Le avventure della moneta




Antonio Fazio
Governatore della Banca d'Italia



Tradizionalmente, il termine moneta si riferisce a quell'entità, quel segno, che nel sistema economico funge da mezzo di scambio e da misura e riserva di valore. L'analisi economica ha dimostrato da tempo che la funzione di moneta può essere svolta anche da un bene costituito da una materia che non ha di per sé alcun valore intrinseco, ovvero lo possiede solo in misura limitata. Si può trattare di segni metallici o cartacei, per i quali i valori convenzionali, l'ammontare complessivo e la funzione di mezzo di pagamento siano predeterminati e sanciti da un'autorità esterna al mercato.
Le forze economiche (domanda e offerta, utilità, costi) che determinano il valore di scambio dei beni e il livello di produzione sono in grado di stabilire una utilità e un valore di scambio per le unità di moneta connesse con le funzioni di unità di conto, di mezzo di pagamento e di riserva di valore.
Una lunga tradizione nella teoria monetaria considera il sorgere della moneta come una evoluzione spontanea da una economia di baratto. Secondo tale visione, negli stadi primordiali dell'attività economica, funzioni monetarie sarebbero state svolte da beni di uso comune, aventi utilità diretta: sale, pelli, animali (si ricordi il termine "pecunia"). La funzione monetaria di tali beni non può che essere stata saltuaria, solo poco oltre uno strumento di baratto indiretto. Importante fu sicuramente anche il ricorso ai metalli preziosi, almeno per i pagamenti di rilevante valore.
La nascita della moneta così come è intesa oggi si ha allorché, a cavallo tra il VII e il VI secolo, alcune comunità politiche organizzate dell'Asia Minore, e in seguito della Grecia, usarono leghe naturali di oro e argento (elettro) previa riduzione in unità di peso standardizzate, per effettuare pagamenti e, certamente, spese a fini militari.
La pratica si diffuse rapidamente. Le stesse comunità erano pronte a riaccettare, per la riscossione delle imposte, le unità standard precedentemente messe in circolazione.
L'identificazione tra moneta e potere politico è sempre molto stretta nella storia, perché è lo Stato che emette la moneta e la riaccetta, attivando nel passaggio il processo economico. Il fatto che Stati e sovrani abbiano sempre considerato la possibilità di battere moneta un privilegio da concedere ad autorità sottomesse, solo se accompagnato da particolari condizioni e limitazioni, dimostra come a tale possibilità fosse legato un diritto di signoraggio, nel senso moderno del termine.
Nelle città della Grecia e della Magna Grecia la funzione monetaria fu svolta soprattutto dall'argento. in Roma, dove peraltro l'attività monetaria pubblica iniziò solo relativamente tardi, venne dapprima usato il bronzo, in seguito sostituito dall'argento, e, solo in epoca molto tarda, dall'oro. Nei periodi di crisi, o per i pagamenti fuori dello Stato, era necessario far ricorso all'oro.
La fissazione delle unità, l'effettiva coniazione e la circolazione furono a Roma strettamente connesse con le vicende belliche e politiche della Repubblica e dell'Impero.
L'universalità e l'autorità dello Stato imponevano la generale accettabilità delle monete coniate secondo i valori convenzionali stabiliti dall'autorità centrale, l'attività monetaria delle colonie e dei territori dipendenti si adeguava. Il valore del bronzo, anche se notevolmente superiore all'attuale, venne certamente influenzato dall'uso monetario. La necessità di un solido e articolato sistema monetario - reso tra l'altro possibile dalle ingenti importazioni di oro e di argento dalle varie province dell'Impero -rappresenterà un fattore essenziale nella gestione politica ed economica del vasto mondo romano.
La caduta dell'Impero d'Occidente e la scomparsa di un'autorità centrale universalmente riconosciuta coincidono con un regresso dell'economia basata sugli scambi e sulla circolazione della moneta.
Nell'Alto Medioevo e nei regimi romano-barbarici furono emesse monete di metallo prezioso recanti ancora l'immagine degli imperatori romani al fine di favorirne l'accettabilità. Le unità erano quelle della tarda monetazione romana: il soldo ("solidus") è d'oro, di peso superiore a quattro grammi, diviso in "semissi" o "trienti". A fianco del soldo circolano monete divisionarie di rame, d'infimo valore rispetto all'unità principale.
La circolazione della moneta rallentava proprio per il venir meno dell'autorità politica centrale, della sua organizzazione, dell'attività di spendita e di raccolta di imposte. L'organizzazione feudale, dapprima nella Gallia nel periodo merovingio, poi in altre regioni d'Europa, è in qualche misura anche la risposta alla scarsità del mezzo monetario.
La ripresa dei traffici nel Basso Medioevo porta al sorgere, dapprima in Italia (Venezia, Genova, Firenze) poi in importanti città e mercati dell'Europa, di un altro tipo di circolazione, questa a carattere prettamente fiduciario: note emesse da banchieri a fronte di depositi di metalli preziosi, che circolavano "incorporando" il valore degli stessi: non fruttavano alcun interesse, ma servivano come base per operazioni di cambio e di credito fra differenti piazze e mercati. Il passaggio alla emissione di un vero e proprio biglietto di banca, contenente l'impegno a corrispondere al suo presentatore l'equivalente in moneta metallica, avviene verso la fine del XVII secolo.
La banca - che trasforma moneta metallica, avente un valore intrinseco, in moneta cartacea - semplicemente certifica, in un primo momento e nell'opinione dei depositanti, la presenza fisica nel suo attivo della moneta metallica. La quantità di moneta nell'attivo doveva rimanere sempre tale da soddisfare qualsiasi richiesta di rimborso, alle condizioni prestabilite, da parte dei depositanti portatori di certificati emessi dalla banca.
In una fase successiva, le note furono emesse anche a fronte di crediti a principi e sovrani, o a mercati o imprenditori. Se le note così emesse sono considerate spendibili e accettate a tutti gli effetti come equivalenti alla moneta che rappresentano, la banca crea, essa stessa, moneta.
Se ciò avviene avendo nell'attivo una frazione soltanto di metalli preziosi e per il resto crediti, il sistema delle banche "moltiplica" la quantità iniziale di moneta per un fattore pari al rapporto tra certificati (emessi in contropartita e trasformabili in moneta) e riserva monetaria.
Lo Stato interviene per regolare il fenomeno degli Istituti di emissione. Gli interventi delimitano l'attività degli Istituti, ma nello stesso tempo la legittimano, assimilando sempre più le note fiduciarie alla moneta. Da quel momento il biglietto di banca entra a far parte della circolazione monetaria accanto a quella metallica.


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