D'altra
parte nulla prova che il popolo degli Stati Uniti, a prescindere dall'entusiasmo
manifestato l'indomani della guerra del Golfo, abbia tutto questo desiderio
di interpretare da solo il ruolo di gendarme del pianeta. Lo stato dell'economia
e della società, con cifre record d'indebitamento, di deficit
budgetario, di disoccupazione, di criminalità, di corruzione,
alimenta in effetti la campagna contro un presidente accusato di occuparsi
più dei curdi che delle signore che si fanno picchiare a morte
mentre portano a spasso il cane a Central Park. Questo e tanti altri
motivi dovrebbero persuadere gli europei a mettere da parte la tentazione
di lasciare il loro destino nelle mani della Casa Bianca.
André Fontaine
Il Presidente
Clinton e la sua Amministrazione devono fronteggiare l'incertezza
che domina il quadro mondiale del dopo-guerra fredda e i vincoli economici
di ordine interno. Fenomeni che accrescono, anziché diminuire,
l'esigenza di una leadership presidenziale a livello internazionale:
questa, la dura realtà.
In questo momento il tema dominante, sia in casa propria che nel resto
del mondo, riguarda la leadership americana o, meglio, la sua assenza.
A questo tema si accompagna però, invariabilmente, un paradosso.
Gli amici europei ed asiatici, che protestano quando sono gli Usa
ad assumere la guida, non nascondono invece il loro timore quando
questa viene a mancare. Dovendo scegliere, essi opterebbero sempre
per una leadership americana più incisiva, e non per il contrario.
E questo nella consapevolezza che se l'America consentisse un vuoto,
il mondo diventerebbe un luogo pericoloso in cui vivere.
In politica estera, l'Amministrazione americana vanta alcuni successi:
l'appoggio accordato a Boris Eltzin e al processo democratico della
Russia, l'attacco all'Iraq in risposta al fallito tentativo di assassinare
presidente Bush. In termini di strategia complessiva esistono, però,
delle contraddizioni. Riguardo alla Bosnia, per esempio, si sono incautamente
alimentate aspettative di un intervento americano, e ciò ha
peggiorato di fatto la situazione nei Balcani. Ma se i convincimenti
dell'opinione pubblica internazionale appaiono preoccupanti, non meno
preoccupante è la posizione dell'Amministrazione per quanto
guarda il ruolo mondiale dell'America. Un isolazionismo strisciante
sembra infatti farsi strada al suo interno tra quanti dubitano dell'esigenza
di una leadership americana. Le tesi sostenute da costoro -riecheggiata
da voci esterne all'Amministrazione - sono vere e proprie utopie.
Prima utopia: la funzione di leadership può essere assunta
da altri. E' ciò non solo per questioni di risentimento, ma
anche nella prospettiva di un ruolo più attivo da parte di
Paesi terzi. Al Giappone, alla Germania e ad altre potenze si rimprovera,
in altre parole, di non assumere "la loro parte di responsabilità".
Le accuse, però, sono accompagnate da una pia seppur vaga speranza
in una sorta d'internazionalismo mediato dalle Nazioni Unite.
Sia le accuse che la speranza hanno contenuti validi. La Germania,
il Giappone e altri Paesi dovrebbero infatti assumere maggiori responsabilità
a livello internazionale. Fermo restando che la Germania e il Giappone
sono nella posizione più favorevole per farlo nel contesto
di cooperazione con gli Stati Uniti, sia che si tratti di utilizzare
le procedure del Gruppo dei Sette che quelle di organizzazioni regionali,
come la Nato e la Cooperazione Economica del Pacifico Asiatico.
Tuttavia, a causa di importanti motivi di ordine storico e costituzionale,
la Germania e il Giappone, così come altri Paesi, non sono
ancora pronti ad assumere un ruolo di leadership globale. Cioè,
non sarebbero in grado di riempire un eventuale vuoto.
Lo stesso vale per le Nazioni Unite. Malgrado un ruolo più
incisivo dovuto alla fine della guerra fredda, esse rimangono, infatti,
un teatro di dibattito per l'assunzione di decisioni minori. A meno
che questa organizzazione non assuma l'iniziativa di indirizzare il
dibattito internazionale e di passare all'azione. Non è un
caso che i successi dell'Onu, nel Golfo o altrove, siano il risultato
della preminenza assunta dagli Usa.
Senza dire che esistono aree in cui solo gli Stati Uniti possono rivendicare
un ruologuida. In Medio Oriente, ad esempio, il processo di pace può
essere concluso soltanto con l'impegno diretto degli Usa.
Seconda utopia: non possiamo permetterci di assumere il ruolo-guida.
Si tratta di un'utopia squisitamente mercantilista che mette sullo
stesso piano potere internazionale e finanza internazionale. Come
dire che la parità di potere passa attraverso il portafoglio.
E il nostro portafoglio - questa è la tesi -è vuoto.
Gli Stati Uniti, non è un mistero, devono fare i conti con
poderosi vincoli di bilancio. Ma sono proprio questi vincoli a fare
di una leadership americana improntata alla creatività una
scommessa senza precedenti. Gli Stati Uniti, ovvero l'economia più
importante del mondo, che vanta la maggior produttività, dispongono
di una gran quantità di risorse che consente loro di aspirare
alla leadership internazionale, a patto di volerle utilizzare con
spirito creativo.
Tocca alla presente Amministrazione dar prova della stessa capacità
d'immaginazione. E ciò soprattutto per quanto riguarda l'appoggio
del processo di riforma in atto nell'ex Urss. Se preoccupazioni di
ordine interno dovessero impedire al governo giapponese di intervenire
pienamente in aiuto della Russia, gli Usa dovrebbero spingerlo ad
appoggiare il processo di riforma e di riorganizzazione in Ucraina,
nel Kazakhstan, in Armenia, nei Paesi Baltici e negli altri Stati
indipendenti, anch'essi bisognosi di aiuto. Noi dobbiamo estendere
gli sforzi internazionali al di là del G-7 e costruire un'alleanza
globale, come accadde nel gennaio '92, quando più di 50 Paesi
e Organizzazioni internazionali si unirono agli Usa per scongiurare
la catastrofe umanitaria nell'ex Urss. Qui come altrove, tuttavia,
un'azione multilaterale e una ripartizione degli oneri effettiva dipendono
da una leadership americana forte.
Terza utopia: dopo aver vinto la guerra fredda possiamo permetterci
di abdicare al ruolo-guida. Crollato il comunismo, affermano i sostenitori
di questa utopia, il mondo è abbastanza sicuro perché
gli Usa possano isolarsene. Ma questo significa sottovalutare le minacce
che abbiamo ancora di fronte: il rischio crescente di un conflitto
nell'ex Urss; le ambizioni regionali dell'Iran; la proliferazione
delle armi di distruzione di massa (e in particolare il programma
nucleare della Corea del Nord); e infine la minaccia ancora rappresentata
da Saddam Hussein. E significa anche ignorare la possibilità
che i rischi minori di oggi possano domani trasformarsi in vere e
proprie sfide.
Guardiamo alla tragedia in atto nell'ex Jugoslavia. E' improbabile
che si concluda con la spartizione della Bosnia. E' probabile, al
contrario che il conflitto si allarghi e diventi guerriglia permanente.
Non possiamo aspettare che gli europei si muovano. Nonostante il gran
parlare di una politica estera e di difesa comune, la triste storia
dell'inazione europea in Bosnia conferma che solo la leadership americana
è in grado di superare le divisioni dell'Europa a questo riguardo.
Ciò non significa che gli Usa debbano assumersi il ruolo di
poliziotto del mondo. Ma che debbono essere disponibili ad operare
di concerto con gli altri Paesi quando ad essere in gioco siano gli
interessi vitali dell'America.
Quarta utopia: l'America dovrebbe assumere un ruolo-guida internazionale,
ma non nella persona del suo presidente. Si tratta di un'utopia relativamente
recente, in quanto risale al gennaio '93. Ma è bene che il
presidente americano sappia che, nella misura in cui egli aspira concentrarsi
sui problemi interni, il mondo non resterà ad aspettarlo. Una
politica estera di successo dipende da una leadership presidenziale
sia in patria sia all'estero che non può essere delegata. E
questo perché solo una leadership presidenziale conquisterà
il rispetto degli alleati e susciterà il timore degli aggressori
potenziali e perché il presidente è in grado di perorare
la causa di un impegno americano di fronte all'opinione pubblica del
suo Paese.
C'è chi paragona l'attenzione riservata dall'attuale Amministrazione
ai problemi interni all'ostinata determinazione con cui l'Amministrazione
Reagan portò avanti il suo programma economico nel 1981. Ma
è una interpretazione errata dei fatti. E' vero che il presidente
Reagan diede la massima priorità all'economia interna, ma è
altresì vero che non trascurò il ruolo dell'America
nel mondo. Le convinzioni di politica estera di Reagan erano chiare.
Ed erano chiare non solo per gli americani, ma per i nostri alleati
e per i nostri avversari.
Alcuni ritengono che l'impegno americano verso il resto del mondo
sia implicitamente contrario agli interessi dell'America. La maggioranza
degli americani, tuttavia, sa bene che cosa l'impegno Usa abbia significato
per il nostro Paese e per il mondo intero da quando l'America, all'indomani
della seconda guerra mondiale, ha assunto la leadership. I "cervelloni"
ridacchiavano quando Reagan definiva Wrss l'"Impero del Male".
Ora sappiamo che aveva visto giusto, ma, grazie in buona parte alla
fermezza dei presidenti americani che si sono succeduti negli ultimi
45 anni, l'Impero è crollato. Durante l'Amministrazione Bush,
più di 43 Paesi si sono liberati del comunismo e di regimi
autoritari. Nonostante le occasionali defezioni, l'America èstata
un forza del bene in un secolo inquieto. Noi restiamo il solo Paese
in grado di proiettare responsabilmente il potere sulla scena mondiale.
Dobbiamo quindi far piazza pulita delle utopie che circolano sul tema
della leadership americana. Le mezze verità sono al servizio
di una politica facile ma cattiva, dal momento che le politiche che
affondano le loro radici nell'utopia non possono né modificare
le dure realtà né adattarsi ad esse.
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