La
veritá è che l'Italia si deve impegnare in una rivolta
contro la politica suicida degli alti tassi da parte della Bundesbank,
una sorta di Davide, armato della nuova arma dì un sindacato
lungimirante, contro un potente Golia. l'Italia condividerebbe volentieri
la battaglia per tassì d'interesse più bassi cori altri
Paesi che hanno problemi simili, soprattutto in termini dì alta
disoccupazione, come la Spagna, l'Irlanda, il Belgio e naturalmente
la Francia.
FRANCO MODIGLIANI
Un giornalista
italiano mi ha chiesto che cosa pensassi della posizione espressa
da Franco Modigliani, collega del Mit e Nobel per l'Economia, di fama
mondiale. Afferma Modigliani: l'Italia farebbe bene, a procedere autonomamente.
Dal momento che la Bundesbank non si preoccupa abbastanza dei bisogni
degli altri Paesi - né persegue in modo ottimale il suo unico
obiettivo di contenere l'inflazione interna da prezzi - i Paesi membri
della Cee dovrebbero lasciare che la Germania e il marco procedano
per proprio conto. Sull'esempio della Gran Bretagna e della Spagna,
l'Italia dovrebbe utilizzare il grado di autonomia consentito dalla
fluttuazione della lira per perseguire i seguenti obiettivi: primo,
un grado ottimale di espansione macroeconomica; secondo, il contenimento
dei salari nominali per scongiurare il rischio che la competitività
della moneta italiana venga annullata da una spirale inflazionistica
dei prezzi e da successivi deprezzamenti del tasso di cambio.
I Paesi comunitari che non gravitano nell'area del marco e hanno optato
per le parità fluttuanti sono stati immediatamente sommersi
dai consigli di chi, in modo scarsamente convincente, affermava: "E'
necessario rientrare nello Sme non appena possibile, con nuove bande
di parità non troppo lontane dallo status quo antecedente".
Ho motivo di ritenere che la proposta di Modigliani sia più
sofisticata di quanto non lo sia la rozza interpretazione di cui sopra.
Tuttavia, essendomi stato richiesto di esprimere un parere in merito,
desidero affermare con risolutezza che essa indica la giusta direzione
da seguire per l'Italia e i Paesi comunitari che non orbitano nell'area
del marco.
Vorrei, a questo punto, avvalorare la mia approvazione entusiastica
citando in parte le risposte da me date a quesiti simili da giornalisti
della rivista The International Economy: che cosa farebbe, nei panni
di un alto funzionario di un Paese europeo che s'interroghi sull'opportunità
di uscire dal Sistema europeo delle parità fisse?
Ed ecco la mia risposta: "Se, prima del no danese al Trattato
di Maastricht, il Mercato comune avesse avuto una prospettiva concreta
di arrivare all'unificazione dell'economia degli anni '90, con la
creazione della moneta unica e di una Banca centrale europea, in quel
caso l'abbandono delle parità fisse con il marco sarebbe stata
tragedia".
La verità è che l'unificazione economica era un miraggio
alimentato dalle buone intenzioni. Il rispetto delle parità
fisse all'interno di bande strette tra economie che registrano tassi
d'inflazione che vanno dal 2 al 6% annuo era un'impresa destinata
a fallire. Non c'è motivo, quindi, di spargere lacrime a Londra
come a Roma, a Madrid o a Dublino, a Francoforte o a Parigi o all'Aja.
Per i Paesi che hanno deprezzato la loro moneta la sfida e l'opportunità
sono rappresentate dallo spazio di manovra che il fato ha loro concesso.
Il pericolo, viceversa, è che la contrattazione salariale interna
e il surriscaldamento delle politiche macroeconomiche vanifichino
tutti i vantaggi della libertà acquisita e perpetuino una spirale
infinita di instabilità del livello dei prezzi e dei tassi
di cambio.
L'America, come la storia dell'economia insegna, ha avuto tutto da
guadagnare liberandosi dai vincoli dei cambi fissi concordati a Bretton
Woods. Allo stesso modo, la Cee potrà godere appieno i frutti
di un grande mercato di libero scambio prima di procedere alla creazione
prematura di un'unica Banca centrale e di una moneta unica.
La Germania, alle prese con un'errata valutazione dei costi della
riunificazione e con una Banca centrale ossessionata dal problema
dell'inflazione, tanto da ignorare i problemi dei partner europei
e il rallentamento globale, non è la scommessa giusta su cui
puntare per dirigere l'orchestra europea negli anni 1993-97.
Per dimostrare la bontà dell'assunto, mi avvarrò delle
lezioni impartite a caro prezzo dalla storia. Primo, nel 1925 banchieri
ed esperti consigliavano all'allora Cancelliere dello Scacchiere,
Winston Churchill, di "affrettarsi a ritornare alla parità
aurea in vigore prima del 1914. Una impresa che non comporta particolari
difficoltà e che consentirà al Paese di godere del rispetto
del resto del mondo e di scambi commerciali fiorenti".
Replicava Keynes: "Sciocchezze. La sterlina è spinta al
rialzo verso i valori del 1914 da speculatori convinti che il governo
inglese interverrà in sua difesa. Ma una sterlina sopravvalutata
ostacolerà le esportazioni inglesi e ridurrà il nostro
tasso di crescita nel lungo periodo". E i fatti dovevano dargli
ragione: la Gran Bretagna, duramente colpita dalla prima guerra mondiale,
non si sarebbe mai ripresa dal fatale errore commesso nel 1925.
Secondo, alla fine degli anni Trenta, la Francia governata dal Fronte
Unito di Leon Blum restava ostinatamente agganciata alla vecchia parità
aurea, mentre la Gran Bretagna, la Scandinavia, il Belgio e gli Stati
Uniti deprezzavano le rispettive monete. Risultato: disoccupazione
e tensioni sociali. Mentre fuori dalla Francia l'area della sterlina
e il New Deal di Franklin Roosevelt reagivano alla grande depressione.
Terzo, di recente la Svezia ha cercato di dare ad intendere che la
corona potesse guardare il marco negli occhi. Nel vano tentativo di
preservare la credibilità, il governo conservatore ha autorizzato
la Banca centrale a portare per breve tempo i tassi d'interesse al
500% annuo. Risultato: un fallimento ignominioso e un tasso di disoccupazione
triplicato dopo tre anni di coalizioni conservatrici.
La Cee è una grande innovazione. E quando dico grande non mi
riferisco ad una bandiera comune, ad una moneta unica o ad una Banca
centrale europea. Mi riferisco ad una grande area di libero scambio
per il movimento di beni e risorse e non ad un altro progetto di parità
fisse che segua la sorte infelice degli accordi di Bretton Woods.
Può darsi che alcuni Paesi, forse la Francia e l'Olanda, vogliano
continuare ad essere ancorati al marco. Va bene. Che lo facciano a
loro rischio e pericolo. E preghino che la Bundesbank apra gli occhi
prima che i disoccupati scendano in piazza a Parigi e a Marsiglia.
Per quale motivo l'Italia dovrebbe cercare di risalire a bordo di
una nave che affonda?
Quello che considero un consiglio valido per l'Italia è probabile
che lo sia anche per gli spagnoli. Staremo a vedere.
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