§ Rientro dal debito pubblico / 2

Per un'azione pił decisa




Antonio Fazio
Governatore della Banca d'Italia



Rispetto agli altri principali Paesi industriali, il livello del debito pubblico trova in Italia compenso in un più basso livello dei debiti contratti dal settore privato, famiglie e imprese.
Da questa indicazione emerge con chiarezza il profilo della struttura finanziaria italiana: debito pubblico particolarmente elevato; indebitamento delle imprese nel complesso non fuori della norma; alto tasso di risparmio delle famiglie; modesto indebitamento delle stesse, di gran lunga inferiore rispetto ad altri Paesi industriali.
In tali condizioni una quota più elevata di debito pubblico può essere detenuta, senza rischi immediati, dal settore delle famiglie. La situazione del debito e dei conti pubblici va fronteggiata con prontezza e rigore, non drammatizzata.
Le opportunità offerte dalle condizioni più distese sui mercati finanziari internazionali e dagli effetti sulle aspettative degli accordi intervenuti in materia di politica dei redditi sono state colte prontamente, favorendo la discesa dei tassi d'interesse. Tuttavia, il tasso di interesse reale, risentendo delle condizioni prevalenti sui mercati internazionali, soprattutto europei, e dei rischi specifici connessi con la situazione italiana, rimane ancora superiore al 4%, valore nettamente maggiore del tasso di sviluppo del reddito. L'investimento in titoli pubblici è un atto volontario dei risparmiatori. Non è possibile forzare la diminuzione dei tassi: ne deriverebbero effetti positivi sugli investimenti, ma anche fughe di capitali, aumenti dei consumi, ricerca di beni rifugio, con pericoli per il riaccendersi dell'inflazione e, quindi, di un nuovo rialzo dei tassi d'interesse.
Per arrestare il progressivo aumento del peso del nostro debito pubblico sul prodotto interno occorre accrescere, durante i prossimi anni, gradualmente, ma sensibilmente, l'avanzo primario.
Il documento programmatico 1994-'96 ha come obiettivo di stabilizzare entro il 1996 il rapporto tra il debito e il prodotto interno. Per conseguire questi risultati, l'avanzo primario verrebbe gradualmente accresciuto dai 31.500 miliardi del 1993 (2,0% del prodotto interno lordo) a 31.800 nel 1994 (1,9%), a 46.100 nel 1995 (2,7%) e a 65.500 nel 1996 (3,6% del prodotto interno).
L'avanzo primario, cioè al netto degli interessi, occorrente per stabilizzare il debito, risulterebbe di entità, in valore assoluto e in rapporto al prodotto, inferiore rispetto a quella indicata nel documento programmatico. Ciò è da ricondursi soprattutto alle ipotesi più favorevoli relative ai tassi di interesse.
Un contributo importante al ridimensionamento del peso del debito, secondo il piano delineato, deriva da un abbassamento - più rapido di quello previsto dei tassi di interesse reali. Ciò trova fondamento, in parte, nel fatto che le condizioni dei mercati finanziari internazionali sono ora più favorevoli; tale valutazione viene estesa all'intero arco temporale esaminato.
Le stime del fabbisogno tendenziale presentano margini di incertezza più ampi che in passato. La riforma pensionistica, quella della finanza locale, del pubblico impiego e della sanità forniranno un contributo al contenimento della spesa.
Le valutazioni tendenziali delle spese di personale non inglobano gli effetti dei nuovi contratti; occorreranno misure addizionali per finanziare gli oneri derivanti dalla contrattazione.
L'azione correttiva negli anni successivi, allorché si manifesteranno i benefici della ripresa internazionale, dovrebbe venire significativamente rafforzata.
L'azione correttiva nel triennio riguarda quasi esclusivamente la spesa: nel 1996, dei 65.300 miliardi di intervento, 47.800 riguarderebbero i pagamenti e 17.500 le entrate.
La riforma pensionistica indubbiamente produrrà effetti incisivi di riduzione della spesa.
Con riferimento alla sanità, nel piano nazionale occorre determinare livelli di assistenza, da assicurare uniformemente sul territorio nazionale.
E' necessario accrescere la produttività ed eventualmente considerare le dimensioni degli organici; ripensare alcuni aspetti, anche dopo le molte innovazioni recenti dei criteri di concessione di ogni prestazione sociale, al fine di non incidere sulle classi meno abbienti e nel contempo limitare gli abusi; ripensare la determinazione dei prezzi dei beni acquistati dallo Stato (prezzi dei farmaci).
A causa dell'esaurirsi degli effetti sulle entrate di alcuni provvedimenti a carattere transitorio, il rapporto tra gli incassi totali del settore statale e il prodotto interno, tra il '93 e il '94, scenderebbe dal 34,4% al 32,7%. Successivamente, la pressione fiscale si manterrebbe pressoché invariata sul livello che verrebbe raggiunto nel '94.
L'azione sul versante delle entrate appare modesta. Per conseguire il risanamento della finanza pubblica è necessario operare con maggiore incisività.
L'azione correttiva, secondo gli intendimenti del governo, si concentrerà opportunamente nell'impegno contro l'evasione e l'elusione delle basi imponibili. E' anche intenzione semplificare il sistema tributario, riducendo il numero delle imposte e quello degli adempimenti, e riorganizzare l'amministrazione finanziaria. I frutti di tale azione, soltanto dopo aver raggiunto un consolidamento della pressione fiscale complessiva, dovrebbero essere volti alla riduzione delle aliquote.
Il programma stesso si sofferma anche sulla necessità di ridurre alcune agevolazioni fiscali.
La pressione fiscale per i contribuenti che adempiono compiutamente all'obbligo tributario è in Italia più elevata rispetto alla media degli altri Paesi europei. La pressione macroeconomica è però più bassa - a causa dell'evasione, delle elusioni e delle agevolazioni - rispetto a quei Paesi che hanno una struttura della spesa pubblica simile a quella italiana. Le condizioni di equilibrio dei conti pubblici richiedono di rinviare, almeno temporaneamente, l'alleggerimento dell'onere tributario per i predetti contribuenti; rendono più urgente la lotta alle sacche di evasione che a tutt'oggi sussistono.
L'evasione, dando luogo a rendite differenziali, potrà essere eliminata senza influenzare il livello dei prezzi.
Il piano di rientro elaborato appare pregevole per il tentativo di concentrare l'azione di correzione sul contenimento della spesa.
Ho però richiamato i rischi e le incertezze che attengono alle cifre annunciate. Ho insistito, sia pure in termini generali, su possibili linee strutturali di intervento, al fine di garantire i risultati quantitativi e soprattutto di migliorare la qualità della spesa e il suo contenuto reale. Il piano riposa, in maniera essenziale, sulla capacità di piegare decisamente l'inflazione, fino a raggiungere il ritmo intorno al 2% annuo nel 1996. Lo strumento principale per tale azione è costituito dal controllo dei costi del lavoro e più in generale dalla politica dei redditi.
I tassi nominali dovrebbero scendere, progressivamente e costantemente, di altri 2-3 punti percentuali. Il documento prevede, prudentemente, che i tassi reali debbano rimanere press'a poco costanti.
L'andamento tendenziale dei tassi di interesse, nell'ipotesi di riduzione dell'inflazione secondo i programmi, appare dunque non irrealistico.
Ciò che desta preoccupazione nello schema è il condizionamento che, implicitamente, si viene a stabilire per il ruolo della politica monetaria. Disturbi provenienti dai mercati internazionali, ai quali il nostro sistema, come gli altri, è completamente esposto data la piena libertà di movimento dei capitali, la necessità, che potrebbe farsi acuta in alcune fasi del periodo considerato, di utilizzare la politica monetaria in chiave antinflazionistica, anche per contenere l'aumento dei redditi diversi da quelli da lavoro dipendente, tali eventi possibili gettano un'ombra di precarietà sui risultati globali dell'esercizio programmato.
Nella fase, sperata, di ripresa dell'economia internazionale e di quella italiana, la riduzione tendenziale dei tassi di interesse potrebbe risultare di più difficile raggiungimento. La via d'uscita da tutte queste incertezze è costituita da un'azione più decisa sull'aumento dell'avanzo primario. Un profilo per tale aggregato che permette di raggiungere nell'anno finale, 1996, il 5% del prodotto interno, risulterebbe sufficiente allo scopo. Si tratta dunque di svolgere un'azione sulle spese e sulle entrate, che complessivamente, tenendo anche conto della debolezza attuale del ciclo economico, conduca l'avanzo primario nel 1996 a 100 mila miliardi, in luogo dei 65 mila ora ipotizzati.
L'attuale pressione fiscale dovrebbe venire consolidata a livello macroeconomico. L'evasione, l'elusione e le agevolazioni costituiscono, potenzialmente, una riserva molto ampia di gettito addizionale. La riduzione dell'evasione migliora l'equità; l'alleggerimento delle aliquote per i contribuenti in regola dovrebbe effettuarsi so tanto e immediatamente in seguito all'eliminazione delle predette inefficienze. Una prospettiva meno affetta da incertezza nel processo di rientro del debito pubblico sarebbe decisamente giovevole per il costo dello stesso.
Il rientro diverrebbe più rapido. I tassi di interesse e la politica monetaria potrebbero volgersi con maggiore sicurezza al sostegno dell'economia e degli investimenti.

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