§ Scenari 2000

Per l'Italia sarą meglio restare fuori dallo Sme




Paul A. Samuelson



La veritá è che l'Italia si deve impegnare in una rivolta contro la politica suicida degli alti tassi da parte della Bundesbank, una sorta di Davide, armato della nuova arma dì un sindacato lungimirante, contro un potente Golia. l'Italia condividerebbe volentieri la battaglia per tassì d'interesse più bassi cori altri Paesi che hanno problemi simili, soprattutto in termini dì alta disoccupazione, come la Spagna, l'Irlanda, il Belgio e naturalmente la Francia.
FRANCO MODIGLIANI

Un giornalista italiano mi ha chiesto che cosa pensassi della posizione espressa da Franco Modigliani, collega del Mit e Nobel per l'Economia, di fama mondiale. Afferma Modigliani: l'Italia farebbe bene, a procedere autonomamente.
Dal momento che la Bundesbank non si preoccupa abbastanza dei bisogni degli altri Paesi - né persegue in modo ottimale il suo unico obiettivo di contenere l'inflazione interna da prezzi - i Paesi membri della Cee dovrebbero lasciare che la Germania e il marco procedano per proprio conto. Sull'esempio della Gran Bretagna e della Spagna, l'Italia dovrebbe utilizzare il grado di autonomia consentito dalla fluttuazione della lira per perseguire i seguenti obiettivi: primo, un grado ottimale di espansione macroeconomica; secondo, il contenimento dei salari nominali per scongiurare il rischio che la competitività della moneta italiana venga annullata da una spirale inflazionistica dei prezzi e da successivi deprezzamenti del tasso di cambio.
I Paesi comunitari che non gravitano nell'area del marco e hanno optato per le parità fluttuanti sono stati immediatamente sommersi dai consigli di chi, in modo scarsamente convincente, affermava: "E' necessario rientrare nello Sme non appena possibile, con nuove bande di parità non troppo lontane dallo status quo antecedente".
Ho motivo di ritenere che la proposta di Modigliani sia più sofisticata di quanto non lo sia la rozza interpretazione di cui sopra. Tuttavia, essendomi stato richiesto di esprimere un parere in merito, desidero affermare con risolutezza che essa indica la giusta direzione da seguire per l'Italia e i Paesi comunitari che non orbitano nell'area del marco.
Vorrei, a questo punto, avvalorare la mia approvazione entusiastica citando in parte le risposte da me date a quesiti simili da giornalisti della rivista The International Economy: che cosa farebbe, nei panni di un alto funzionario di un Paese europeo che s'interroghi sull'opportunità di uscire dal Sistema europeo delle parità fisse?
Ed ecco la mia risposta: "Se, prima del no danese al Trattato di Maastricht, il Mercato comune avesse avuto una prospettiva concreta di arrivare all'unificazione dell'economia degli anni '90, con la creazione della moneta unica e di una Banca centrale europea, in quel caso l'abbandono delle parità fisse con il marco sarebbe stata tragedia".
La verità è che l'unificazione economica era un miraggio alimentato dalle buone intenzioni. Il rispetto delle parità fisse all'interno di bande strette tra economie che registrano tassi d'inflazione che vanno dal 2 al 6% annuo era un'impresa destinata a fallire. Non c'è motivo, quindi, di spargere lacrime a Londra come a Roma, a Madrid o a Dublino, a Francoforte o a Parigi o all'Aja.
Per i Paesi che hanno deprezzato la loro moneta la sfida e l'opportunità sono rappresentate dallo spazio di manovra che il fato ha loro concesso. Il pericolo, viceversa, è che la contrattazione salariale interna e il surriscaldamento delle politiche macroeconomiche vanifichino tutti i vantaggi della libertà acquisita e perpetuino una spirale infinita di instabilità del livello dei prezzi e dei tassi di cambio.
L'America, come la storia dell'economia insegna, ha avuto tutto da guadagnare liberandosi dai vincoli dei cambi fissi concordati a Bretton Woods. Allo stesso modo, la Cee potrà godere appieno i frutti di un grande mercato di libero scambio prima di procedere alla creazione prematura di un'unica Banca centrale e di una moneta unica.
La Germania, alle prese con un'errata valutazione dei costi della riunificazione e con una Banca centrale ossessionata dal problema dell'inflazione, tanto da ignorare i problemi dei partner europei e il rallentamento globale, non è la scommessa giusta su cui puntare per dirigere l'orchestra europea negli anni 1993-97.
Per dimostrare la bontà dell'assunto, mi avvarrò delle lezioni impartite a caro prezzo dalla storia. Primo, nel 1925 banchieri ed esperti consigliavano all'allora Cancelliere dello Scacchiere, Winston Churchill, di "affrettarsi a ritornare alla parità aurea in vigore prima del 1914. Una impresa che non comporta particolari difficoltà e che consentirà al Paese di godere del rispetto del resto del mondo e di scambi commerciali fiorenti".
Replicava Keynes: "Sciocchezze. La sterlina è spinta al rialzo verso i valori del 1914 da speculatori convinti che il governo inglese interverrà in sua difesa. Ma una sterlina sopravvalutata ostacolerà le esportazioni inglesi e ridurrà il nostro tasso di crescita nel lungo periodo". E i fatti dovevano dargli ragione: la Gran Bretagna, duramente colpita dalla prima guerra mondiale, non si sarebbe mai ripresa dal fatale errore commesso nel 1925.
Secondo, alla fine degli anni Trenta, la Francia governata dal Fronte Unito di Leon Blum restava ostinatamente agganciata alla vecchia parità aurea, mentre la Gran Bretagna, la Scandinavia, il Belgio e gli Stati Uniti deprezzavano le rispettive monete. Risultato: disoccupazione e tensioni sociali. Mentre fuori dalla Francia l'area della sterlina e il New Deal di Franklin Roosevelt reagivano alla grande depressione.
Terzo, di recente la Svezia ha cercato di dare ad intendere che la corona potesse guardare il marco negli occhi. Nel vano tentativo di preservare la credibilità, il governo conservatore ha autorizzato la Banca centrale a portare per breve tempo i tassi d'interesse al 500% annuo. Risultato: un fallimento ignominioso e un tasso di disoccupazione triplicato dopo tre anni di coalizioni conservatrici.
La Cee è una grande innovazione. E quando dico grande non mi riferisco ad una bandiera comune, ad una moneta unica o ad una Banca centrale europea. Mi riferisco ad una grande area di libero scambio per il movimento di beni e risorse e non ad un altro progetto di parità fisse che segua la sorte infelice degli accordi di Bretton Woods.
Può darsi che alcuni Paesi, forse la Francia e l'Olanda, vogliano continuare ad essere ancorati al marco. Va bene. Che lo facciano a loro rischio e pericolo. E preghino che la Bundesbank apra gli occhi prima che i disoccupati scendano in piazza a Parigi e a Marsiglia. Per quale motivo l'Italia dovrebbe cercare di risalire a bordo di una nave che affonda?
Quello che considero un consiglio valido per l'Italia è probabile che lo sia anche per gli spagnoli. Staremo a vedere.


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