L'economia
mondiale ha fatto dei progressi enormi negli ultimi anni, soprattutto
per quanto riguarda la promozione di un'economia di mercato. Aziende,
capitali, forza di lavoro, tecnologia e informazione si muovono liberamente
senza frontiere, e molti Paesi godono dei benefici derivanti dalla distribuzione
dell'economia lavorativa e dell'economia di scala portate dalla liberalizzazione.
Ma la cooperazione internazionale necessaria al raggiungimento del nuovo
ordine non è sempre evidente. Perciò gli squilibri tra
i Paesi più avanzati restano un problema.
Isamu Miyasaki
Alla vigilia del
vertice di Tokyo, gli addetti alle pubbliche relazioni ci avevano
indotto in un pessimismo tale che eravamo quasi certi che non si sarebbe
approdati a nulla di concreto. Ci dicevano che la richiesta americana
di concedere alla Russia un finanziamento di 4 miliardi di dollari
andava ridimensionato ad un miliardo, e che la debolezza del governo
giapponese impediva che si procedesse con l'Uruguay Round e si concretizzasse
un accordo commerciale con il Giappone.
Se si tiene conto di queste pessimistiche ipotesi, il vertice può
esser definito un successo, in particolare nell'ottica di Clinton,
che a Tokyo si era dimostrato perfettamente a suo agio e padrone della
situazione. La sua crescente sicurezza, il fatto che molto verosimilmente
era riuscito a vedere approvato almeno in buona parte il proprio programma
economico, la saggia decisione di rinviare la riforma sanitaria, la
rappresaglia contro l'Iraq, tutto ciò faceva ritenere che la
sua popolarità continuasse a crescere nel futuro.
E' vero. Rispetto ai vertici del passato, quello di Tokyo ha avuto
un certo successo. Il G-7 ha concordato su punti importanti:
- la graduale eliminazione delle imposizioni fiscali sulle importazioni
di numerosi prodotti manifatturieri;
- la concessione alla Russia di un finanziamento d'impresa di tre
miliardi di dollari;
- il vertice da tenersi a Washington sull'emergenza occupazione.
Con un accordo separato tra Giappone e Usa si è deciso di stabilire
una piattaforma sulla cui base il Giappone ridurrà la propria
eccedenza della bilancia commerciale, mentre gli Usa ridurranno il
proprio deficit di bilancio.
L'accordo commerciale fra i due Paesi ha maggiori implicazioni di
quanto non appaia ad una prima lettura. Se da un lato l'accordo sul
graduale azzeramento delle tariffe doganali ha suscitato sorpresa,
dall'altro va detto che gran parte delle riduzioni sui prodotti manifatturieri
era già stata concordata nei mesi precedenti; ciò che
invece è importante è il fatto che queste misure dovevano
entrare in vigore soltanto a conclusione dell'Uruguay Round.
Rimangono tuttavia aperti problemi della massima importanza. Va sempre
ancora raggiunto un accordo sul commercio dei tessili, sui servizi
e sull'agricoltura. La controversia europea sull'accordo agricolo
di due anni fa con gli Usa e il persistere della Francia in un atteggiamento
dichiaratamente protezionistico in favore dei propri agricoltori rappresentano
due ostacoli non indifferenti alla conclusione del Round.
Anche il fatto che gli Usa insistano nell'adottare misure unilaterali
laddove si tratti di controversie a carattere commerciale mette a
dura prova i negoziatori. Il G-7 tempo fa concordò su un pacchetto
da concedere alla Russia che prevedeva 28 miliardi di dollari in prestiti
e un certo numero di sovvenzioni, nonché la rinuncia ad esigere
15 miliardi di dollari di debito. Secondo la definizione del G-7,
si trattava di un pacchetto di aiuti per 43 miliardi di dollari; tuttavia,
tenuto conto che la Russia non sarebbe stata comunque in grado di
saldare il proprio debito, non è ben chiaro se vada computato
anche l'abbuono concesso sul debito medesimo.
Il vertice sull'occupazione che gli Usa hanno organizzato successivamente
ha portato sul tavolo il problema dell'economia europea: si è
giunti alla conclusione che la disoccupazione è imputabile
a due cause - una macroeconomica e una strutturale - e che l'Europa
risente di ambedue.
La politica macroeconomica è stata malgestita e ha portato
alla recessione - ma dietro la grave recessione vi sono i costi elevati
della manodopera europea e la scarsa flessibilità dei mercati
del lavoro europei. E' bene riflettere su questo, se si vogliono mettere
ripari solidi e avviare la ripresa nel Vecchio Continente.