§ Scenari 2000

Europa con ripresa lontana




Lawrence R. Klein



L'Occidente è chiamato ad adattarsi ad un mondo contemporaneo che si muoverà in direzioni sempre più imprevedibili e le cui risorse interne e i meccanismi segreti tenderanno a sfuggire al suo controllo in quanto si rifanno a ricordi e a fedeltà che non sono dell'Occidente. Dal momento che l'Occidente è costretto a integrarsi con riferimenti mentali e costruzioni cui non ha preso parte e che saranno trasmessi e a cui verrà data rilevanza universale da popoli di altri paesi, dovrà pensare ad un futuro in cui non sarà più il solo a desiderare o a modellare.
Dovrà imparare come diventare un componente tra altre nella società umana.

Adel Rofaat

La crisi economica che da due anni a questa parte travaglia la Germania ha frustrato tutte le aspettative secondo le quali l'Europa occidentale sarebbe riuscita ad evitare una recessione in piena regola. Prevedibile, al contrario, la recessione che ha colpito per prime la Svezia e la Finlandia come conseguenza della rottura dei legami con l'ex Urss e della rinuncia, da parte della Svezia, allo Stato assistenziale.
Tra i primi Paesi ad essere colpiti dalla cosiddetta "recessione del mondo anglofono" del 1990, figura anche la Gran Bretagna. Gli effetti di una produzione stagnante o in flessione, registrata nel '92 in un gran numero di altri Paesi, e soprattutto la situazone disastrosa dell'Europa orientale, si sono rivelati un peso eccessivo per l'Europa occidentale. La recessione si è quindi diffusa ad altre aree proprio quando i Paesi di lingua inglese stavano avviando una ripresa, sia pure modesta.
Considerata la difficoltà di varare un programma ambizioso di cambiamento economico in un contesto di recessione, non sorprende il fatto che i vincoli previsti dal Trattato di Maastricht abbiano suscitato lo scetticismo di molti danesi e di altri cittadini europei. In attesa che l'Europa occidentale avvii una ripresa sostenuta, i passi in direzione di una maggiore unità non potranno essere che modesti. La tempesta valutaria, l'ultima in ordine di tempo, conferma l'inadeguatezza degli accordi in vigore.
Due sono le interpretazioni relative a quelle turbolenze monetarie: entrambe dimostrano la difficoltà di garantire la collegialità nella determinazione delle rispettive politiche europee. Ed è proprio questa difficoltà ad ostacolare o impedire il passaggio alle ultime fasi dell'unione europea, soprattutto per quanto riguarda la moneta e la Banca centrale unica. C'è, invece, chi vede nella crisi che ha investito lo Sme la conferma della necessità di creare organi centrali in grado di far rispettare i vincoli sottoscritti dai Paesi aderenti. I sostenitori di questa linea affermano che fatti come quelli del settembre '92 non si verificherebbero più, una volta realizzata la piena unione dell'Europa.
Tuttavia, il passo più importante che oggi s'impone all'Europa occidentale è di uscire dalla recessione e di avviare una ripresa del ciclo economico. Desidero sottolineare che il problema dell'Europa, con l'eccezione dei Paesi dell'Est, è più di carattere ciclico che strutturale. E poiché le fasi cicliche vanno e vengono, arriverà anche la ripresa.
In questo momento, protagonista dell'economia europea è la Germania. Quando la recessione mondiale ha colpito l'economia tedesca, il destino ciclico dell'Europa occidentale era segnato. La rigorosa politica monetaria cui si è fatto ricorso per combattere le pressioni inflazionistiche generate dal costo dei trasferimenti dalla Germania Ovest a quella Est è stata la maggiore responsabile della crisi che ha investito lo Sme. In Gran Bretagna e in Italia, la svalutazione delle rispettive monete e la riduzione dei tassi d'interesse hanno consentito un incremento notevole delle esportazioni.
In Gran Bretagna questo ha aperto la strada a una modesta ripresa. Non così per l'Italia, la quale deve fare i conti anche con gli effetti negativi di una corruzione diffusa. La Francia è riuscita a difendere la stabilità del franco. A prezzo, però, di una netta flessione della produzione industriale e dell'aumento della disoccupazione.
Quando la sostituzione degli impianti obsoleti sarà stata portata a termine, la Germania Est diventerà una potenza economica in grado di puntare all'espansione, con indubbio vantaggio dei partner della Comunità europea. Nella Germania Est, del resto, lo sviluppo è già una realtà, anche se il tasso di disoccupazione continua ad essere elevato e i profitti sono modesti. Arriverà però il momento in cui i profitti consistenti e il relativo gettito fiscale consentiranno alla Germania Ovest di trasferire all'Est non più di 100 miliardi di marchi all'anno, vale a dire una cifra molto inferiore a quella attuale.
Date le circostanze, l'inflazione all'interno dei Paesi comunitari dovrebbe restare sotto controllo, mentre l'aumento del Pil per il '94 in media è previsto sotto il 2% una prospettiva, a dir poco, pessimistica. In un quadro del genere non è pensabile che l'attività economica europea rispecchi quella forza che, secondo gli auspici, doveva risultare dall'unione. Ciò non vuol dire tuttavia che un futuro migliore sia definitivamente fuori discussione: basterebbe cambiare strategie e rinunciare a un controllo monetario rigido. Un "mix" flessibile di politiche monetarie e fiscali, associato a una maggiore competitività internazionale (resa possibile da un considerevole incremento della crescita produttiva) potrebbe infatti portare l'espansione europea a tassi di gran lunga superiori al 3% per qualche anno. Se non altro nella prima fase della ripresa.
Alla difficoltà di raccogliere i benefici previsti dall'unione, si sono aggiunti gli innumerevoli ostacoli frapposti alla ristrutturazione dell'Europa dell'Est e dell'ex Urss. Sui benefici derivanti dalla liberalizzazione del mercato si è peccato di eccessivo ottimismo, sia in termini di grandezza sia di tempi. E i Paesi dell'Europa occidentale farebbero bene a dare una valutazione più realistica del problema.
E' probabile che il caso della Germania Est si risolva per il meglio, ma a un prezzo immane, che tutti hanno pagato. Gli altri Paesi dell'Est, comprese l'ex Unione Sovietica e l'ex Jugoslavia, sono invece in una situazione meno favorevole per quanto riguarda l'appoggio finanziario. Tanto che per raggiungere una prestazione economica soddisfacente potrebbero impiegare il resto del decennio, e anche più. Nel frattempo, per l'economia dell'Europa occidentale, esse saranno più un peso che un vantaggio.


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