La
disintegrazione del resto del Continente ha reso più pressante
che mai la necessità dell'integrazione politica. Le economie
dell'Est dipendono essenzialmente dalla stabilità politica ed
economica di un'Europa occidentale istituzionalmente organizzata. In
mancanza di questa istituzionalizzazione e di questo approfondimento,
il grande pericolo è che la Germania, con il suo eccesso di energie
- nonostante la difficoltà che comporta la digestione della ex
Rdt - faccia di testa sua. Se non canalizzerà definitivamente
il suo slancio nella costruzione europea, l'Europa correrà il
rischio di vedersi votata alla dispersione e al collasso.
Xavier Vidal - Folch
Il gigante tedesco
sta diventando troppo ingombrante per l'unità europea? I giudizi
sono divisi fra colpevolisti e innocentisti, con qualche leggera prevalenza
di questi ultimi. Se c'è un Paese che ha prodotto il massimo
sforzo per giungere all'unità europea, dicono gli innocentisti,
questo è stato proprio quello tedesco; l'Europa, semmai, è
stata affossata dai francesi, che hanno fatto un referendum che ha
visto prevalere gli europeisti di pochissimi voti, dalle incertezze
britanniche e dal primo referendum danese, collegato al lino"
britannico. In altre parole: l'Europa non è più Bruxelles
o Strasburgo, con la loro corrotta eurocrazia, stagnante e infiltrata
dalle lobbies. L'Europa dei Dodici è morta e sepolta. E' nata
un'altra cosa, che va ben oltre il trattato di Roma della Comunità
economica europea, e la Germania è impegnata a fondo per integrare
l'ex Repubblica democratica tedesca nella democrazia occidentale e
nel libero mercato.
Altri intellettuali ribadiscono che l'unione europea, così
come era nata dalle macerie del dopoguerra, non esiste più,
perché una delle grandi ragioni per fare l'Europa unita, cioè
il timore di essere troppo deboli di fronte agli Stati Uniti e di
fronte all'ex Unione Sovietica, è venuta a mancare con la fine
della guerra fredda tra i due colossi mondiali.
Non solo. C'è chi pensa che la riunificazione della Germania
avrebbe dovuto addirittura rafforzare la federazione europea, più
che allontanarla: se ci fosse stato un autentico processo di convergenza
tra le diverse nazioni, la nuova unità tedesca avrebbe costituito
un elemento di forza per l'Europa. Si sarebbe dovuto aiutare questa
Germania a superare le difficoltà di assimilazione dell'Est.
Di diverso avviso altri intellettuali: è vero che la colpa
non è della Germania, o non solo della Germania, ma si dà
il caso che assistiamo allo scollamento del progetto europeo, con
il forte rischio di avere un'Europa germanica, dominata da una potenza
economica superiore, anziché una Comunità europea. Non
è una buona prospettiva, ma la dobbiamo anche agli errori della
Francia e dell'Inghilterra e ai loro spiriti nazionali. in altre parole,
è come far ritorno allo spirito che precedette il 1914, in
condizioni storiche che restituiscono i Paesi al demone dei rispettivi
interessi.
La Germania è accusata di aver reso inevitabile la guerra nella
ex Jugoslavia, spingendo la Comunità europea al riconoscimento
immediato della Slovenia e della Croazia, invece di negoziare tra
le parti in conflitto. Bonn avrebbe agito così per estendere
a queste due nuove nazioni l'area di influenza del marco e per ottenere
un accesso al mare Adriatico.
Il dramma jugoslavo è una delle questioni sulle quali gli specialisti
e gli esperti, sia pure per un lieve scarto, sono più colpevolisti.
I tedeschi, sostengono, hanno sempre spinto per il riconoscimento
internazionale dell'indipendenza slovena e croata. Nel dicembre 1991
dissero che lo avrebbero fatto da soli, senza la Comunità europea.
Eravamo alla vigilia della firma dei Trattato di Maastricht, non ci
si poteva permettere il lusso di spaccare la Comunità e ci
si dovette accodare. Ma era fin troppo chiaro che una decisione del
genere attizzava l'incendio jugoslavo e che in poco tempo sarebbe
esplosa la Bosnia e forse, in un futuro non tanto lontano, anche la
Macedonia e il Kosovo.
Alla Germania, dunque, spetta la reponsabilità del peggiore
errore morale: non aver preso l'iniziativa di guidare gli altri Paesi
europei e contenere il conflitto e salvare le vittime. Per quale prospettiva?
C'è chi ipotizza: il disegno perseguito dalla Germania è
la costruzione di un grande impero economico dal Mar Baltico all'Adriatico,
dal Reno fino al Dniepr, in Ucraina. Qualche cosa, insomma, che somiglia,
anzi amplia quello che era stato il sogno di Naumann, il primo ad
usare, inventandolo, il termine "Mitteleuropa": che era
il progetto di una federazione della Germania, dell'Austria, della
Bulgaria, della Turchia, passando possibilmente per qualche Paese
balcanico, come la Slovenia e la Bosnia.
Sul versante opposto, c'è chi vede nel riconoscimento di Slovenia
e Croazia da parte tedesca un atto dovuto in omaggio al principio
di autodeterminazione dei popoli: quale alternativa c'era alla scelta
tedesca? Forse quella di aiutare i serbi, seguendo gli errori franco-inglesi?
La politica miope di Londra e di Parigi era esplicita: fare della
Serbia una grande potenza in funzione anti-tedesca e anti-turca. Era
ovvio che la Serbia avrebbe lanciato l'aggressione: lo aveva già
fatto in Slavonia, prima ancora che in Slovenia e Croazia. I serbi
sono i nazisti del Duemila, e Francia e Inghilterra portano la responsabilità
di una guerra molto più lunga, avendo inviato truppe smilitarizzate
e gestito l'occupazione serba voluta da Milosevic.
E non è finita. Oltre alla frantumazione dell'ex Jugoslavia,
c'è chi ha intravisto lo zampino tedesco anche dietro la spaccatura
della Cecoslovacchia in due repubbliche: quella ceca e quella slovacca.
in altre parole, Praga avrebbe mollato Bratislava per avvicinarsi
di più a Bonn. E i boemi sarebbero entrati di fatto nell'orbita
tedesca, lasciando la Slovacchia arretrata e contadina alle prese
con il suo destino.
E' così? La maggior parte degli osservatori vede piuttosto
un ruolo tedesco passivo, più che una responsabilità.
In concreto, se il supermarco è una calamita, che colpa ne
ha Bonn? Alcuni ricordano che l'unione fra cechi e slovacchi era così
artificiale che nessuna forza umana avrebbe potuto fermarli. Che la
Germania sia intervenuta con un'azione diplomatica clandestina non
è provato. Oltre tutto, con la diffusa malevolenza verso la
politica estera tedesca si sarebbe subito saputo. Con ogni probabilità,
allora, si tratta dell'ultima - almeno in ordine di tempo - guerra
a sfondo religioso d'Europa: i boemi hanno una cultura tedesca e una
certa ostilità per i cattolici, che nel Quattrocento promossero
contro gli Hussiti di Boemia ben cinque crociate. La Slovacchia invece
è cattolica. Anche storicamente i due Paesi sono stati a lungo
divisi: la Boemia faceva parte dell'Impero absburgico, mentre la Slovacchia
apparteneva alla corona ungherese. Si tratta dunque di due Paesi a
tempo pronti a separarsi, senza alcun bisogno di sollecitazioni esterne,
e meno che mai da parte germanica.
Caso mai, è necessario sottolineare un altro aspetto: non è
soltanto la Germania a coltivare sogni di egemonia. Sono gli stessi
Paesi del Centro e dell'Est europeo a volersi inserire nel mercato
tedesco e a chiedere investimenti sul proprio territorio. A questo
punto si ha a che fare con una potenza o con uno Stato-attrattivo.
La Germania unificata viene percepita anche come un Paese minaccioso,
disposto solo ad accumulare risorse e a coltivare manie di grandezza
continentale. La domanda è: esiste il rischio di un Quarto
Reich germanico sull'intera Europa, e sia pure non di carattere politico,
ma economico? La risposta, almeno nel breve periodo, è orientata
sul negativo: la Germania sta attraversando un periodo molto difficile
e altrettanto complesso e la riunificazione fino ad ora l'ha più
indebolita che rafforzata. Se saprà superare questa fase, rivitalizzando
l'Est e il Centro europei (qualche cosa come 400 milioni di persone
più o meno nel caos), allora diventerà la prima potenza
economica del mondo. Ma è un compito immane. In questo caso,
secondo alcuni, i tedeschi potranno rialzare la testa anche in campo
politico; con piena legittimità, poiché fino a prova
contraria sono una grande nazione, ancorata alla democrazia, con il
diritto e il dovere storico di svolgere un ruolo rilevante sulla scena
internazionale. Meno sereni altri: la Germania è stata quasi
sempre considerata un grande pericolo e forse lo sarà ancora.
Ma non adesso che è alle prese con i problemi della post-riunificazione.
Prima dell'abbattimento del Muro era compatta e in fortissima crescita
economica: ora deve trovare un nuovo equilibrio e ci impiegherà
un po' di anni.
Le basi per una rinascita tedesca prorompente, per altri, ci sono
e sono di vecchia data: l'attuale Pontefice che viene dall'Est europeo
venne eletto con i voti dei cardinali tedeschi per scardinare il regime
marxista-leninista e per stendere l'area del marco ad oriente. Chi
si opporrà con tutte le sue forze ad una leadership tedesca
in Europa e nell'Est saranno gli Stati Uniti: ma non avranno alcun
successo.
E' opinione diffusa che gli alti tassi d'interesse tedeschi, resi
necessari dai costi della riunificazione, siano tra le cause di un
inasprimento della recessione economica del Vecchio Continente. Per
due motivi: strangolano le imprese, aumentando il costo del denaro;
attirano i capitali stranieri, meglio remunerati in Germania che nei
Paesi d'origine, costringendo questi ad alzare i tassi d'interesse
dei titoli pubblici. Il che significa maggiore deficit per lo Stato.
Secondo la maggior parte degli osservatori, errori tedeschi sono stati
fatti e gli alti tassi d'interesse aggravano le condizioni economiche
di diversi Paesi, soprattutto europei. Tuttavia, la recessione ha
ben altre ragioni e la Germania ha tutto il diritto, oltre che forti
motivi, per tenere alti i tassi. La Bundesbank, la Banca centrale
tedesca, non può fare altrimenti, a meno di mettersi contro
la Costituzione tedesca che la obbliga a difendere la stabilità
della moneta germanica e a controllare l'inflazione.
Oltre tutto, l'inflazione tedesca è alta, è intorno
ad una media del 4,5 per cento; è ben più alta di quella
francese e molto vicina a quella italiana: solo che è aggravata
dall'aumento delle imposte per risistemare il bilancio pubblico spremuto
dai finanziamenti e dagli investimenti nel territorio dell'ex Germania
orientale.
Gli errori tedeschi però ci sono stati, e vanno attribuiti
ai sindacati e al management. I due partiti più forti, la Cdu
e la Spd, non hanno stipulato un patto di solidarietà nazionale
per gestire il problema della Germania dell'Est e ci sono voluti due
anni per approvare la legge sugli immigrati; i manager sono stati
poi lenti nel risolvere i problemi di proprietà dell'Est; e
i sindacati hanno imposto contratti costosissimi. C'è anche
chi parla di una politica di Bonn eccessivamente debole, che ha scaricato
troppi costi della riunificazione sul bilancio dello Stato; e anche
dell'errore tedesco del cambio alla pari tra marco occidentale e orientale:
l'operazione ha fatto lievitare i costi di manodopera dell'ex Germania
Orientale, non favorendo gli investimenti nel Paese.
Ai tedeschi vengono mosse accuse di avere affossato il Sistema monetario
europeo con lo strapotere del marco: quello che alla valuta germanica
deriva dagli alti tassi d'interesse e che nell'ordine ha imposto (oltre
alla cospicua svalutazione della lira e della peseta spagnola) un
nuovo accordo nello Sme, con una banda di oscillazione consentita
alle valute molto elevata: ciò che segna in pratica la morte
clinica del "Serpentone" monetario continentale.
Secondo alcuni osservatori, l'uscita del marco dallo Sme avrebbe potuto
ridurre il pericolo di una profonda recessione in Europa, dando modo
alla Germania di gestire il problema dell'Est con le politiche adatte.
Secondo altri, invece, non c'è con chi prendersela: se mancano
politiche convergenti, è inevitabile che la Germania conquisti
posizioni sempre più forti. Sulle stesse posizioni si trovano
coloro secondo i quali tutti i fattori che hanno indebolito le valute
nazionali sono gli stessi che hanno scardinato il Sistema monetario
europeo: le politiche economiche che hanno determinato la forza del
marco sono state più sane di quelle degli altri Paesi. Né
ci deve eccessivamente spaventare la prospettiva di un vicino forte
come la Germania: obbliga i Paesi europei a fare i conti con le vere
cause della recessione economica, vale a dire ragioni strutturali
e carenze del tessuto economico, aziende di Stato in perdita e fallimenti
di grandi gruppi italiani in testa, oltre alla trasformazione di imprese
industriali in pure e semplici imprese finanziarie. Avere un esempio
di efficienza accanto, non può che essere salutare per tutti.
Ultimo aspetto: l'accusa di razzismo, che è facile muovere
agli altri quando non si vuol guardare attentamente in casa propria.
Per alcuni esperti, la Germania ha dato un esempio molto negativo
con la drastica cancellazione del diritto d'asilo e con l'espulsione
di masse di profughi.
Secondo altri, accuse del genere sono soltanto un esempio dell'antigermanesimo
che è malattia endemica dell'Europa occidentale. Dati alla
mano, i tedeschi non sono più razzisti dei francesi e degli
inglesi. Contro tutti gli schematismi, le inchieste condotte da seri
centri di ricerca hanno messo in rilievo che in Germania, malgrado
la presenza dei naziskin e malgrado gli attentati turchi, ci sono
solo trascurabili spinte razziste: tant'è che le manifestazioni
che si tengono in Germania proprio contro il razzismo non si vedono
proprio altrove. Il vero problema è quello delle frontiere:
milioni di profughi affamati sono pronti a tutto, pur di passare il
confine; e la Germania è pressoché sola ad affrontarli
e a cercare di investire nei Paesi di provenienza.
L'obiettivo è pan-europeo: deindustrializzare la Germania,
per trasferire le manifatture in Boemia, in Ungheria, in Ucraina e
magari anche in Polonia, dove c'è meno tecnologia ma che riuscirebbe
utile come Paese-cuscinetto con la Russia.
Il problema è riuscirci in tempo: il 1994 in Germania sarà
un anno elettorale e c'è il forte rischio di una secca sconfitta
dei due forti partiti tradizionali, sostanzialmente concordi in politica
economica (o con poche discordanze) e in politica estera. Se si profilerà
una ingovernabilità del Paese, la miscela sarà esplosiva:
inflazione, profughi alle porte. Allora sì che il razzismo
potrebbe diventare un pericolo serio.
Risse di fine
secolo
C'è chi
è pronto a giurare che il primo ad alzare le mani e a scatenare
la rissa sia stato il duo Ministro delle Finanze-Governatore della
Banca di Francia. Si è scatenata così la grande disputa
tra marco tedesco e franco francese, che ha costretto l'Europa ad
allargare il 15 per cento in su e in giù le fasce di oscillazione
all'interno del Sistema monetario europeo. In questi mesi il marco,
sull'onda degli alti tassi d'interesse, si è rivalutato oltre
misura, e gli speculatori, per logica conseguenza, hanno infierito
contro la divisa francese. Secondo i commenti degli osservatori, si
è trattato della rottura di un asse Parigi-Bonn che per quarant'anni
era stato il motore dell'integrazione europea. Ora la Comunità
economica europea si trova esposta al fascino disgregatore di chi
non vuole più accettare sacrifici in nome di un mercato di
centinaia di milioni di consumatori. Allora, che cosa potrà
succedere?
E' tragicamente semplice. Accanto ai due poli monetari di un'Europa
divisa, appunto il marco e il franco francese, è possibile
incominciare a ipotizzare due distinte sfere d'influenza: per la Germania,
l'area dei Paesi dell'Est post-comunista (Estonia, Lettonia, Lituania,
ex Koenigsberg, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria), con i quali Bonn
sta intensificando collegamenti finanziari e produttivi e verso i
quali in futuro potrebbe stipulare accordi commerciali preferenziali,
insieme con un'area europea che include l'Austria, il Belgio, l'Olanda
e la Danimarca. Per la Francia, invece, l'area di influenza potrebbe
abbracciare il Mediterraneo, dal Portogallo e dalla Spagna all'Italia,
alla Grecia, fino al Medio Oriente. La Turchia con ogni probabilità
sarebbe attratta dal marco tedesco, come la Bulgaria e forse anche
la Romania. Un ritorno, più o meno, alla situazione del 1870,
anche se in mutate condizioni storiche.