§ Scenari 2000

Un New Deal per i confini del mondo




Eduard Shevarnadze



Futuro? Credo sia una parola in declino. E' dal secolo XIX che viviamo nel miraggio del futuro. La caduta dei regimi comunisti e il grande fallimento dell'ottimismo americano del Nord sono state le ultime vampate di futuro. Uno dei fenomeni nuovi è che il futuro ha perso gran parte delle sue attrattive, l'uomo si preoccupa sempre più dell'oggi, dell'adesso. Ci sono state società nelle quali il valore essenziale era depositato nel passato, il mondo era l'imitazione del passato. Improvvisamente si è deciso che era meglio colonizzare il futuro, il luogo del paradiso. Ebbene, questo non lo crediamo più. Quel che vogliamo ora è l'oggi, e vogliamo viverlo il più lucidamente possibile.
Octavio Paz

Molta gente è perplessa su quello che accadrà in Russia, su come si potranno risolvere i problemi che incombono in questo periodo. Il pessimismo sta montando, sta crescendo. Questo è comprensibile, visto lo stato economico in cui versa il nostro Paese.
Io non voglio assolutamente sminuire la situazione, ma neanche drammatizzarla. E sono sicuro che da qui a qualche anno, quando si parlerà del difficile cammino della perestrojka, la gente dirà: "Proprio verso la fine del 1989 si viveva d'incertezza guardando al futuro". Permettetemi di cominciare a confrontare ciò che sta accadendo nella nostra economia con quello che successe durante la Grande Depressione americana.
Nel 1929, nonostante uno Stato potente e fiducioso, l'economia americana fece un tonfo. C'erano file per il pane in Time Square a New York e frotte di disoccupati in cerca di lavoro invadevano la Riverside Drive. Le truppe di Washington combattevano contro il Bonus Army, che aveva invaso la capitale.
E la gente protestava, compatta, moriva durante i disordini. Il 7 ottobre 1931, la rivista Business Week scriveva che centomila americani volevano emigrare in Sovietica, in cerca di lavoro. Si sa bene che in questi anni sono state ampie aspettative nella sinistra che prevedevano una rivoluzione mondiale, causata dalla drammatica crisi del mondo mi lista. E molto tempo dopo si anche creduto che soltanto Seconda guerra mondiale avrebbe aiutato il sistema ad esistere e a sopravvivere. Oggi parliamo degli Stati Uniti con rispetto. Quando ero giovane, lo slogan, forse il più popolare, o quello che incitava a sorpassare l'America in capacità produttiva. L'ideologia che imperava si estendeva all'agricoltura, alle Infatti non esisteva una grande differenza tra la réclame russa: "Guarda di andartene, cow boy dell'Iowa", mentre Krusciov diceva: "Vi seppelliremo". Un'equivalente, primitiva percezione dei fenomeni sociali è valsa anche in Italia. Solo per aver manifestato simpatia per il nostro Paese, molte persone sono state emarginate. Come la caccia alle streghe aveva contaminato l'America come un'epidemia.
Per superare queste rozze percezioni ci sono voluti decenni, abituandoci da entrambe le parti a più realistiche intenzioni, comprensioni e possibilità. Comunque, ogni volta che un sistema incontrava difficoltà, ricorreva ad una maggiore rigidità ideologica, con previsione dell'imminente collasso e cancellazione dalla storia del sistema avverso.
Noi russi siamo stati più coerenti di chiunque altro, nel denunciare i nostri errori. Facciamo questo perché ne abbiamo bisogno per cominciare una nuova vita. La concentrazione di un enorme potere nelle mani dei cosiddetti nostri capi supremi ha portato disgrazie a molte persone. Oggi denunciamo questo rigido centralismo e smantelliamo il supergonfiato sistema di comando amministrativo. I tempi sono cambiati e il futuro del nostro Paese e del nostro popolo non è più compatibile con questo sistema.
Ma, di contro, c'è stata un'epoca in cui il centralismo era necessario per ragioni obiettive. Ricordate l'intervento dell'Occidente e le ritorsioni imposte al nostro Paese nel 1920? Ricordate la Seconda guerra mondiale quando, in pochi mesi, spostammo le nostre industrie al di là degli Urali e in pochi anni ricostruimmo il Paese sulle macerie? Senza un potere centralizzato, il Paese sarebbe stato calpestato dalle macchine da guerra naziste e non avrebbe salvato la civiltà mondiale impegnata nella battaglia. Senza questo potere il nostro Paese non sarebbe forse sopravvissuto alla catastrofe atomica o alla minaccia nucleare.
E arriviamo al problema della nostra responsabilità comune. Abbiamo denunciato pubblicamente gli errori dei nostri predecessori. Stiamo riempiendo con la verità i lati oscuri anche nella nostra storia comune. C'è un buco nero, e mi riferisco alla prima esplosione di una bomba atomica. Militarmente, non c'era bisogno di scaricare quegli ordigni su Hiroshima e su Nagasaki. Fu una decisione politica per intimidirci. Questa tragedia del nostro secolo deve essere rivelata e i suoi sostenitori denunciati. Se noi non faremo questo, lo faranno le generazioni future.
Sono orgoglioso del contributo del mio Paese al progresso del genere umano. E considero un vanto che la Russia abbia posto fine al monopolio nucleare e stia fissando le premesse concrete per un mondo libero dalle armi atomiche. Talvolta si sente qualcuno dire che il nostro nuovo modo di pensare è solo un'illusione, una pura fantasia. Esso, si dice, ha bisogno di cervelli che noi non avremmo dal momento che gli architetti della perestrojka sono stati generati dal vecchio sistema e che il loro primo obiettivo è di conservarlo.
Ebbene, è vero che il nuovo è stato generato dal vecchio. Ma esso è emerso sotto le forme di una protesta contro le deviazioni del passato, come uno sforzo per liberare il Paese e il popolo da questi errori, infine per dare alla gente una prospettiva di vita decorosa in Russia e nella comunità mondiale.
Analogie e comparazioni hanno un valore limitato. Ma vorrei dire che per certi versi i nostri problemi economici sono simili a quelli incontrati dagli Stati Uniti negli anni '30. Allora, un individualismo esasperato e incontrollato mandò in dissesto l'economia statunitense: come disse un celebre americano, veniva troppo privilegiato il fattore produzione e troppo erano penalizzati la distribuzione della ricchezza e i consumi.
Nel mio Paese, la rigida pianificazione a un certo punto ha soffocato l'economia, la quale risente pure di un'eccessiva enfasi sul fattore produttivo. Oggi siamo criticati per avere introdotto elementi del mercato capitalistico, mettendo così in crisi le nostre imprese statali e quindi il socialismo. In verità il nostro sistema economico sta subendo un aggiustamento, un cambio di traiettoria. Qualcosa di simile a quanto è accaduto negli Usa sessanta anni fa.
E' giusto quindi ricordare alcune questioni che furono dibattute all'epoca in America. Secondo lo storico George Soule, durante gli anni della Grande Depressione ci fu un gran parlare sulla natura della rivoluzione in America e sulla opportunità di introdurre certe forme di comunismo nel Paese.
Com'è facile intendere, forze potenti tentarono di ritardare le riforme di Roosevelt: quante volte la Corte Suprema stabilì che la sua economia programmata era incostituzionale? Il mondo degli affari apertamente la boicottò.
In Paesi come i nostri, i cambiamenti sollevano sempre discussioni, polemiche e annunci di imminenti disastri. Ma sono convinto che si possa discutere soltanto sulla rapidità con cui la nostra economia riuscirà a darsi nuove regole operative, non sulla sua capacità di riaggiustarsi.
Il problema delle relazioni tra i diversi gruppi etnici è diventato per noi di una estrema gravità. In tutta onestà bisogna dire che è sempre stata un'affilata spada di Damocle che è stata talvolta smussata dalla propaganda e soppressa forzatamente. Adesso che la propaganda non riesce più a mentire e la forza non è più un elemento valido, i contrasti nazionalistici sono emersi in superficie. Ma il paradosso al quale assistiamo è che l'energia che è stata liberata nel nostro Paese dalla perestrojka è dannosa per la perestrojka stessa quando questa energia assume forme radicali ed estreme.
Noi non vogliamo affatto nascondere i problemi che esistono tra le repubbliche, le regioni indipendenti, quelle autonome e il vecchio centro. Comunque, questi sono problemi politici. Sono convinto che molte tensioni potranno essere risolte o almeno appianate dallo sviluppo economico, da una più forte indipendenza economica delle repubbliche, da legislazioni migliori, da migliori rapporti bi-e-multilaterali, da un autentico senso del diritto.
Noi non viviamo più in un'epoca in cui alcuni Stati o anche una grande coalizione di Stati possono decidere ciò che vogliono in tutto il mondo. Oggi noi abbiamo bisogno del consenso, di un approccio internazionale ai problemi globali, non solo perché questo è un imperativo morale, ma per ragioni concrete, dal momento che il mondo è un'unica e interdipendente entità e che in esso il cosiddetto Terzo Mondo sta giocando e continuerà a giocare un ruolo sempre più grande.
Lasciatemi abbozzare di nuovo un'analogia con il passato degli Stati Uniti. Non si stanno comportando come quegli uomini politici che non videro il grande pericolo nella crisi del '29 e sperarono che essa sarebbe passata da sola?
Davanti ai nostri occhi il mondo sta precipitando in una profonda depressione. Il debito del Terzo Mondo, gli interessi che questi Paesi devono pagare e l'andamento del loro sviluppo economico non sono forse i segni di una incombente catastrofe?
La risposta, comunque, è stata la più inadeguata. Le misure possono soltanto mitigare temporaneamente alcune tendenze, ma non offrono i mezzi per uscire fuori dalla crisi o una vera soluzione. Passi arditi, temerari sono necessari, una specie di New Deal, una transizione che accompagni i Paesi in via di sviluppo verso una rivoluzione scientifica, tecnologica e dell'informazione. Sarà necessario superare una certa barriera psicologica, oltrepassare le difficoltà nazionali e cominciare a ragionare in termini globali. Noi invece siamo in ritardo nell'adottare questo nuovo pensiero. Saranno necessari enormi sforzi e non sarà facile farlo. Ciò renderà possibile formulare un ampio consenso internazionale fondato sulle nozioni universali di solidarietà umana, di diritti e di libertà individuali, e una preoccupazione per la pace e per l'ambiente naturale e spirituale dell'individuo.
Per concludere, lasciatemi esprimere la convinzione che il coraggio è il fattore predominante della politica attuale. Oggi non è sufficiente essere un realista che percepisce la vita così com'è. Insomma, ciò che è necessario è una visione, anche un idealismo e un puro senso della novità. Lasciateci guardare al futuro, piuttosto che al passato.


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