§ Panorama italiano/ Tendenze

I nostalgici dell'inflazione




Innocenzo Cipolletta



Se mi è concesso un linguaggio da "dietrologo", vorrei dire che il partito dell'inflazione è decisamente sul piede di guerra. Da che cosa si vede questa dichiarazione di guerra? Essenzialmente dallo scetticismo interessato di quanti vanno sostenendo che l'inflazione italiana sia calata non già per una modifica dei comportamenti, bensì grazie alla recessione e al calo dei consumi che contiene i prezzi.
Questi commentatori interessati affermano così che un fatto negativo (inflazione) è per ora nascosto da un altro fatto negativo (recessione). Poiché tutti speriamo che la recessione finisca al più presto, ne deriva ovviamente che l'inflazione risulterà altrettanto presto più vigorosa che mai.
Sempre giocando alla dietrologia cara alla mentalità corrente nel nostro Paese, resta da domandarci: a chi giova questo modo di ragionare? La risposta è apparentemente semplice: giova a chi riesce a gestire meglio i suoi affari con un'alta inflazione, che tutto giustifica e tutto nasconde.
Una categoria di interessati è certamente quella di coloro che hanno operato solo nei mercati protetti e hanno trovato nel processo inflazionistico l'alibi per giustificare aumenti dei prezzi e ritardi nelle ristrutturazioni. Tutti questi si sentono orfani e non possono più rinviare dolorosi processi di ristrutturazione: a meno che, ovviamente, la riduzione dell'inflazione non sia un evento passeggero e contingente, da superare al più presto.
Una seconda categoria di nostalgici dell'inflazione è formata da chi vive di rendita o vive sulla rendita. Per costoro un'alta inflazione significa alti tassi di interesse e maggiori possibilità di intermediare il credito e di guadagnare con maggiore facilità e tranquillità. Per costoro, invece, tassi di interesse del 2-3 per cento significano non riuscire a vivere di rendita (si pensi ai detentori dei BoT); o dall'altra parte della barricata, non riuscire a far accettare titoli di credito non altrimenti desiderabili; si pensi allo Stato che, se abbassa i rendimenti nominali dei titoli, teme di vedere i risparmiatori tornare a investire in attività "reali", quelle che creano produzione e occupazione, invece di sostenere la spesa pubblica corrente; si pensi, infine, a tutto il circuito del credito ove gli spread tra tassi attivi e passivi sono tanto più ampi quanto maggiore è il livello dei tassi di interesse (questa è solo un'affermazione di buon senso), sicché con elevati tassi di interesse è più facile gestire strutture poco efficienti.
Una terza categoria di interessati sono poi i nostalgici della scala mobile e delle indicizzazioni. Avendo sostenuto per anni che l'indicizzazione non provoca inflazione, oggi non vogliono arrendersi all'evidenza contraria e sperano ardentemente nel ritorno agli anni (magnifici per loro) dell'inflazione a due cifre, ove erano lecite rivendicazioni salariali consistenti, contratti aziendali sovrapposti a contratti di categoria, azioni rivendicative contro i soliti speculatori dell'inflazione. Privati dell'inflazione, questi bellicosi sostenitori delle indicizzazioni non sanno più giustificare la loro voglia di battaglia e non ci stanno a riconoscere che sono cambiati i comportamenti.
Contro questi nostalgici, e per ristabilire un po' di verità, credo che valga la pena di ricordare che per vent'anni tutti gli economisti (e con loro tutta la stampa) hanno negato che la recessione abbia effetti sull'inflazione, in ciò confortati da un'esperienza lunga, condensata nel neologismo "stagflazione". Tutti hanno sostenuto che solo una politica dei redditi che modificasse meccanismi nella formazione dei costi e dei prezzi avrebbe ridotto l'inflazione: ciò che è puntualmente avvenuto con la fine della scala mobile e con l'accordo del 31 luglio 1992.
Sottolineo che la fine della scala mobile non solo riduce i costi, ma modifica i comportamenti delle famiglie, ossia dei consumatori, che reagiscono all'inflazione selezionando i consumi: chi (come il sottoscritto) ha sostenuto questa teoria ben prima di vedere gli effetti della fine della scala mobile, nella convinzione che nelle economie di mercato spetta principalmente all'acquirente (consumatore, impresa o pubblica amministrazione) il compito di frenare l'inflazione, non accettando aumenti di prezzo, si è attirato scetticismi e derisioni. Ma l'acquirente rifiuta l'inflazione solo se i suoi redditi non sono protetti dall'indicizzazione o da altro: questo ci insegna l'esperienza di Paesi a bassa inflazione e questo dimostra la recente discesa dell'inflazione in Italia, grazie anche a un comportamento antinflazionistico delle famiglie non più protette dall'inflazione attraverso la scala mobile.
Si riuscirà a contrastare il partito dell'inflazione? Spero di sì. Già interviste o articoli di economisti testimoniano l'avanzata della lobby antinflazione che, mi auguro, sarà più numerosa in futuro.

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