§ Scenari 2000

Germania schizofrenica?




M. B.



La disintegrazione del resto del Continente ha reso più pressante che mai la necessità dell'integrazione politica. Le economie dell'Est dipendono essenzialmente dalla stabilità politica ed economica di un'Europa occidentale istituzionalmente organizzata. In mancanza di questa istituzionalizzazione e di questo approfondimento, il grande pericolo è che la Germania, con il suo eccesso di energie - nonostante la difficoltà che comporta la digestione della ex Rdt - faccia di testa sua. Se non canalizzerà definitivamente il suo slancio nella costruzione europea, l'Europa correrà il rischio di vedersi votata alla dispersione e al collasso.
Xavier Vidal - Folch

Il gigante tedesco sta diventando troppo ingombrante per l'unità europea? I giudizi sono divisi fra colpevolisti e innocentisti, con qualche leggera prevalenza di questi ultimi. Se c'è un Paese che ha prodotto il massimo sforzo per giungere all'unità europea, dicono gli innocentisti, questo è stato proprio quello tedesco; l'Europa, semmai, è stata affossata dai francesi, che hanno fatto un referendum che ha visto prevalere gli europeisti di pochissimi voti, dalle incertezze britanniche e dal primo referendum danese, collegato al lino" britannico. In altre parole: l'Europa non è più Bruxelles o Strasburgo, con la loro corrotta eurocrazia, stagnante e infiltrata dalle lobbies. L'Europa dei Dodici è morta e sepolta. E' nata un'altra cosa, che va ben oltre il trattato di Roma della Comunità economica europea, e la Germania è impegnata a fondo per integrare l'ex Repubblica democratica tedesca nella democrazia occidentale e nel libero mercato.
Altri intellettuali ribadiscono che l'unione europea, così come era nata dalle macerie del dopoguerra, non esiste più, perché una delle grandi ragioni per fare l'Europa unita, cioè il timore di essere troppo deboli di fronte agli Stati Uniti e di fronte all'ex Unione Sovietica, è venuta a mancare con la fine della guerra fredda tra i due colossi mondiali.
Non solo. C'è chi pensa che la riunificazione della Germania avrebbe dovuto addirittura rafforzare la federazione europea, più che allontanarla: se ci fosse stato un autentico processo di convergenza tra le diverse nazioni, la nuova unità tedesca avrebbe costituito un elemento di forza per l'Europa. Si sarebbe dovuto aiutare questa Germania a superare le difficoltà di assimilazione dell'Est.
Di diverso avviso altri intellettuali: è vero che la colpa non è della Germania, o non solo della Germania, ma si dà il caso che assistiamo allo scollamento del progetto europeo, con il forte rischio di avere un'Europa germanica, dominata da una potenza economica superiore, anziché una Comunità europea. Non è una buona prospettiva, ma la dobbiamo anche agli errori della Francia e dell'Inghilterra e ai loro spiriti nazionali. in altre parole, è come far ritorno allo spirito che precedette il 1914, in condizioni storiche che restituiscono i Paesi al demone dei rispettivi interessi.
La Germania è accusata di aver reso inevitabile la guerra nella ex Jugoslavia, spingendo la Comunità europea al riconoscimento immediato della Slovenia e della Croazia, invece di negoziare tra le parti in conflitto. Bonn avrebbe agito così per estendere a queste due nuove nazioni l'area di influenza del marco e per ottenere un accesso al mare Adriatico.
Il dramma jugoslavo è una delle questioni sulle quali gli specialisti e gli esperti, sia pure per un lieve scarto, sono più colpevolisti. I tedeschi, sostengono, hanno sempre spinto per il riconoscimento internazionale dell'indipendenza slovena e croata. Nel dicembre 1991 dissero che lo avrebbero fatto da soli, senza la Comunità europea. Eravamo alla vigilia della firma dei Trattato di Maastricht, non ci si poteva permettere il lusso di spaccare la Comunità e ci si dovette accodare. Ma era fin troppo chiaro che una decisione del genere attizzava l'incendio jugoslavo e che in poco tempo sarebbe esplosa la Bosnia e forse, in un futuro non tanto lontano, anche la Macedonia e il Kosovo.
Alla Germania, dunque, spetta la reponsabilità del peggiore errore morale: non aver preso l'iniziativa di guidare gli altri Paesi europei e contenere il conflitto e salvare le vittime. Per quale prospettiva? C'è chi ipotizza: il disegno perseguito dalla Germania è la costruzione di un grande impero economico dal Mar Baltico all'Adriatico, dal Reno fino al Dniepr, in Ucraina. Qualche cosa, insomma, che somiglia, anzi amplia quello che era stato il sogno di Naumann, il primo ad usare, inventandolo, il termine "Mitteleuropa": che era il progetto di una federazione della Germania, dell'Austria, della Bulgaria, della Turchia, passando possibilmente per qualche Paese balcanico, come la Slovenia e la Bosnia.
Sul versante opposto, c'è chi vede nel riconoscimento di Slovenia e Croazia da parte tedesca un atto dovuto in omaggio al principio di autodeterminazione dei popoli: quale alternativa c'era alla scelta tedesca? Forse quella di aiutare i serbi, seguendo gli errori franco-inglesi? La politica miope di Londra e di Parigi era esplicita: fare della Serbia una grande potenza in funzione anti-tedesca e anti-turca. Era ovvio che la Serbia avrebbe lanciato l'aggressione: lo aveva già fatto in Slavonia, prima ancora che in Slovenia e Croazia. I serbi sono i nazisti del Duemila, e Francia e Inghilterra portano la responsabilità di una guerra molto più lunga, avendo inviato truppe smilitarizzate e gestito l'occupazione serba voluta da Milosevic.
E non è finita. Oltre alla frantumazione dell'ex Jugoslavia, c'è chi ha intravisto lo zampino tedesco anche dietro la spaccatura della Cecoslovacchia in due repubbliche: quella ceca e quella slovacca. in altre parole, Praga avrebbe mollato Bratislava per avvicinarsi di più a Bonn. E i boemi sarebbero entrati di fatto nell'orbita tedesca, lasciando la Slovacchia arretrata e contadina alle prese con il suo destino.
E' così? La maggior parte degli osservatori vede piuttosto un ruolo tedesco passivo, più che una responsabilità. In concreto, se il supermarco è una calamita, che colpa ne ha Bonn? Alcuni ricordano che l'unione fra cechi e slovacchi era così artificiale che nessuna forza umana avrebbe potuto fermarli. Che la Germania sia intervenuta con un'azione diplomatica clandestina non è provato. Oltre tutto, con la diffusa malevolenza verso la politica estera tedesca si sarebbe subito saputo. Con ogni probabilità, allora, si tratta dell'ultima - almeno in ordine di tempo - guerra a sfondo religioso d'Europa: i boemi hanno una cultura tedesca e una certa ostilità per i cattolici, che nel Quattrocento promossero contro gli Hussiti di Boemia ben cinque crociate. La Slovacchia invece è cattolica. Anche storicamente i due Paesi sono stati a lungo divisi: la Boemia faceva parte dell'Impero absburgico, mentre la Slovacchia apparteneva alla corona ungherese. Si tratta dunque di due Paesi a tempo pronti a separarsi, senza alcun bisogno di sollecitazioni esterne, e meno che mai da parte germanica.
Caso mai, è necessario sottolineare un altro aspetto: non è soltanto la Germania a coltivare sogni di egemonia. Sono gli stessi Paesi del Centro e dell'Est europeo a volersi inserire nel mercato tedesco e a chiedere investimenti sul proprio territorio. A questo punto si ha a che fare con una potenza o con uno Stato-attrattivo.
La Germania unificata viene percepita anche come un Paese minaccioso, disposto solo ad accumulare risorse e a coltivare manie di grandezza continentale. La domanda è: esiste il rischio di un Quarto Reich germanico sull'intera Europa, e sia pure non di carattere politico, ma economico? La risposta, almeno nel breve periodo, è orientata sul negativo: la Germania sta attraversando un periodo molto difficile e altrettanto complesso e la riunificazione fino ad ora l'ha più indebolita che rafforzata. Se saprà superare questa fase, rivitalizzando l'Est e il Centro europei (qualche cosa come 400 milioni di persone più o meno nel caos), allora diventerà la prima potenza economica del mondo. Ma è un compito immane. In questo caso, secondo alcuni, i tedeschi potranno rialzare la testa anche in campo politico; con piena legittimità, poiché fino a prova contraria sono una grande nazione, ancorata alla democrazia, con il diritto e il dovere storico di svolgere un ruolo rilevante sulla scena internazionale. Meno sereni altri: la Germania è stata quasi sempre considerata un grande pericolo e forse lo sarà ancora. Ma non adesso che è alle prese con i problemi della post-riunificazione. Prima dell'abbattimento del Muro era compatta e in fortissima crescita economica: ora deve trovare un nuovo equilibrio e ci impiegherà un po' di anni.
Le basi per una rinascita tedesca prorompente, per altri, ci sono e sono di vecchia data: l'attuale Pontefice che viene dall'Est europeo venne eletto con i voti dei cardinali tedeschi per scardinare il regime marxista-leninista e per stendere l'area del marco ad oriente. Chi si opporrà con tutte le sue forze ad una leadership tedesca in Europa e nell'Est saranno gli Stati Uniti: ma non avranno alcun successo.
E' opinione diffusa che gli alti tassi d'interesse tedeschi, resi necessari dai costi della riunificazione, siano tra le cause di un inasprimento della recessione economica del Vecchio Continente. Per due motivi: strangolano le imprese, aumentando il costo del denaro; attirano i capitali stranieri, meglio remunerati in Germania che nei Paesi d'origine, costringendo questi ad alzare i tassi d'interesse dei titoli pubblici. Il che significa maggiore deficit per lo Stato.
Secondo la maggior parte degli osservatori, errori tedeschi sono stati fatti e gli alti tassi d'interesse aggravano le condizioni economiche di diversi Paesi, soprattutto europei. Tuttavia, la recessione ha ben altre ragioni e la Germania ha tutto il diritto, oltre che forti motivi, per tenere alti i tassi. La Bundesbank, la Banca centrale tedesca, non può fare altrimenti, a meno di mettersi contro la Costituzione tedesca che la obbliga a difendere la stabilità della moneta germanica e a controllare l'inflazione.
Oltre tutto, l'inflazione tedesca è alta, è intorno ad una media del 4,5 per cento; è ben più alta di quella francese e molto vicina a quella italiana: solo che è aggravata dall'aumento delle imposte per risistemare il bilancio pubblico spremuto dai finanziamenti e dagli investimenti nel territorio dell'ex Germania orientale.
Gli errori tedeschi però ci sono stati, e vanno attribuiti ai sindacati e al management. I due partiti più forti, la Cdu e la Spd, non hanno stipulato un patto di solidarietà nazionale per gestire il problema della Germania dell'Est e ci sono voluti due anni per approvare la legge sugli immigrati; i manager sono stati poi lenti nel risolvere i problemi di proprietà dell'Est; e i sindacati hanno imposto contratti costosissimi. C'è anche chi parla di una politica di Bonn eccessivamente debole, che ha scaricato troppi costi della riunificazione sul bilancio dello Stato; e anche dell'errore tedesco del cambio alla pari tra marco occidentale e orientale: l'operazione ha fatto lievitare i costi di manodopera dell'ex Germania Orientale, non favorendo gli investimenti nel Paese.
Ai tedeschi vengono mosse accuse di avere affossato il Sistema monetario europeo con lo strapotere del marco: quello che alla valuta germanica deriva dagli alti tassi d'interesse e che nell'ordine ha imposto (oltre alla cospicua svalutazione della lira e della peseta spagnola) un nuovo accordo nello Sme, con una banda di oscillazione consentita alle valute molto elevata: ciò che segna in pratica la morte clinica del "Serpentone" monetario continentale.
Secondo alcuni osservatori, l'uscita del marco dallo Sme avrebbe potuto ridurre il pericolo di una profonda recessione in Europa, dando modo alla Germania di gestire il problema dell'Est con le politiche adatte. Secondo altri, invece, non c'è con chi prendersela: se mancano politiche convergenti, è inevitabile che la Germania conquisti posizioni sempre più forti. Sulle stesse posizioni si trovano coloro secondo i quali tutti i fattori che hanno indebolito le valute nazionali sono gli stessi che hanno scardinato il Sistema monetario europeo: le politiche economiche che hanno determinato la forza del marco sono state più sane di quelle degli altri Paesi. Né ci deve eccessivamente spaventare la prospettiva di un vicino forte come la Germania: obbliga i Paesi europei a fare i conti con le vere cause della recessione economica, vale a dire ragioni strutturali e carenze del tessuto economico, aziende di Stato in perdita e fallimenti di grandi gruppi italiani in testa, oltre alla trasformazione di imprese industriali in pure e semplici imprese finanziarie. Avere un esempio di efficienza accanto, non può che essere salutare per tutti.
Ultimo aspetto: l'accusa di razzismo, che è facile muovere agli altri quando non si vuol guardare attentamente in casa propria. Per alcuni esperti, la Germania ha dato un esempio molto negativo con la drastica cancellazione del diritto d'asilo e con l'espulsione di masse di profughi.
Secondo altri, accuse del genere sono soltanto un esempio dell'antigermanesimo che è malattia endemica dell'Europa occidentale. Dati alla mano, i tedeschi non sono più razzisti dei francesi e degli inglesi. Contro tutti gli schematismi, le inchieste condotte da seri centri di ricerca hanno messo in rilievo che in Germania, malgrado la presenza dei naziskin e malgrado gli attentati turchi, ci sono solo trascurabili spinte razziste: tant'è che le manifestazioni che si tengono in Germania proprio contro il razzismo non si vedono proprio altrove. Il vero problema è quello delle frontiere: milioni di profughi affamati sono pronti a tutto, pur di passare il confine; e la Germania è pressoché sola ad affrontarli e a cercare di investire nei Paesi di provenienza.
L'obiettivo è pan-europeo: deindustrializzare la Germania, per trasferire le manifatture in Boemia, in Ungheria, in Ucraina e magari anche in Polonia, dove c'è meno tecnologia ma che riuscirebbe utile come Paese-cuscinetto con la Russia.
Il problema è riuscirci in tempo: il 1994 in Germania sarà un anno elettorale e c'è il forte rischio di una secca sconfitta dei due forti partiti tradizionali, sostanzialmente concordi in politica economica (o con poche discordanze) e in politica estera. Se si profilerà una ingovernabilità del Paese, la miscela sarà esplosiva: inflazione, profughi alle porte. Allora sì che il razzismo potrebbe diventare un pericolo serio.

Risse di fine secolo

C'è chi è pronto a giurare che il primo ad alzare le mani e a scatenare la rissa sia stato il duo Ministro delle Finanze-Governatore della Banca di Francia. Si è scatenata così la grande disputa tra marco tedesco e franco francese, che ha costretto l'Europa ad allargare il 15 per cento in su e in giù le fasce di oscillazione all'interno del Sistema monetario europeo. In questi mesi il marco, sull'onda degli alti tassi d'interesse, si è rivalutato oltre misura, e gli speculatori, per logica conseguenza, hanno infierito contro la divisa francese. Secondo i commenti degli osservatori, si è trattato della rottura di un asse Parigi-Bonn che per quarant'anni era stato il motore dell'integrazione europea. Ora la Comunità economica europea si trova esposta al fascino disgregatore di chi non vuole più accettare sacrifici in nome di un mercato di centinaia di milioni di consumatori. Allora, che cosa potrà succedere?
E' tragicamente semplice. Accanto ai due poli monetari di un'Europa divisa, appunto il marco e il franco francese, è possibile incominciare a ipotizzare due distinte sfere d'influenza: per la Germania, l'area dei Paesi dell'Est post-comunista (Estonia, Lettonia, Lituania, ex Koenigsberg, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria), con i quali Bonn sta intensificando collegamenti finanziari e produttivi e verso i quali in futuro potrebbe stipulare accordi commerciali preferenziali, insieme con un'area europea che include l'Austria, il Belgio, l'Olanda e la Danimarca. Per la Francia, invece, l'area di influenza potrebbe abbracciare il Mediterraneo, dal Portogallo e dalla Spagna all'Italia, alla Grecia, fino al Medio Oriente. La Turchia con ogni probabilità sarebbe attratta dal marco tedesco, come la Bulgaria e forse anche la Romania. Un ritorno, più o meno, alla situazione del 1870, anche se in mutate condizioni storiche.


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