L'Occidente
è chiamato ad adattarsi ad un mondo contemporaneo che si muoverà
in direzioni sempre più imprevedibili e le cui risorse interne
e i meccanismi segreti tenderanno a sfuggire al suo controllo in quanto
si rifanno a ricordi e a fedeltà che non sono dell'Occidente.
Dal momento che l'Occidente è costretto a integrarsi con riferimenti
mentali e costruzioni cui non ha preso parte e che saranno trasmessi
e a cui verrà data rilevanza universale da popoli di altri paesi,
dovrà pensare ad un futuro in cui non sarà più
il solo a desiderare o a modellare.
Dovrà imparare come diventare un componente tra altre nella società
umana.
Adel Rofaat
La crisi economica
che da due anni a questa parte travaglia la Germania ha frustrato
tutte le aspettative secondo le quali l'Europa occidentale sarebbe
riuscita ad evitare una recessione in piena regola. Prevedibile, al
contrario, la recessione che ha colpito per prime la Svezia e la Finlandia
come conseguenza della rottura dei legami con l'ex Urss e della rinuncia,
da parte della Svezia, allo Stato assistenziale.
Tra i primi Paesi ad essere colpiti dalla cosiddetta "recessione
del mondo anglofono" del 1990, figura anche la Gran Bretagna.
Gli effetti di una produzione stagnante o in flessione, registrata
nel '92 in un gran numero di altri Paesi, e soprattutto la situazone
disastrosa dell'Europa orientale, si sono rivelati un peso eccessivo
per l'Europa occidentale. La recessione si è quindi diffusa
ad altre aree proprio quando i Paesi di lingua inglese stavano avviando
una ripresa, sia pure modesta.
Considerata la difficoltà di varare un programma ambizioso
di cambiamento economico in un contesto di recessione, non sorprende
il fatto che i vincoli previsti dal Trattato di Maastricht abbiano
suscitato lo scetticismo di molti danesi e di altri cittadini europei.
In attesa che l'Europa occidentale avvii una ripresa sostenuta, i
passi in direzione di una maggiore unità non potranno essere
che modesti. La tempesta valutaria, l'ultima in ordine di tempo, conferma
l'inadeguatezza degli accordi in vigore.
Due sono le interpretazioni relative a quelle turbolenze monetarie:
entrambe dimostrano la difficoltà di garantire la collegialità
nella determinazione delle rispettive politiche europee. Ed è
proprio questa difficoltà ad ostacolare o impedire il passaggio
alle ultime fasi dell'unione europea, soprattutto per quanto riguarda
la moneta e la Banca centrale unica. C'è, invece, chi vede
nella crisi che ha investito lo Sme la conferma della necessità
di creare organi centrali in grado di far rispettare i vincoli sottoscritti
dai Paesi aderenti. I sostenitori di questa linea affermano che fatti
come quelli del settembre '92 non si verificherebbero più,
una volta realizzata la piena unione dell'Europa.
Tuttavia, il passo più importante che oggi s'impone all'Europa
occidentale è di uscire dalla recessione e di avviare una ripresa
del ciclo economico. Desidero sottolineare che il problema dell'Europa,
con l'eccezione dei Paesi dell'Est, è più di carattere
ciclico che strutturale. E poiché le fasi cicliche vanno e
vengono, arriverà anche la ripresa.
In questo momento, protagonista dell'economia europea è la
Germania. Quando la recessione mondiale ha colpito l'economia tedesca,
il destino ciclico dell'Europa occidentale era segnato. La rigorosa
politica monetaria cui si è fatto ricorso per combattere le
pressioni inflazionistiche generate dal costo dei trasferimenti dalla
Germania Ovest a quella Est è stata la maggiore responsabile
della crisi che ha investito lo Sme. In Gran Bretagna e in Italia,
la svalutazione delle rispettive monete e la riduzione dei tassi d'interesse
hanno consentito un incremento notevole delle esportazioni.
In Gran Bretagna questo ha aperto la strada a una modesta ripresa.
Non così per l'Italia, la quale deve fare i conti anche con
gli effetti negativi di una corruzione diffusa. La Francia è
riuscita a difendere la stabilità del franco. A prezzo, però,
di una netta flessione della produzione industriale e dell'aumento
della disoccupazione.
Quando la sostituzione degli impianti obsoleti sarà stata portata
a termine, la Germania Est diventerà una potenza economica
in grado di puntare all'espansione, con indubbio vantaggio dei partner
della Comunità europea. Nella Germania Est, del resto, lo sviluppo
è già una realtà, anche se il tasso di disoccupazione
continua ad essere elevato e i profitti sono modesti. Arriverà
però il momento in cui i profitti consistenti e il relativo
gettito fiscale consentiranno alla Germania Ovest di trasferire all'Est
non più di 100 miliardi di marchi all'anno, vale a dire una
cifra molto inferiore a quella attuale.
Date le circostanze, l'inflazione all'interno dei Paesi comunitari
dovrebbe restare sotto controllo, mentre l'aumento del Pil per il
'94 in media è previsto sotto il 2% una prospettiva, a dir
poco, pessimistica. In un quadro del genere non è pensabile
che l'attività economica europea rispecchi quella forza che,
secondo gli auspici, doveva risultare dall'unione. Ciò non
vuol dire tuttavia che un futuro migliore sia definitivamente fuori
discussione: basterebbe cambiare strategie e rinunciare a un controllo
monetario rigido. Un "mix" flessibile di politiche monetarie
e fiscali, associato a una maggiore competitività internazionale
(resa possibile da un considerevole incremento della crescita produttiva)
potrebbe infatti portare l'espansione europea a tassi di gran lunga
superiori al 3% per qualche anno. Se non altro nella prima fase della
ripresa.
Alla difficoltà di raccogliere i benefici previsti dall'unione,
si sono aggiunti gli innumerevoli ostacoli frapposti alla ristrutturazione
dell'Europa dell'Est e dell'ex Urss. Sui benefici derivanti dalla
liberalizzazione del mercato si è peccato di eccessivo ottimismo,
sia in termini di grandezza sia di tempi. E i Paesi dell'Europa occidentale
farebbero bene a dare una valutazione più realistica del problema.
E' probabile che il caso della Germania Est si risolva per il meglio,
ma a un prezzo immane, che tutti hanno pagato. Gli altri Paesi dell'Est,
comprese l'ex Unione Sovietica e l'ex Jugoslavia, sono invece in una
situazione meno favorevole per quanto riguarda l'appoggio finanziario.
Tanto che per raggiungere una prestazione economica soddisfacente
potrebbero impiegare il resto del decennio, e anche più. Nel
frattempo, per l'economia dell'Europa occidentale, esse saranno più
un peso che un vantaggio.