un eterno continuo, una
specie di "flusso" eracliteano, documento di una certezza
dell'incertezza. "Ulisse" è, appunto, un "eterno
dilemma" (Desiderio dell'ordine). Isole, fate
silenzio innanzi a me! La citazione passa subito, con tipica impazienza, dall'imperativo iniziale ad una apparente descrizione, che è, in sostanza, una riflessione trasformata in un bozzetto psicologico. Il brano rivela il segreto della strategia poetica di Salveti; livelli diversi di conoscenza, modi distinti di espressione sono messi insieme in funzione di collaboratori. La sincerità, diversa negli strumenti a cui ricorre ma identica nelle finalità a quella di un Sartre, è il motivo che mette Salveti in "viaggio", e il viaggio si realizza attraverso lo svolgimento di un radicale esame della cultura e della coscienza (cioè del collettivo e del personale rispettivamente); si rivela subito sul piano dialogistico, anche se in realtà si tratta di un incessante monologo: Giobbe, mio
Giobbe, profeta del dolore, (Il novero dei giorni) Non si tratta
più di quel Giobbe storico rivisitato da un Leopardi e da tanti
altri spiriti turbati dell'Ottocento. (Del resto, anche l'Ulisse di
Salveti, pur avendo le sue origini nel protagonista omerico e una
curiosa parentela con quello di Joyce, è luna poetica personificazione
di una esperienza vissuta in prima persona. L'eclettismo culturale
del poeta ricrea a modo suo una intera tradizione letteraria che merita
uno studio particolare. Si tratta piuttosto di un Giobbe personale,
del tutto contemporaneo, che visita i luoghi che in tutta l'opera
hanno un sapore di immediatezza quasi cronachistica, anche se la sua
definizione deve riconoscere le radici bibliche. Quello che giustifica
Salveti mentre indirizza un "mio Giobbe, profeta del dolore"
è, in ultima analisi, il contenuto tematico di tutta la sua
lirica.
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