Di
questa Melfi, la città del colossale lancio della PUNTO e della
grande sfida che la FIAT ha rivolto a se stessa e all'intero Occidente
industrializzato e consumistico, oltre che automobilistico, ho parlato
da nativo in un precedente mio scritto per questa Rivista e ad esso
rimando chi eventualmente vuole saperne di più sul perché
dell'attenzione per i frutti che stanno derivando dalle mie radici,
da Melfi, appunto.
Ho avuto occasione di ricordare che sul finire degli anni dieci, anno
in cui sono nato, Melfi disponeva di una sola auto privata, di due camion
e, per contro, di molti muli ed asini. La ferrovia aveva un solo binario
ed era altalenante da Foggia a Potenza.
La società civile, quella delle professioni e di una borghesia
di origini agricole più ambiziose di quelle verificabili nella
realtà, era più avanzata di quella economica, che da parte
sua ha sempre faticato ad assumere un volto.
Il sistema era agricolo, ma montagnoso e collinoso; privo di case coloniche,
anche perché i contadini stessi preferivano il loro notturno
rifugio nel paese, disponeva di attrezzature ancora in larga misura
ereditate dai secoli passati, più che espressione del presente.
Eppure esisteva una cosiddetta "Cattedra Ambulante dell'Agricoltura",
ma si muoveva poco, pur illudendo molto, dato che soprattutto nel Sud
si è sempre avuto molta fiducia nelle strutture pubbliche emblematizzate.
Per accorgersi della loro frequente vacuità o inadeguatezza c'è
stato sempre tempo. E la stessa storia della Cassa per il Mezzogiorno,
delle cattedrali nel deserto (quando si sono costruite, o si sono solo
annunciate e poi vanificate), è lì a ricordarci qualcosa.
Il commercio in quegli anni era consistente se riguardava l'ingrosso
(per la commercializzazione del grano) ed era convinto che non poteva
crescere, che non aveva bisogno di crescere. Fra l'altro, parte permanente
della popolazione era in posizione di transito, probabilmente di un
trasferimento che raramente poi avrebbe potuto realizzarsi. Perciò
da una parte la terra, come respiro; dall'altra un treno, un piroscafo,
il posto fisso, anzi definito sicuro, e cioè pubblico, come sbocco
e spesso aspettativa di un'intera vita.
E' un aspetto desolante, che c'era, e che tutti i decenni successivi
hanno cercato di modificare, semplicemente riuscendovi o no a seconda
delle determinanti sopravvenienze (che per me è l'autostrada
da un lato, e la televisione dall'altro) e di quanto si è tentato
di fare, per me in gran parte artificiosamente, in campo industriale.
Del nascere di quest'industria in Basilicata bisognerà fare pure
la storia. Dopo la prima guerra mondiale neppure se ne è mai
parlato. C'era l'assuefazione ineluttabile ad una realtà che
non si riteneva potesse essere diversamente corretta. C'era per Melfi
uno statista, conterraneo, sul quale contare. Era Francesco Saverio
Nitti, sulle cui ginocchia sono capitato anch'io, sul finire degli anni
10, perché anche allora le pubbliche relazioni si facevano con
i bambini di mezzo, ed i voti di scambio non c'erano, ma esisteva la
stima da cui derivava pure la speranza. Nitti suscitava l'una e l'altra.
Ma come gli ha contestato il suo Re, Vittorio Emanuele III, che non
sapeva se valutare di più l'intelligenza e la cultura del suo
Primo ministro o la fifa, Nitti era rigorosamente condizionato dai numeri.
E dai numeri faceva derivare il suo pessimismo per quanto gli capitava
sotto. La mia personale propensione e vocazione non è diversa,
tuttavia con la correzione della convinzione che anche i numeri hanno
la loro dinamica, reale e immaginaria. Forse a Nitti c'è da attribuire
l'interpretazione fotografica dei numeri, e non pure quella doverosamente
fantasiosa. Nitti d'altra parte è quello che definì la
Libia uno scatolone di sabbia, e molti non vi credettero: io, lucano
come lui, non gli ho creduto e fra gli universitari tre lustri dopo
fondavo il movimento coloniale degli universitari romani.
Non discosto da Melfi, ma coinvolto nel destino di questo circondario
- allora si chiamavano così - era Giustino Fortunato, il grande
ed insuperato meridionalista. Egli ha intuito tutto quanto doveva essere
fatto, ma non ha avuto non diciamo il tempo - che non gli è mancato
- per fare, bensì ha pensato ad una vera e propria programmazione,
fondata sulle ingiustizie e sperequazioni da correggere, ma preventivamente
solo indicativa e stimolante nei possibili sbocchi. Il suo mi pare sia
stato il ruolo di un grande clinico, che ha indicato la terapia giusta,
ha seguito con onesta diligenza il corso della malattia, si è
impegnato nel consiglio, nell'esortazione, ma poi ha ricordato a se
stesso ed agli altri che egli era solo un medico. Per me, un grande
medico.
Con l'occhio
dalla parte delle radici
E c'è per questa Melfi anche la parentesi, i poco più
di un ventennio, del fascismo. L'ho vissuta da lontano, ma mi lusingo
di conoscerla, perché un occhio dalla parte della mia terra
l'ho sempre tenuto. Buon sangue... ecc.
In realtà, il fascismo ha assegnato alla Basilicata un ruolo
essenzialmente rurale. La battaglia del grano, certamente, ha avuto
molto a che fare con questa parte d'Italia, perché fra l'altro
c'era di mezzo anche il grano duro. C'era pure qualche possibilità
turistica, come il Vulture, i Sassi di Matera, Maratea, ecc., ma la
strategia dei viaggi popolari e dei dopolavoro, quelli non strettamente
locali, non ne tenevano conto.
Quindi tanta agricoltura nei limiti del possibile; poca edilizia littoria,
al limite solo strettamente indispensabile, perché mancavano
i gerarchi di spicco che potessero immaginare, imporre, realizzare
opere più consistenti. Prima del fascismo il grande Miraglia
del Banco di Napoli era riuscito a costruire a Potenza una sede prestigiosa
dello stesso Banco, che sta ancora lì. Ma dopo sono stati più
i fasci scolpiti e le frasi mussoliniane dipinte che non le costruzioni
nuove, sia pure littorie.
D'altra parte l'attenzione del regime per queste parti era rivolta
alla capacità del territorio di essere luogo più o meno
privilegiato di confino politico. C'è il Cristo che si è
fermato ad Eboli, di Levi, e riguarda la provincia di Matera. Ma a
Melfi c'è stato anche un Cesare Rossi, confinato, che io ho
più tardi conosciuto e che ho pregato di scrivere articoli
di ricordo per una Agenzia Confindustriale di venti quotidiani che
dirigevo, e che ha parlato di questo mio paese, pienamente vivibile
perché secondo lui era tanta la gente da stimare. Con una parte
di essa certamente condivideva il gusto per il prosciutto che, mi
è stato detto, particolarmente prediligeva. E' strano, ma è
così, molte affinità e simpatie hanno pure queste origini,
che il turismo stesso non sempre ricorda di avere dalla sua parte.
Ma questa più o meno distratta considerazione da parte del
regime per questa mia terra ebbe modo di manifestarsi anche con le
scelte di gerarchi immigrativi. Uno di questi, federale di Potenza,
era fiorentino; aveva partecipato a tutti i possibili concorsi pubblici;
era andato volontario in Africa Orientale, e nonostante avesse messo
in circolazione timbri con l'incisione "per recenzione",
e lui da un ufficio stampa doveva raccomandare recensione, e non "recenzione",
era lì a Potenza per continuare a promettere, più che
per realizzare. Un compito non diverso da quello esplicato in altre
parti d'Italia, dove però la realtà era più marcata
innanzi ai nostri occhi, con tutte le sue luci abbaglianti. Il Sud
invece queste luci non le ha mai avute, perché esso stesso
non vi ha mai aspirato e lo stesso regime ha cercato sempre le grandi
aree per le sue manifestazioni oceaniche e la Basilicata non ne ha
mai avute.
E poi sono venuti i 50 anni dalla fine del fascismo ad oggi, con i
precedenti bombardamenti anche della stazione di Potenza - ed a Potenza
si era rifugiato da Napoli un lucano fra i più grandi avvocati
civilisti italiani, Vincenzo lanfolla, già figlio di un sarto,
che invece vi morì sotto le bombe, ed io conoscendolo ne ero
stato ammiratore - e più tardi la FIAT a San Nicola, nel territorio
di Melfi.
Ma in questi quasi 50 anni, alcune cose oltre l'elementare sopravvivenza
ed oltre al normale raccolto assicurato dall'evolversi dei tempi,
sono state fatte. Sono industrie che pur provenienti da lontano hanno
trovato questa allocazione o hanno saputo accrescere la loro dimensione,
dovendo però oggi fare i conti con l'attuale congiuntura economica.
Sono abitudini che con la loro spontanea o limitata dilatazione hanno
creato nuovi servizi, nuove possibilità, nuove consuetudini,
talune delle quali certo pesanti e negative, perché tanti ambienti
civili non solo rinnegano modelli validi per le generazioni precedenti,
ma si vantano di poterli screditare.
Sono obbligate proiezioni nel territorio di quanto nelle zone circostanti
nel bene e nel male si è fatto e si sta facendo.
Fra quanti di queste generazioni hanno capito che per cambiare le
cose bisognava volerle proprio cambiare c'è per me anche Emilio
Colombo. Non so quanti oggi lo ricordino o lo riconoscano. lo ho avuto
più che disinteressata frequentazione con lui, e purtroppo
credo di essere fra i pochi che si ricordino di lui a questo titolo.
Oggi si dice che non è un volto nuovo ed è il massimo
del tollerabile che si è disposti a concedergli. Non la penso
così, ed io ho la ventura di essere estraneo a questa esagitazione,
che autocraticamente e senza appello definisce il nuovo ed il vecchio.
Il nuovo che onestamente spesso non si riesce ad immaginare ed il
vecchio che non si sa mai dove è cominciato e se e dove è
veramente terminato.
Perché noi diciamo, con Benedetto Croce, che la storia è
sempre contemporanea e che ciascuno la fa giorno per giorno, ad esclusiva
sua misura, nella speranza che la taglia individuale corrisponda il
più possibile a quella degli altri.
La Fiat come
avamposto
Ma ora a Melfi, con la FIAT, aggiungiamo "PUNTO": lasciamo
in disparte la storia, ne potremmo fare a meno. La FIAT è a
S. Nicola e, con "PUNTO" o senza, gli stabilimenti comunque
avrebbero dovuto entrare in azione. Hanno come loro partners quelli
di Mirafiori (da qui fino a Melfi quanti chilometri e forse anni luce!)
e quelli di Termini Imerese. Però teniamo conto anche di queste
specifiche cifre. Grazie alla "Punto" la Fiat diventa più
competitiva. Ma c'è qualcosa in più che porta anche
Melfi più innanzi di tante aree occidentali più avanzate.
Ragione di ciò è che è entrata nella strategia
Fiat, per sopravvenuta combinazione? Può anche essere così.
Ma è certo che a Melfi, con quanto di grande ha alle sue spalle,
con quanto di grande nel sacrificio, nell'impegno, nell'intelligenza
stessa e forse nella sua cultura in gran parte ruspante ma più
che mai vitale, ha saputo costruirsi, era ed è preparata a
questo. Da Corso Marconi gli uffici studi, più forse che i
managers, l'hanno capito e noi siamo naturalmente con loro.
Dunque, per la sola angolazione "Punto", le cose stanno
così, considerandole dall'angolazione Melfi: la casa torinese,
che è in crisi come l'intera industria automobilistica mondiale,
ha fatto le scelte che conosciamo, la massa di investimenti che ha
dovuto realizzare (non dimentichiamo però che per il Sud, per
questo Sud, in questo ambito, lo Stato ha fatto la sua parte), ed
ora propone il suo nuovo modo di produrre l'automobile. La battaglia
si basa sulla produttività. D'altra parte, ovunque per lo sviluppo
e l'occupazione tutto inesorabilmente comincia da qui. Orbene, secondo
il metodo di calcolo del Massachusetts Institut of Technology, la
produttività sale a 45 auto all'anno per addetto. La media
europea è invece di 44 vetture per dipendente.
Ma il record vero, non lo definiamo vero noi ma gli esperti, arriverà
fra un anno, quando la nuova FIAT-Melfi inizierà a lavorare
a pieno ritmo. In questa nostra Melfi si costruirà soltanto
la "Punto", e la produttività toccherà un
picco di 79 auto per addetto!
Un propellente
per il Sud
E' questa una storia importante che scorre innanzi agli occhi di tutte
le generazioni, a cominciare da quelle con più anni alle spalle.
Ma è una storia di cui siamo ancora all'inizio, perché
la sua prosecuzione oggi stesso comporta ansia di individuale iniziativa,
spregiudicato e praticato impegno di formazione professionale, severa
autocritica del potere pubblico nell'immediata cancellazione degli
errori e degli abusi, e nell'impegno dell'efficienza e nella responsabilità.
Perché il discorso continui per Melfi, e Melfi stessa funzioni
da "propellente" - uno, ma certo non il solo - per il Sud,
non può che cominciare e continuare da qui. Si sa che le galline
si domandano perché facciano le uova, se subito dopo vengono
fregate.
Il Sud, questo Sud, oggi è in grado di fare le sue uova, così,
e non le mette ad una più o meno disponibilità leghista,
bensì a quella dell'intera Italia che i suoi veri conti deve
farli non con Varese o Pavia, ma con l'intero Occidente.
|