Non
c'è più una locomotiva mondiale, ma se gli altri Paesi
non partono, la ripresa è monca. Per questo i grandi paesi industrializzati,
Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Italia, devono unirsi e
sostenere un programma comune di stimoli alla crescita, un gigantesco
programma pubblico universale per creare lavoro. Certamente ci vorrà
del tempo per ottenere dei risultati concreti, importante è procedere
in ordine sparso.
Ora che sono tutti così soddisfatti per l'accordo sul commercio
internazionale, perché non si misurano su un programma economico
comune subito? Stati Uniti, Giappone e Cee si sono mossi un poco, gli
altri che cosa aspettano?
Jhon Kenneth Galbraith
Le preoccupazioni
erano state espresse a Copenhaghen, poi allo stesso vertice di Tokyo:
con 17 milioni di disoccupati, che possono diventare 20 nel corso
di questo anno, uno dei principali obiettivi dell'Unione Europea,
la protezione sociale dei cittadini, sembra allontanarsi, mentre ricompaiono
i vecchi fantasmi del protezionismo, della divisione politica e dell'odio
etnico, vale a dire l'esatto contrario dello spirito europeista.
E' quindi bene rivedere in sintesi le principali cause da cui ha origine
questa situazione e riflettere sugli eventuali rimedi.
1) Le cause. La disoccupazione nella Cee ha in parte cause congiunturali,
cioè legate alla situazione specifica, ed in parte strutturali,
cioè dipendenti da fenomeni di più lungo periodo. Quanto
alle prime, l'osservazione dei sistemi economici consente di fissare
in circa il 2% la "crescita di equilibrio", cioè
la crescita della produzione che permette di mantenere inalterata
l'occupazione esistente. Quasi tutti i Paesi europei hanno attualmente
saggi di crescita nulli o negativi, da cui consegue la crescita del
numero dei disoccupati. Quanto alle cause di più lungo periodo
e dunque più pericolose e più difficili da eliminare,
esse riguardano in modo particolare il costo del lavoro, molto più
elevato in Europa rispetto ad altre aree del mondo, che fa perdere
competitività alle imprese e quindi sposta gli investimenti
dall'Europa a quelle altre aree, specie dell'Estremo Oriente, che
ai bassi costi del lavoro uniscono un'altissima crescita.
2) I rimedi. Il primo tipo di patologia dovrebbe essere curato con
gli strumenti tradizionali della politica economica. Ma la discesa
dei tassi di interesse è ostacolata dalla scarsità relativa
dei capitali in Europa e dalle ossessioni antinflazionistiche dei
tedeschi. D'altra parte, l'aumento della spesa pubblica per sostenere
l'attività produttiva è impraticabile per il deficit
eccessivo di alcuni Paesi, e per l'interdipendenza fra tutti; il che
equivale a dire che se l'Italia, la Germania e la Spagna hanno disavanzi
eccessivi, la Francia - che pure ha un bilancio pubblico più
sano - non può da sola condurre una politica espansiva.
Il rimedio potrebbe essere trovato assegnando alla Cee una nuova funzione,
ad esempio lanciando un prestito comunitario destinato a finanziare
le esportazioni nei Paesi dell'Est europeo. Se ne avrebbe il duplice
beneficio di stimolare l'attività interna dei Paesi della Comunità,
superando i vincoli posti dai bilanci nazionali, e, di offrire un
aiuto concreto agli europei dell'Est, aiuti sulla cui opportunità
economica e politica non è neppure il caso di discutere.
L'elevatezza del costo del lavoro nella Cee dipende dai livelli salariali
e dai prelievi contributivi e fiscali sui salari medesimi. Ridurre
i primi vorrebbe dire ridurre il tenore eli vita (lei cittadini; ridurre
i secondi comporterebbe tagli allo "Stato sociale", il che
forse si potrà fare, ma indubbiamente incontra fortissime resistenze.
Sta di fatto, comunque, che gli europei vivono al di sopra dei propri
mezzi e che quindi accadrà quello che accade a tutti coloro
che si comportano così: esaurito il patrimonio, il ridimensionamento
del tenore di vita sarà forte e inevitabile. La crescita della
disoccupazione è il primo segnale che consegue all'avere imboccato
questa strada.
Per questo motivo
in sede comunitaria sta prendendo corpo l'idea di prelevare un'imposta
sui consumi energetici (la cosiddetta carbon tax) per redistribuire
il gettito fra i Paesi membri, allo scopo di finanziarie la riduzione
del costo del lavoro, ad esempio eliminando i prelievi contributivi
sui "nuovi" posti di lavoro.
E' un'idea molto buona, perché oltre agli aspetti ambientali
e di risparmio per una risorsa scarsa per l'Europa (l'energia), dovrebbe
favorire la formazione di nuovi posti eli lavoro e quindi contribuire
alla soluzione dell'emergenza-disoccupazione.
L'idea però presenta alcuni rischi che si debbono evitare.
Il primo deriva dal fatto che l'Italia, fra i Paesi della Cee, è
quello che consuma più idrocarburi per unità eli energia
prodotta, e quindi la tassa penalizzerebbe la competitività
italiana. Il secondo sta nel fatto che un'imposta prelevata sulla
produzione e destinata a ridurre un costo eli produzione (il lavoro)
non ha alcun effetto sulla competitività dell'industria europea
che è il vero problema all'origine del fenomeno che si vuole
curare.
Questi rischi potrebbero essere evitati tassando i prodotti sulla
base eli uno standard energetico e adottando per le importazioni e
le esportazioni un sistema eli prelievi e di rimborsi analogo a quello
dell'Iva. Se l'idea procederà, i ministri competenti sono pregati
di tenerne conto.
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