Europa
Il 1994 si apre carico di paure e di tensioni a livello nazionale ed
europeo. Le incertezze politiche che caratterizzano la maggior parte
dei governi d'Europa pesano Come un macigno sulle sorti del Vecchio
Continente e allontanano le possibilità di uscire dalla gravissima
crisi economica di questi anni con un progetto unitario di risanamento.
Se si confronta l'economia europea con quella americana, le debolezze
della prima risultano lampanti. Durante il 1993, negli Usa, il volume
della produzione industriale è aumentato del 4,1% rispetto all'anno
precedente; dello stesso segno sono state le variazioni nel volume della
domanda interna (+3,5%), degli investimenti in macchinari (+14,9%) e
di quelli in costruzioni (+4,9%). In Europa, invece, tutte queste voci
hanno registrato variazioni di segno negativo: la produzione industriale
ha subìto una contrazione del 3,5%; la domanda interna dell'1,9%;
gli investimenti in macchinari del 10,1%; gli investimenti in costruzioni
dell'1,2%. Inoltre, sempre nel 1993, l'aumento della disoccupazione
in Europa è stato pari al 10,5%, contro il 6,4% registrato negli
USA. In realtà, le percentuali indicate segnalano solo una timida
ripresa dell'economia americana, anch'essa colpita da una crisi di dimensioni
enormi. Ma ugualmente l'economia europea non regge il confronto ed esce
perdente su tutti i fronti.
La recente "Lettera" del Centro Einaudi parla di un'Europa
"prossima al fondo, con lo Sme spezzato, fermenti nazionalistici,
tendenze regionalistiche e una scarsa propensione agli investimenti".
Grava ancora sul Vecchio Continente il delicato momento storico determinatosi
con la caduta del Muro di Berlino e l'assurda guerra ancora in atto
nella ex Jugoslavia, un olocausto che nessuno, neppure la stessa Europa,
pare voler fermare. In un sistema in cui per anni l'industria bellica
ha fatto da padrona, la fine della guerra fredda non ha certo dissuaso
i fabbricanti d'armi dal continuare nella propria attività criminosa,
né ha indotto i governi a dar vita ad un reale processo di riconversione
dell'industria di guerra in industria di pace. il risultato lo abbiamo
sotto gli occhi: migliaia di corpi straziati, un'America senza interessi
che guarda, un'Europa altrettanto sorda che rincorre il sogno unitario
col marchio della vergogna.
In questo contesto, il '94 europeo non sarà certo un anno di
ripresa. Dovrà piuttosto caratterizzarsi come un anno di ricerca
di reali convergenze delle politiche nazionali verso obiettivi concreti
comuni in politica come in economia. E' l'unica strada che resta all'Europa
"per non finire nella soffitta della storia".
Italia
A livello nazionale, il quadro è ugualmente cupo. Difficile
azzardare previsioni sull'andamento della congiuntura. Esiste infatti
"un'incertezza di partenza" che è quella relativa
al dato più importante dal punto di vista congiunturale, ossia
alla variazione del Pil del 1993; un dato che l'Istat renderà
noto, assieme agli altri dati ufficiali definitivi, solo a fine marzo
1994. L'incertezza risiede nel fatto che la variazione del Pil si
collocherà a cavallo dello zero e che quindi basterà
che i contabili nazionali correggano di poco il valore di alcuni servizi
prodotti in Italia perché la variazione assuma segno positivo
o negativo dando, anche psicologicamente, un'immagine decisamente
diversa dell'anno appena trascorso.
A questa incertezza iniziale altre si aggiungono a rendere di difficile
lettura, almeno dal punto di vista delle previsioni quantitative,
l'anno appena iniziato: incertezze legate al difficile momento politico
interno e alla delicata situazione internazionale, da un lato, incognite
finanziarie pubbliche e private, dall'altro.
Le previsioni
del Centro di Ricerca "L. Einaudi", quelle del Governo e
della Confindustria
Tuttavia, secondo il Centro di ricerca "Luigi Einaudi",
esistono alcuni punti fermi dai quali è senz'altro possibile
partire per dar vita a previsioni ragionevoli: si tratta di relazioni
"tecniche" tra variazioni del Pil e variazioni nelle componenti
della domanda (esportazioni, investimenti e consumi interni), che
si possono ritenere stabili almeno nel breve periodo. Per il 1994,
queste relazioni sono le seguenti:
1) aumento dello 0,16 per cento circa nel Pil per ogni aumento dell'1
per cento nel volume delle esportazioni di beni materiali e di servizi
da parte dell'Italia;
2) aumento (o diminuzione) dello 0, 1% circa nel Pil per ogni aumento
(o diminuzione) dell'1% nel volume degli investimenti complessivi
effettuati in Italia;
3) aumento (o diminuzione) dello 0,5% circa nel Pil per ogni aumento
(o diminuzione) dell'1% nel volume dei consumi privati.
Una volta individuato il valore del Pil, sarà possibile ricavare,
sia pure in maniera sommaria, la variazione del livello occupazionale.
Quest'ultimo dato si ottiene applicando una regola empirica che consiste
nel sottrarre alla variazione percentuale del Pil la variazione percentuale
della produttività del lavoro.
Il lavoro, infatti, grazie al progresso tecnologico, diventa sempre
più produttivo, sicché, per produrre una stessa quantità,
ogni anno si rende necessario un numero di lavoratori minore rispetto
all'anno precedente.
Il Centro Einaudi suppone una crescita della produttività pari
all'1,5%. Questo significa che se il Pil rimanesse invariato, il numero
di occupati si ridurrebbe in via normale dell'1,5%, ossia di 309 mila
unità di lavoro; mentre una riduzione dell'1% nel Pil comporterebbe
la perdita di 515 mila unità.
Per quanto concerne l'inflazione, il cui andamento - secondo lo schema
proposto dal Centro Studi Einaudi - è considerato indipendente
dagli andamenti dell'economia reale, si parte della constatazione
che per il mese di dicembre 1993 l'indice dei prezzi al consumo (con
base 1992=100) è stato stimato a quota 106, superiore all'indice
medio dello stesso anno pari a 104,5. Quindi, anche nell'ipotesi che
i prezzi durante il 1994 non subissero alcun aumento, la media dell'anno
sarebbe comunque pari a 106, superiore cioè a quella del 1993
dell'1,5%.
Ma quali sono in concreto le variazioni del Centro Einaudi? E in cosa
si differenziano da quelle di Governo e Confindustria? In realtà,
più che di previsioni, nella lettera si parla di "sensazioni",
come tali suscettibili di variazioni anche radicali nel corso dei
prossimi mesi.
A detta dei ricercatori, l'andamento delle esportazioni sarà
l'unico dato positivo del 1994: si ritiene, infatti, che il loro volume
subirà un aumento percentuale del 9%, anche maggiore di quello
verificatosi nel 1993 (pari, secondo le stime preliminari, al 7,6%).
Questo risultato potrà realizzarsi grazie da un lato agli effetti
della svalutazione monetaria che ha reso competitive le imprese italiane,
e dall'altro al più generale processo di ripresa mondiale che
vede in salita soprattutto gli Stati Uniti, la Cina e l'America Latina.
Secondo le stime del Governo, l'incremento delle esportazioni nel
1994 sarà pari al 6,8%, mentre nelle previsioni della Confindustria
l'aumento si assesterà attorno all'8%.
Diverso il discorso per gli investimenti, che non accennano a riprendersi.
Secondo gli studiosi del Centro Einaudi, nel 1994 essi continueranno
ad avere un andamento in forte discesa a causa delle condizioni estremamente
critiche in cui versa il mercato delle costruzioni e della stasi che
colpisce il settore impianti e macchinari. In termini percentuali,
il dato negativo stimato per gli investimenti è del -10%. Questa
previsione, collocandosi in un'area alquanto pessimistica, diverge
nettamente dalle stime compiute dal Governo e dalla Confindustria,
secondo cui la variazione degli investimenti sarà addirittura
positiva con un incremento percentuale pari rispettivamente a +2,1%
e +2%.
Anche riguardo i consumi privati le previsioni sono contrastanti.
Il Centro ritiene siano ancora in calo; prevede una discesa assai
forte nella prima metà dell'anno e una debole ripresa nella
seconda. Fissa così la variazione percentuale a - 0,5%. Di
segno contrario, invece, le variazioni previste dal Governo e dalla
Confindustria: +0,6% per il primo, +0,5% per la seconda.
Ma la nota più dolente che emerge dalle stime del Centro Einaudi
è quella relativa all'occupazione, la quale subirà una
contrazione dell'1,35%, pari a circa mezzo milione di disoccupati
in più. Un dato che, se dovesse risultare esatto, renderà
più acute le tensioni sociali esistenti con gravi ripercussioni
in termini di tenuta politica e sociale per il Paese. La Confindustria
rileva, invece, un dato negativo molto più contenuto e pari
a -0,1%, mentre il Governo, quanto mai in linea con la sua posizione
ottimistica, avanza la previsione di un aumento occupazionale pari
allo 0,2%.
Come va l'industria
L'industria italiana è in ritirata. Nel panorama europeo e
in quello mondiale, essa si sta ridefinendo e ridimensionando, sta
ricercando nuove vocazioni.
Il Centro di ricerca "Einaudi" ha calcolato che, nel corso
del 1993, sono stati conclusi contratti di cessione all'estero di
imprese o di partecipazioni italiane per un ammontare di circa 12
mila miliardi di lire, pari a mille miliardi di lire al mese. Per
contro, le acquisizioni di attività estere da parte italiana
sono state quantitativamente più esigue, sia pure talvolta
qualitativamente rilevanti.
La vendita di "Erbamont" ad un gruppo svedese da parte di
una Montedison oberata dai debiti costituisce il mutamento più
significativo nel panorama industriale italiano; un mutamento che
segna di fatto la scomparsa dall'Italia dal settore strategico dell'industria
farmaceutica con una forte perdita non solo quantitativa ma anche
qualitativa, costituendo l'Erbamont un importante centro di ricerca.
Anche il passaggio del controllo della "Nuovo Pignone" dall'Eni
a un gruppo di imprese americane facenti capo alla General Electric,
che ha altresì l'opzione per il controllo totale entro il 1998,
può significare l'uscita dell'Italia da un settore ad alta
tecnologia in cui rivestiva un ruolo importante. La "Nuovo Pignone"
è infatti nota in tutto il mondo per le sue realizzazioni di
ingegneria petrolifera.
Un altro importante accordo è quello che porta alla creazione
di una joint venture in parti eguali tra Montedison e Shell nel campo
delle materie plastiche. Si pone così in condominio una delle
poche attività chimiche in cui la Montedison rivestiva una
posizione di supremazia. Il punto dolente dell'accordo, così
poco pubblicizzato, sta negli apporti, questi sì, diseguali:
la Montedison vi trasferisce il 75% del totale attraverso l'apporto
dei "gioielli" della plastica, Himont e Moplefan ma, come
già detto, si accontenta del 50% della nuova società.
Questo perché, in cambio, la Shell si accolla ben 3.500 miliardi
di debiti Montedison. Anche Pirelli dice addio al suo sogno di dominare
il mercato europeo della gomma e vende la sua partecipazione nella
tedesca Continental per un ricavato di 700 miliardi.
Altre importanti operazioni di cessione compiute nel 1993: quella
della Sme che vende l'italgel per 437 miliardi alla Nestlé
e quella dell'Efim che vende la "Siv" alla Pilkington del
Regno Unito.
Da non dimenticare, infine, la cessione della Banca Popolare di Lecco
da parte della Banca Popolare di Novara alla consociata italiana della
Deutsche Bank per un importo di 470 miliardi.
Per quanto concerne, invece, le principali acquisizioni di controllo
da parte di imprese italiane all'estero avvenute nel corso del 1993
ricordiamo l'acquisto da parte della "Snaidero" di un'importante
impresa tedesca, la "Rational"; mentre "Merloni"
si allea con Simest per acquisire la "Pekel Teknik" (elettrodomestici
turchi), consolidando la sua presenza sul mercato turco.
Il Centro di ricerca Einaudi osserva che le imprese più "spregiudicate"
all'estero sono in prevalenza di media dimensione. inoltre, il loro
campo d'azione si è spostato soprattutto verso i Paesi più
deboli dell'Estremo Oriente e dell'Est europeo.
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