§ Segni dei tempi

Antiche querce nuovi bonsai




Aldo Bello



Era nato a Biccari, in quella terra di Capitanata che sul cobalto dell'Adriatico affonda uno sperone selvatico e sull'osso della penisola annoda le gobbe argillose del pre-Appennino: allora sterminato campo di grano estensivo, con i tratturi segnati da un fiore lugubre, l'asfodelo, e dalle orme di antiche transumanze. Ed era scomparso a Roma, dopo dodici anni di Governatorato illuminato dal più misconosciuto degli umanesimi, quello meridionale, che da sempre esporta materia grigia, cultura del rigore, norme di vita schiva. In questo mondo, aveva scritto Gide, è importante non aver l'aria di ciò che si è. Menichella fu, e fu grande, senza darsi mai l'aria di essere quel che era. Fu, ad esempio, quello che indirizzò la lira verso l'Oscar delle monete. Ma quanti italiani sono in grado di comprendere pienamente. il senso di questo dato decisivo? E quanti sanno che, se c'è un giorno dell'anno (il 31 maggio, con le "Considerazioni finali") in cui, come su un grande specchio, compare la vera faccia del Paese, lo si deve all'intuizione creativa del binomio Einaudi-Menichella, alla loro volontà di autonomia, al loro insuperato spessore morale?
Quando, nel '50, il trentino De Gasperi avviò la prima politica di intervento straordinario per il Sud, stanziando mille miliardi del tempo per le infrastrutture elementari, bonifiche del territorio, regimazione delle acque, recupero insomma dello "sfasciume" idrogeologico che aveva ancorato le regioni meridionali nell'inferno dell'arretratezza, fu Menichella a suggerire il nome di Cassa per il Mezzogiorno: "Daremo l'idea dell'immediatezza esecutiva - disse - e del pronto-cassa per i lavori di predisposizione del territorio al decollo del Sud". Li chiamarono interventi a pioggia: dimenticando che le strade erano ancora quelle di Gioacchino Murat, che l'argilla dei calanchi smottava da secoli a valle, che le acque brade dilavavano i campi coltivati come si gioca al lotto. Che il lavoro era sterminato, se da sempre non si era saputo da quale parte incominciare e in quale secolo finire.
Quando aprirono il suo testamento, i figli - e lo testimonia Enzo, nostro autorevole collaboratore - trovarono una lettera dal titolo emblematico: "Perché non siete diventati ricchi". Sebbene quel che vi era scritto resti di natura privata, dunque riservata, tuttavia è facile intuire il valore dei contenuti: era la proiezione morale e professionale di un servitore dello Stato, che aveva agito con la lealtà e con la pulizia che lo rendono remoto dai boiardi di oggi, che più che con la storia hanno a che fare con la cronaca nera.
E prende una gran malinconia al pensiero che un'Italia ricostruita nell'economia, nella stabilità, nel prestigio internazionale, con Un durissimo esercizio politico e intellettuale che impegnò energie e onestà individuali e collettive, sia stata poi piegata e ricacciata nella memoria storica da una partitocrazia onnivora, corrotta, senza scrupoli. Segni di tempi imbarbariti, si dice. Come se quei segni siano stati o continuino ad essere fenomeni di massa, e non invece comportamenti di singoli, cioè problema di uomini e di sistemi. Se, infatti, neanche noi tutti siamo diventati ricchi, è stato perché, scomparse le antiche querce, sono rimaste in campo piante nane, stortignaccole, che bruciano linfe vitali e creano solo deserti; che ai figli consegneranno non lettere morali, ma plichi con i codici cifrati dei conti correnti di Ginevra, di Hong Kong, dei Caraibi, e annesso memoriale d'indirizzo giustificativo-ricattatorio. Tanto, la mafia insegna: le leggi per i nemici si applicano, per gli amici si interpretano.


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