A)
Il paradosso dell'invarianza
Libido pecuniae
(terapeutica sulfurea marziana della sindrome polítíco-mafiosa)
è una prosa satirico-filosofico-fantastica che si snoda sotto
forma di dialogo a più voci, sicché la struttura, prevalentemente
mimetica, dell'impianto narrativo chiama in causa personaggi reali,
o meglio, figure del mondo larico afferente all'Autore: il fratello
Peppino, la sorella Bianca, nipoti e pronipoti. Insomma una gens salentina
che si interroga, riflette e discute coralmente sul fenomeno, ormai
endemico in Italia, delle tangenti, clinicamente etichettato come
"sindrome politico-mafiosa".
Il luogo e il tempo della fabula sono quelli frequentemente esibiti
da Simeone, il "doppio" di Macrí, suo trascrittore
nonché alter ego, nelle prose "trascendentali" Mister
T e La D.C. nel cui perimetro, per sviluppi ed esiti, si iscrive Libido
pecuniae. Anche qui, infatti, il cronotopo è dato dal binomio
Maglie (dimora 'vitale' dell'Autore -Marte (dimora fantastica e surreale),
specola, quest'ultima, dalla quale il locutore guarda il pianeta Terra
da dove è fuggito per crudeltà mentale dei terrestri
("menti sconvolte e inferme"), anni-luce lontani dalle conquiste
marziane, non ultima la "disgregazione corporea", ossia
la D.C., cui si fa cenno nel deittico abbrivo che dà la stura
al racconto ("Alla fine della relazione" ecc.).
Ritorna, ancora una volta, l'espediente già calviniano: la
fuga di Simeone su Marte è omologa della fuga di Cosimo sull'albero
(Il barone rampante), ma è, questo, topos di derivazione greco-classica
(es. il mito degli Dei che abbandonano la Terra disgustati dagli uomini)
il quale ben s'attaglia alla mitizzazione del Salentino operata dai
suoi parenti ("Dopo i rituali abbracci e baci, domande, repliche
e salamelecchi vari" ecc.) cui egli appare come un extraterrestre,
durante le fugaci 'apparizioni' nella terra genesiaca.
Ci siamo a lungo soffermati, nelle puntate precedenti, sul carattere
autoironico di queste prose nelle quali si cela un non mai sopito
desiderio del nostos che nasce dal sentimento odisseico dell'esilio,
complice quello che Macrí chiama "il mistero familiare".
Ma la retorica dei sentimenti è bandita come un demone volgare
e per-verso, sicché all'"acuta nostalgia" che muove
il locutore ad umanizzarsi ("Passò un anno, nel 2003,
io novantenne" ecc.) corrisponde "la nuova decisione di
non più porre piede in nessun punto di tale disgraziato orbe
terracqueo". Superfluo, ci sembra, il dover sottolineare la natura
antifrastica di tale enunciato.
In realtà il pathos della distanza, con tutti i suoi batteri,
è esorcizzato attraverso la distanza dal pathos che assicura
l'ironia. Non sarà difficile per il lettore cogliere, dietro
il vorticoso susseguirsi di apostrofanti interrogative, di asserzioni
illocutorie, di paradossali e apodittiche risposte (es. "Avevamo
appreso su Marte che tutta l'Europa era in galera, di fatto o in attesa.
- Peppino, hai ricevuto l'avviso di garanzia? E tu, Bianca? E tu Bianca
minor? - Non ancora - rispose Peppino"), un senso segreto che
attiene all'universale destino (la dura Necessitas) allusivamente
evocato attraverso un codice di referenze segniche semanticamente
collegate a indici extratestuali che è impossibile evidenziare
in questa sede. Per necessità di sintesi, qui ci limitiamo
a segnalare l'antitesi semanticamente coesa all'intero sviluppo narrativo:
la situazione esistenziale dell'Autore traspare dalla sua visione
'rovesciata' del mondo, ma anche dalla antinomia profonda famiglia
patriarcale (positivo) - società (negativo). Nucleo centrale
dell'intreccio è, però, l'"avviso di garanzia"
che nella fabula diventa paradossalmente il metro " dell'importanza
sociale del cittadino".
Personaggi, che
l'avevano ricevuto, lo esponevano nelle sale di rappresentanza ( ...
) e circolarono segrete tabelle di raccomandazione per avere detti
avvisi.
In questa sorta
di paese di Cuccagna, o di "inondo della rovescia", gli
'indizi descrittivi' (Barthes) si susseguono in rapinosa teoria ("preside,
direttore, arciprete, pretore, maresciallo ( ... ), guardie, carabinieri,
poliziotti e finanzieri") come spesso avviene nelle prose di
Macrì mimetiche della schizofrenia e del delirio umani:
In verità
non si capisce più nulla. O meglio sorveglianti e sorvegliati
fanno a turno, scambiandosi i ruoli ciascun mese.
E al "ritmo
precipite" che, per contagio, porta l'intera "Europa in
galera", corrisponde una scrittura dai timbri, ci si consenta,
talvolta parafuturisti: veloce, incalzante, asindetica. Rapide anche
le pause ecfrastiche:
Si era nel salone
ad ampie finestre sul bel giardino ordinato in alberi, viali e vialetti,
arbusti esotici e nostrani ( ... ). C'erano tutti, dai miei due fratelli,
a Sergio ed Elisabetta, nipoti d'acquisto, nipoti e pronipoti e figli
di pronipoti.
Inizia a questo
punto l'interrogatorio. Nessuno, di quella che salentinamente (in
mi còcoro) Simeone chiama strappina, è escluso dal coro
dei parlanti. Al silenzio che connota la dimora 'marziana' dell'Autore
fa eco un inesausto chiacchiericcio in cui si aggrovigliano indicatori
temporali, anacronìe, pasticci anaclastici:
La miccia da noi
si accese ( ... ) da un giudice che si chiamava Di Pietro, il quale,
circa 12 anni or sono, fece ammanettare un politico ( ... ) il quale
si chiamava Chiesa.
donde "la
facile battuta d'un San Pietro che castiga l'indegna sua Chiesa".
E fra lo stralogare, ora serioso, ora parodico, ora satirico, ora
apodittico, si insinua lo spirito voltairiano di un Candido redivivo.
Macrí affida alla forza terribile dell'ironia e del gioco letterario
le risposte a certi interrogativi che quotidianamente ci portiamo
dentro. Risposte impossibili, come quelle che investono la sfera dell'esistere,
di fronte alle quali perfino la filosofia del Novecento talvolta arretra
o sospende il giudizio. A queste prose egli consegna le sue 'lezioni'
sulla vita e sul mondo, dopo tante impartite dalla cattedra universitaria.
Su tutto aleggia il sorriso che gli consente di essere irriverente
e di trattare alla pari perfino sorella Morte. Quanto a certa fede
nelle sorti "magnifiche e progressive" cara al soggettivismo
idealistico tedesco di tradizione ottocentesca, ecco un passaggio
che proponiamo al lettore come chiave di lettura dell'intera prosa
macriana:
Si aggirava un
miscuglio di enti, coni, archetipi, degradazioni da un Essere che
distrattamente si era avulso dalla sua creazione per stanchezza o
schifo o smarrimento del primo filo di quella tela esistenziale e
materica. Nella stessa relazione apparivano dèmoni, angeli,
demiurghi, geni, esseri infinitamente grandi e infinitamente piccoli,
in un bailamme di spirituali esaltazioni superne e riduzioni meccaniche
secondo le teste e culture di quei filosofi e teologi che si erano
industriati di dare una risposta sii quel malanno, rispolverando le
vecchie carte filosofico-teologiche della terra.
La conclusione?
Trattasi di un
morbo che è, appunto, il Nulla dell'Essere ( ... ). Il puro
Nulla, il non-corpo e il nonspirito. La seduta è sciolta.
Abbiamo scritto
più volte, ricordando i Dialoghi di Luciano, che dietro il
Macrí-narratore si cela il filosofo e abbiamo evocato, come
termine a quo, Fogli per i compagni. Ma la scrittura creativa rimane
autonoma e il discorso filosofico asistematico. Come i suoi Maestri
e padri del Novecento, Macrí catapulta la sua logica stringente
e paradossale contro i sistemi gnoseologici ottimisti e 'progressivi',
non diversamente da quel Candido di Voltaire nella cui apparente (e
candida) ingenuità si celava una grande e illuminata saggezza.
Macrí è un pensatore asistematico (archetipi lo Schopenhauer
dei Parerga e il Nietzsche di Zaratustra, non escluso Kierkegaard)
per il carattere sparso e occasionale delle sue prose 'filosofiche'
che restano pur sempre nell'ambito del ludo letterario dissacratore
di tutto, fatta eccezione della vita, con i cui problemi, concreti
e quotidiani, si misura l'intero discorso creativo. Allora siamo di
fronte a una Lebensphilosophie con i suoi anatemi contro la filosofia
accademica ed asettica: "saggezza della vita", dunque, epurata
da ogni scoria vitalistica e irrazionalistica che l'espressione in
parola ha veicolato nella nostra tradizione culturale. Atteggiamento
antiscientistico che non identifica più ogni possibile esperienza
di verità con la sola esperienza del conoscere metodico. Medium
e sua forma resta il linguaggio (Gadamer), metafora e "gioco"
che recupera l'essenza forse più intigrante della comunicazione
letteraria.
(IV - continua)
B) I racconti di Simeone / Oreste Macrí
LIBIDO PECUNIAE
(TERAPEUTICA SULFUREA MARZIANA DELLA SINDROME POLITICO-MAFIOSA)
Alla fine della
relazione sulla D.C. ("disintegrazione corporea" per qualunque
viaggio di noi marziani) accennai al disgusto e depressione che mi
avevano colpito allo spettacolo delle menti sconvolte e inferme degli
abitanti della povera Terra. Passo un anno, nel 2003 io novantenne,
e fui assalito da acuta nostalgia dei miei fratelli, nipoti e pronipoti,
sì che in un lampo, a mezzo della tuta D.C., planai sulla Palicella,
lieve e amena collina su Maglie salentina. Ivi era sita la villetta
di mia sorella con figlia, figlia della figlia nel racconto "Mi
còcoro", nipote omonima. E precisamente posi piede sullo
spiazzo antistante, coperto di bellissime lastre di pietra viva, ricavate
dalle rocce di Santa Cesarca, termica collinetta marina giacente su
uno spento vulcano, da cui emanano salutari acque sulfuree.
Quindi visitai mio fratello, che si ossigenava i fumati polmoni da
una bombola ai fianchi; il tutto in via Domenica Rosa Garzìa,
che fu nobildonna spagnola del Reame in quella napoletana diaspora
estrema.
Dopo i rituali abbracci e baci, domande, repliche e salamelecchi vari,
cominciò la conversazione, intervallata da pranzo e cena; conversazione
che si concluse con mia nuova decisione di non più porre piede
in nessun punto di tale disgraziato orbe terracqueo.
Avevamo appreso su Marte che tutta l'Europa era in galera, di fatto
o in attesa. - Peppino, hai ricevuto l'avviso di garanzia? E tu, Bianca?
e tu, Bianca minor?
- Non ancora - rispose Peppino -, ma arriverà un giorno o l'altro.
Qui a Maglie l'hanno ricevuto 10.000 su 14.000 abitanti. Ci siamo
preparati con valige e sacchi vicino alla porta per non perder tempo.
lo mi sono provvisto di 8 bombole di ossigeno.
- Tutti questi avvisati come si sono comportati?
- Nei primi tempi furono garantiti i capi del l'amministrazione, media
industria, presidi, direttori, arciprete, pretore, maresciallo, poi
sempre più giù nella scala sociale. A un certo punto
venne l'uzzo, insomma il piacere e ambizione di ricevere l'avviso
di garanzia, che garantiva l'importanza sociale del cittadino. Personaggi,
che l'avevano ricevuto, lo esponevano nelle sale di rappresentanza
e gabinetti privati (architetti, medici, dentisti, ecc.); e circolarono
segrete tabelle di raccomandazione per avere detti avvisi, coi prezzi
corrispondenti in modo esponenziale. Ad es., 100.000 lire ad avviso
per accusa di Un semplice scambio di voto, un milione per concussione.
Il gioco non durò molto, giacché avvenne una sorta di
inflazione, e gli avvisi di garanzia si autonomizzarono, ovvero partirono
desiosi da soli all'impazzata.
- Ma - chiesi sbalordito - dove li mettono tutti in attesa di giudizio?
- In varie chisure, nello stadio vecchio e nel nuovo in costruzione.
- Ma le guardie, carabinieri, polizia, finanzieri, per sorvegliarli?
- In verità, non si capisce più nulla. O meglio sorveglianti
e sorvegliati fanno a turno scambiandosi i ruoli ciascun mese.
- Noi di Marte sappiamo dell'Europa in galera. E gli altri continenti?
- Stanno procedendo nella stessa maniera a ritmo precipite. Il nostro
esempio ha fatto scuola. E' come una lebbra congiunta con l'Aids.
Si era nel salone ad ampie finestre sul bel giardino ordinato in alberi,
viali e vialetti, arbusti esotici e nostrani, dal lontano nipote Lallo.
Il solo assente, giacché via via c'erano tutti, dai miei due
fratelli, a Sergio ed Elisabetta nipote d'acquisto, nipoti e pronipoti
e figli di pronipoti.
Antonella mi chiese a bruciapelo:
- Ma voi su Marte, come avete risolto il problema di quest'accidente
maledetto di politica, mafia, concussione, fondi neri, suicidi, licenze
edilizie, discariche, erario asciutto, crimini d'ogni specie, ecc.?
La miccia da noi si accese, come avrete saputo, dai tribunali, anzi
da un giudice, che si chiamava Di Pietro, il quale circa 12 anni or
sono fece ammanettare un politico partitico d'ospedali, il quale si
chiamava Chiesa; e ti risparmio, zio Oreste, la facile battuta d'un
San Pietro che castiga l'indegna sua Chiesa. Comunque, quei nomi sembrarono
fatidici, e stele, monumenti, cippi, perfino menhir, sono stati dedicati
nella nostra penisola e in tutta Europa al Di Pietro e anche al Chiesa,
per non fare dispetto a nessuno.
- Dunque - feci io - la purificazione c'è stata. Come mai è
continuata, anzi peggio di prima? - Lo sbaglio è stato di dare
con referendum, elezioni, furor di popolo, il potere ai cosiddetti
onesti. I disonesti avevano mangiato ed erano un po' sazi, ma gli
opinati onesti arrivati avevano un appetito che non ti dico. Diventati
a loro volta disonesti, si attrupparono con i disonesti anteriori
che erano risorti e che a loro insegnarono mene, meccanismi, trucchi
tangentopolitani, mafiosi ecc.
- Zio, ti chiediamo ancora: come avete risolto voi su Marte questo
tragico e infame problema? Da noi è il caos. Dapprima avevano
qualche ragione col loro motto: "Se non mangiamo noi, non mangiate
neppure voi". Ma ora stiamo morendo tutti di fame.
- La questione da noi è ormai superata e tutto è risanato
dopo un incipiente pericolo stroncato subito alla radice. Trattavasi,
detto in breve, di un morbo.
- Come arrivaste a capirlo?
- L'intuizione si formò nelle teste illuminate di un consesso
di filosofi studiosi d'ogni scuola e teologi d'ogni religione, che
dettero un parere, diciamo, negativo. Ovvero non ci capivano nulla
e la quaestio doveva essere rimessa agli scienziati dell'umana patologia.
Solo i teologi gnostici accennarono oscuramente ai Negativi casuali
e caotici cosmici e particolarmente terrestri. Non saprei spiegarvi
più chiaramente, giacché circolavano molte varianti
della risoluzione di quel congresso. In essa si aggirava un miscuglio
di enti, coni, archetipi, degradazioni da un Essere che distrattamente
si era avulso dalla sua creazione per stanchezza o schifo o smarrimento
del primo filo di quella tela esistenziale e materica. Nella stessa
relazione apparivano dèmoni, angeli, demiurghi, geni, esseri
infinitamente grandi e infinitamente piccoli, in un bailamme di spirituali
esaltazioni superne e riduzioni meccaniche secondo le teste e culture
di quei filosofi e teologi, che si erano industriati di dare una risposta
su quel malanno, rispolverando le vecchie carte filosofico-teologiche
della Terra nelle paleobiblioteche. Intanto il popolo marziano tumultuava
in attesa nella piazza antistante il palazzo di quel congresso. Finalmente
i dodici si affacciarono al balcone e il presidente tuonò:
"Cari amici, il nostro verdetto o parere o sentenza sul maleficio
mafioso-tangentizio, che sta minacciando il nostro felice pianeta,
è il puro Nulla. Pertanto, ci rimettiamo agli scienziati e
patologi del corpo umano. Trattasi di un morbo, che è, appunto,
il Nulla dell'Essere. Un Nulla che non è nemmeno quello studiato
dal nostro collega, il quale è andato a rovistare nelle carte
della cosiddetta religione buddista. Il puro Nulla, il non-corpo e
il non-spirito. La seduta è sciolta".
- Dopo ciò, che cosa avete deciso? - chiese Sergio.
- Constatata e proclamata l'incompetenza delle scienze dello spirito
e della società, abbiamo messo la faccenda nelle mani dei medici
immunologi, farmacologi, chimici, genetici, alienisti, batteriologi,
radiologi, cancerologi, ginecologi, perfino veterinari e patologi
delle piante e dei fiori. Ma la soluzione è stata trovata dai
virologi, avendo essi scoperto il virus politicomafioso, già
esperti di quello dell'Aids stranamente affine e quasi sincronico.
Forse l'imbeccata fu data da un politologo che aveva trovato in un
articolo di un certo Don Sturzo una consimile intuizione circa il
virus della partitocrazia.
- Ma come si è stabilita la congenialità dell'Aids con
la mafia politica? - chiese il pronipote Piero.
- Entrambi sono sortiti dalla mescolanza, mescidanza, mistione, guazzerone,
buglione, di elementi diversi, congiunti nel mostro di una libido
erotico-pecuniaria: erotica come soluzione della pecunia e pecuniaria
come vettore dell'erotismo, entrambi gratuiti e arbitrari.
Checco m'interruppe:
- Zio, qua tu rischi il moralismo biblico del peccato originale e
del castigo divino, e il tuo racconto si raffredda.
- Ma che moralismo d'Egitto! Sono dati di fatto nella relazione finale
del virologo. Il virus dell'Aids si è destato dalla mescolanza
delle razze umane (africani, asiatici, occidentali, ecc.), come dai
charters sessuali-anali alle Antille, Brasile e siti circonvicini;
il virus politico-mafioso dai commerci, traffici planetari, interbancari,
interfinanziari, petroli, armi, droghe, cargos di spazzature, ecc.
Tutti commerci e imprese che si concludevano e si concludono in pappatorie,
strippate, banchetti conviviali d'ozio e di lavoro, residenze in copacabane,
mescolanze di cucine e cibi d'ogni genere e paese con micidiali conseguenze
intestinali di cui vi dirò tra poco.
- Scusa, zio Oreste, ma tu, quale critico letterario, che cosa hai
a che fare con tutto questo?
- Oh, no! La letteratura e soprattutto la poesia vostre, terrestri,
sono lo specchio del garbuglio e intruglio politico, giacché
i politici sono primari e tenutari delle leggi, dei giudici e dei
poliziotti; secondari gli imprenditori petulanti, ancorché
la loro petulanza sia primaria. Analoga nefasta alterazione e corruzione
e mistione indifferenziata di dimore vitali ha sgangherato la vostra
poesia terrestre. Mitologie, utopie e distopie, complotti giallo-gnostici,
cronache vetuste, nipoti stuprate dagli zii, imperversano nella vostra
narrativa. Simbolico del caos letterario è il Petrolium profetico
di Pasolini, guazzabuglio fetido dell'agonia e de-cesso totale d'ogni
vostra poesia.
- Zio, ricordi la formula del virus politico-mafioso?
- No, è troppo complicata. Come le chiaviche e pantegane per
la peste, gli anofeli per la malaria, e la mosca tse-tse per il tripanosoma
della malattia del sonno, il conduttore e trasmettitore sembra che
sia un piccolo ragno nero, peloso e cieco. Il quale si annida nel
pelame futuro del sedere, da cui risale sino ai neuroni e sinapsi
del cervello. Il processo morbifero comincia la sua proliferazione,
appunto, nelle sedute conviviali di commissioni e cupole spartitorie
e teorematiche politico-imprenditoriali-mafiose con varia combinazione
di questi tre elementi basilari.
- Su Marte, come e quando scoppiò la malattia e chi fu il primo
infettato?
- L'apposito collegio scientifico avvertì dodici anni fa la
presenza del virus maledetto nella valle della Sonnolenza nell'emisfero
boreale del nostro bel pianeta.
- E il primo infettato?
- Fu una coppia; il terzo elemento mafioso, per fortuna, restò
latente e fu stroncato in tempo. Comunque il modellino virale di tipo
triangolare vigeva virtualmente, giacché era interessata la
originaria capitale dell'industria italiana e quindi terrestre. Dunque,
verso il nostro polo sud stanziava tra altissime montagne una colonia
di origine milanese. Ricorrevano le feste natalizie. Un impresario
di forniture d'auto si recò, la vigilia, in casa di un politico
importante, dal quale aveva ricevuto un grande beneficio. State attenti:
beneficio del tutto formale, come vi spiegherò meglio. Immaginate
che si trattasse di discarica o voti o stadio o poltrona o suolo edificatorio.
I miei sono esempi per il vostro tardo comprendonio.
- Tu, zio, non ci hai mai detto chiaramente come siete ordinati su
Marte e che cosa fate. Tutto per accenni, ammicchi, analogie, metafore.
Salvoché tu non ci burli con la tua utopia marziana e te ne
stia nascosto in qualche grotta della nostra costa salentina, non
ancora esplorata come la Zinzulusa dal professore De Lorentiis. Per
esempio, dove sta questa miracolosa tuta, con la quale saresti sceso
da Marte?
- Siete degli sciocchi. La tuta è invisibile, e che cosa ci
farei in una grotta o in una torre di Carlo V? Bando alle chiacchere.
Riprendiamo. Detto imprenditore beneficiato si presenta dal benefattore
politico con un panettone, non ricordo se Motta o Alemagna; ma fa
lo stesso. "Grazie", fece il politico, ma... (ossia titubante)
in famiglia siamo in cinque... scusi ... I'. L'impresario, pur perplesso,
capì l'antifona; era la prima volta, in quel casto e onesto
nostro pianeta, d'una richiesta multipla; forse ha ragione, disse
tra sé, e ritornò con altri quattro panettoni. "Grazie,
grazie, grazie, grazie..., ma in verità ci sono anche sei nipoti
e la colf". L'impresario tornò con altri sette panettoni.
Il politico, dopo aver recitato altri sette "Grazie!", timidamente
accennò: "In verità, generoso amico, tanti panettoni
potrebbero guastarsi, irrancidire e stufare. Mi permetto di suggerirle
il valsente corrispondente, per acquistarli con nostro comodo. Tanto
per Lei è lo stesso". "Valsente? Quale valsente?",
disse tra sé l'impresario fingendo a se stesso, poiché
era infettato pure lui, lungi dallo scandalizzarsi e anzi lietissimo
in vista di extra e più vistosi benefici. Tradusse il dono
panettonesco in equivalente pecuniario, da lui celato, calcolando
con abbondanza di cuore lire dodicimila a panettone, recando in totale
una bustarella di lire 200.000 con arrotondamento delle 144.000 aritmetiche,
in quattro banconote di cinquantamila, le quali, come fresche e fragranti,
il politico si portò alle nari inebriato aspirando e, questa
volta, inchinato sino a terra e senza dire "Grazie!". "Mi
raccomando silenzio", disse il politico; "Mi raccomando
anch'io silenzio", echeggiò l'impresario, e taciti si
dileguarono, l'uno per strada e l'altro nel profondo dell'appartamento.
Con fabulazione finale nel massimo segreto e riserbo. Si erano incontrati!
- Come seppero del colloquio i membri della commissione?
- Da noi tutto è memorabile e schedato, inciso nell'aria con
apparecchi, anzi senza apparecchi, che non è il caso vi spieghi,
perché non capireste. Non essendoci malefatte né segreti
da noi, è piacevole risentire i trascorsi eloqui, moltiplicandone
il gusto e l'ingenuo incanto. Gli analisti, ridestato quel colloquio
disgraziato, allibirono impauriti se non terrorizzati, poiché
nel nostro pianeta, rifatto interamente all'uopo, non esistono banche,
e tanto meno banconote, contanti, assegni, fidi, fissati-bollati,
lettere di credito, girate, effetti, cambiali, borse, obbligazioni,
e roba simile.
Chiese Albarosa:
- Come? Non avete un bene intermediario economico negli scambi quale
misura di valore e mezzo di pagamento?
- Noi non compriamo e non paghiamo un bel nulla. Quella che tu chiami
unità di valore per noi è il semplice "Grazie!",
come hai sentito da quel politico all'imprenditore donatore dei panettoni,
in principio. Usiamo anche dei derivati e dei sinonimi, come "Vi
ringrazio", "Vi sono riconoscente", "A buon rendere",
"obbligato" e l'obbligatissimo", "Vostro servitore",
"Siete stato squisito", "Non dimenticherò mai",
"Vi benedico", "Il Signore ve ne renda merito",
ecc. Ma il "Grazie!" è fondamentale, modulato, basso
alto medio, raddoppiato, triplicato secondo il beneficio ripetuto,
che è sempre apparente...
- Come apparente? - interloquì Cesare.
Lasciamo andare. Non capireste la purezza assoluta del nostro semplice
e ingenuo "Grazie!".
- E i muti?
- Si inchinano una o più volte, a seconda. Ma non ce ne sono.
Fingono di esserlo. Anche strette di mano con varia effusione e stringimento.
Anche baci e abbracci, lingua in bocca per prestazioni erotiche...
- Ma... - mi interruppe mia sorella severamente.
- Beh, scherzavo. Gli è che da noi i beni sono abbondanti e
alla portata di tutti. Per questo dicevo che tutto è... apparente.
Fingiamo di ricevere un dono e di ringraziare, ma è una finzione
che è più che realtà. Per questo non potete capire.
Ad es., voi terrestri dite: `Mille grazie!", che è una
specie di superlativo generico e il "mille" da numero diventa
un mostricciattolo di pronome indefinito. Noi prendiamo tutto sul
serio e in realtà, per cui mille è mille e non novecentonovantanove.
Trattasi di casi rari per regali eccezionali, come un figlio adottivo,
un pezzetto di fegato da trapiantare, una miniera di diamanti, un
occhio, per cui per voi l'espressione "Vale un occhio della testa"
è una sorta di metafora, per noi è un vero e proprio
occhio della testa, dove l'occhio è situato. Così per
noi "cento di questi giorni" è un augurio preciso
e, se passano i cento giorni, che noi registriamo, si rinnova l'augurio
con altri "Cento di questi giorni". Insomma per voi la realtà
è catacretica, per noi è vera e reale. Voi l'avete tradotta
in lingua, che noi abbiamo eliminato per non tradirla in simboli artefatti.
Piero osservò con un sorrisetto:
- Zio, non siete un po' pedanti? Questo significa che dite "Grazie!"
mille volte? Vi sgolate. Un minuto secondo e mezzo ad ogni "Grazie!",
ci mettete 750 minuti secondi, ossia circa 13 minuti, quasi un quarto
d'ora. E' una faticaccia e una bella noia.
- I "Grazie!" li ritmiamo, sì che il ringraziato
si può assopire dolcemente, come cullato da tanta simpatia
marziana.
- E vi inchinate cento volte? Non vi viene il mal di schiena?
- Piero, c'è poco da scherzare. Gli ebrei, padri della nostra
santa religione, si inchinano molte e molte volte davanti al Muro
del Pianto per ringraziare il Signore o implorare misericordia.
Voi terrestri la vera e umana realtà la ricuperate solo in
stato onirico o surreale. Ad es., gli atti ripetitivi dei vostri poveri
folli. A proposito degli inchini, rammento quelli del Signor Houlot,
uno dei vostri più grandi comici. In campo religioso resta
da voi qualche traccia. Ad es., in qualche rurale parrocchia il "mea
culpa" è accompagnato da reali percosse col pugno chiuso
sul petto, e la volta ne rimbomba all'orecchio del Signore compiaciuto.
La vostra libidine pecuniaria con facile e cinica indifferenza egualitaria
ha cancellato ogni cordiale realtà; vocabolo che viene da res,
la "cosa" una e distinta, materiale in quanto è simbolo
e intrisa del suo spirito o essenza.
Qualche traccia si trova nel popolo. Il napoletano suole dire: 'Tu
mi dai una cosa a me, io ti do una cosa a te", motto stravolto
dai potenti della Tangentopoli. Nella quale si sono pervertiti i pronomi
numerali, come "mille", e indefiniti, ma sempre reali, come
"cosa", che voi artatamente riferite al quattrino. Insinua
l'intermediario dell'imprenditore, se non il medesimo: "Vuole
qualcosa della tangente; una cosettina; qualcosa gli spetta; una parte,
tre quarti, tutto; altro ancora, ecc.". I "miliardi",,
effettiva vostra unità di misura, che noi riferiamo al numero
delle stelle in cielo, ai granelli di sabbia, alle distanze astrali,
ai benefici del Signore, agli anni delle cellule e dei fossili, voi
li avete incatenati alle lire, dollari, sterline, ecc. Avete corrotto
pecuniariamente con le vostre banche un'infinità di vocaboli:
divisa (che era del portiere), borsa (della spesa), banco (del mercatino),
agente (di custodia, amico), frutto (del pesco) e fruttifero (d'un
agrumeto), cambio (della guardia), chiusura (di una strada), operazione
(chirurgica), quota (di una montagna), corso (d'un evento), rialzo
(d'un terreno) e ribasso (calo), sostanza (liquida, gassosa, ecc.),
tesoro (di figlia, moglie, ecc.), cassa e cassone (d'indumenti, lenzuola,
ecc.), cassetta (piccola cassa), effetto, scambio, sportello, ecc.
Perfinola vita e la morte l'avete prostituita nel vitalizio e nell'ammortamento
(di un debito).
Orrenda metaforizzazione pecuniaria della realtà. La stessa
pecunia, che per noi è un gregge di pecore.
Pippo insinuò:
- Zio, Voi marziani, non siete per caso reazionari? Praticate il baratto?
- Non avete capito niente del nostro valore reale. Ma lasciamo andare.
- Ma quel l'imprenditore dove aveva trovato quelle banconote che dette
al politico?
- Si venne a sapere che erano state trafugate e nascoste da uno dei
primi coloni milanesi durante il trasporto ai contenitori sigillati,
come i vostri, per le scorie radioattive, quindi immersi nel più
profondo dei nostri mari, detto della Tranquillità.
Nell'imminenza della fondazione marziana tutti portarono all'ammasso
ogni specie di moneta in carta o metallo. I bigliettoni più
grossi, da uno a più miliardi, furono trasferiti e impiombati
nel centro della luna marziana Phebo. Intanto, la peste monetaria
si era vagamente diffusa, e alcuni farabutti si erano messi a coniare
denari terrestri e perfino marziani, in verità perfettamente
eseguiti e allettanti al tatto, che si era ridestato a quel diabolicamente
piacevole contatto.
- Raccontaci in che modo la commissione ovviò in tempo al disastro
e alla catastrofe, quale la nostra terrestre.
- Si formarono gruppi di agenti investigatori, forniti di istruzioni
in corsi specializzati di commercio, medicina, giure, crimine e patologie
mentali. Si pensò per prima cosa alle nuove generazioni; epperò
furono sottoposti a visita medico-legale con ogni specie di strumenti
investigatori fino ai capillari e alle cellule neuroniche tutti i
bambini fino ai cinque anni, età limite segnata da Freud alla
stasi dei complessi generatori di nevrosi e psicosi demenziali. Anche
gli altri marziani, dai sei a centonovant'anni, furono visitati, anzi
si fecero visitare...
- Come? - chiese Elisabetta - vivete fino a centonovant'anni?
- Modestamente siamo quasi immortali; dopo quella età si accertò
che era garantita l'immunità a quel virus, restando zero il
titolo anticorporale in incremento. Questo l'ho solo saputo, ma non
so che cosa significa. Certo si è che dall'esame del retto
e del colon, specialmente discendente e traverso, si riconobbero i
probabili infermi, più o meno futuri secondo l'età,
del virus tangentogeno e mafiogeno.
- E che ne faceste di quei pericolosi malati? Furono uccisi?
- Ma no. Noi marziani siamo gente docile, pacifica e ottimista.
Intanto avemmo una grande rivelazione scientifica. L'analisi medico-giuridica
scoprì che il virus pecuniario era affine, quasi una variante
metamorfica, della libido pecuniae: il virus della libido potestatis,
annoverati nella fenomenologia virale i tiranni, duci, caudigli, autocrati,
oppressori, conculcatori, despoti, dittatori, usurpatori, autograti,
oligarchi, mangiapopoli, aguzzini, con il seguito di torture, massacri,
supplizi basta così. Si osservò, dai documenti che ci
eravamo portati dalla Terra, che camorre, pizzi, tangenti, ogni genere
di corruzione e devastazione del corpo politico-sociale, si statalizzano
preludiando a rivoluzioni ed eccidi a furor di popolo, e che i grandi
despoti, soli o in camarille, erano affetti, da Rasputin a Stalin,
da Nerone al vostro Duce, da Enver a Hoxha a Collor de Mello, da ulcere
duodenali, gastriti acute erosive, esofagiti peptiche, diverticoliti,
sindromi di Zollinger-Elison, poliposi, neoplasie, enterocoliti, occlusioni,
accessi perianali, arterite di Yakayusu, pancreatiti, epatopatie necrobiotiche,
e simili; sembra che il detto Hitler li avesse tutti questi morbi.
Checco, salace al solito, insinuò:
- Zio Oreste, hai saccheggiato il Roversi; c'è ben altro nella
nuova edizione, dove all'immunodeficienza congenita è aggiunta
l'acquisita. Ma ora dicci della cura medica propinata a quei marziani
infetti.
- Tutti furono sottoposti a razioni di solfato di magnesio, più
o meno ingenti e continue, secondo la gravità della diagnosi,
in beveroni d'acqua calda.
Ancora Checco:
- Questo tuo solfato di magnesio ci ricorda l'olio di ricino degli
squadristi, le purghe staliniane e anche la "pulizia" etnica
dei Serbi pur con altri mezzi più sanguinari.
- Checco, c'è poco da scherzare. Nella storia umana molte coincidenze
sono casuali. - Ma è bastato il solfato di magnesio?
- Certo che no. Non vi stupite per tale purga. Grandi imperi crollarono
per motivi dietetici legati a cene trimalcioniche da Basso Impero.
E basta leggere Svetonio su quegli imperatori gozzoviglianti, incestuosi
e criminali. Maometto capì che la carne di maiale è
deleteria per il suo grasso cotto e Federico Il non si accorse del
"coppo" siculo-calabro d'immondo olio fritto e rifritto.
L'impero romano decadde per la cucina micidiale di Apicio e per intossicazione
da piombo nei tubi degli acquedotti. La fortuna dell'Inghilterra col
suo impero planetario fu dovuta, appunto, al solfato di magnesio,
detto non per nulla sale inglese; il quale si sinonimizza nel salcanal
dei Piemontesi, che riuscirono a unificare la vostra patria dopo secoli
di schiavitù e frazionamenti; poi di nuovo divisa in pezzettini
da un quasi despota dilettante, un certo Bossi, pure lui affetto da
qualche gastroenterite. Somigliava a Salazar, squallido e citrigno,
evidentemente intasato. La decadenza della Spagna fu dovuta, probabilmente,
a quell'intruglio pur delizioso della paella, greve di pezzi d'animali
della terra e del cielo e del mare, in riso bollito per ore nell'olio
di colza, oltre allo sbevacchiamento di copitas vinacee e alcoliche
di bar in bar per centinaia di chilometri. E' certo che la tangentopoli
pura e mafiosa coincise da voi con il boom economico, assistenziale,
clientelare; i vostri terrestri italici inzeppati degli interessi
di Bot e altri titoli statali, giochi di borsa, rimesse d'imprese
all'estero, imprese statali, il tutto a spese dell'erario; patente
la dovizia dall'immane motorizzazione, conti elvetici, ville al mare,
mercati zeppi, in ogni città cucine cinesi, giapponesi, brasiliane,
ecc., comprese le buatte di prelibati pranzetti per cani e gatti leccanti
alle televisioni e srotolanti carte igieniche per le abbondanti defecazioni
delle padroncine. Aggiunto l'alibi dei barboni, baraccati ed extracomunitari
quaestuanti. Fottuti ipocriti all'insegna:
"Se quelli non mangiano, non mangiamo neppure noi"; il che
era tragicamente vero, poiché con l'avvento della falsa rivolta
succedettero carestie e disoccupazione. Vero è che ci fu una
certa ripresa. il potere che venne dopo fu affidato a caporioni che
erano stati un po' digiuni e avevano più fame degli anteriori.
Corruzione e pappatoria si combinano mutuamente alla greppia, finché
la Provvidenza non perde la pazienza e impone paupertas igienica,
a che gli uomini se ne rammentino.
La pecunia ribolle nelle tasche; spesa, si moltiplica acuminando i
diabolici ingegni umani. Se vuoi scambiare un pezzo di pane in più
con una forma di cacio, devi trovare colui che ha bisogno del cacio;
se hai una banconota compri tutto d'un comune valore.
- Zio, torniamo al baratto.
- Ma no. Facevo un esempio. In certe memorie di Mario Chiesa, il primo
inquisito, al quale Milano ha dedicato un monumento, plasmato con
le fodere dei pantaloni e la pettola in fuori, si afferma drasticamente
e dogmaticamente: 'li soldi erano diventati la nuova ideologia, quella
vincente". Soldi come d'un uranio irradiante il potere! I quali
sono, come è noto, sterco di Satana, deiezioni della sede sanguinaria
e criminale del retto e del colon inquinati e intossicati, da cui
la necessità terapeutica del detto solfato di magnesio ai bambinelli
destinati e ai maggiori in perdizione.
Checco si alzò dalla sua poltrona e, quasi venendomi addosso,
esclamò:
- Tu, zio Oreste, rischi di colpevolizzare i cinquanta o cento milioni
di connazionali, compresi gli emigrati. Se tutti sono colpevoli, nessuno
lo è. Chi è che non ha fatto una raccomandazione o non
ne ha goduto? Dato un regalo eccessivo, più o meno richiesto?
Adoperatosi per qualche parlamentare, come tua sorella che conosce
mezzo Salento? E tu stesso non ci hai raccontato che vincesti il concorso
di Ginnasio Inferiore per simpatia letteraria verso di te del maestro
di Renato Serra, avendo stravolto il primo verso d'un'ode del Carducci,
"Sul caval della Morte amor cavalca", in "Sul caval
del caval caval cavalca"?.
- Beh! Stavo scrivendo La nozione del surreale. Quanto alla tua obiezione,
"Poca favilla gran fiamma seconda", disse padre Dante. L'humus
dà i frutti che dà; ma non è questione di moralismo.
Il virus pecuniario è naturalmente costituzionale e endemico
dell'umanità.
Peppino insorse:
- Basta con queste elucubrazioni e dicci quali altri rimedi avete
trovato su Marte, oltre al solfato di magnesio; specialmente per i
bambini.
Sapevo che a mio fratello ottantasettenne interessavano i bambini,
ai quali era affezionatissimo. Già le figlie spesso gli avevano
rifilato in custodia i tre loro figlioli, che, diventati grandi, si
erano riprodotti nel doppio di pronipoti, pur essi affidati sovente
a lui. Il quale, pur bofonchiando, si sommetteva ai loro piccoli tumulti
e gridi, sempre con l'occhiale dell'ossigeno nel naso.
- Ecco, Peppino. Ho accennato dianzi alla libido pecuniae, l'avidità
del quattrino e sua virulenza espansiva in ingordigia e sesso preferibilmente
omofilo e anale, che sembra più pulito e spiccio, come consigliava
un narratore fiorentino ad altro suo collega anziano, peripatetico
infortunato nei vialetti della Fortezza da Basso.
Abbiamo messo, estratti dai contenitori, nelle culle, passeggini,
automobiline, cerchi, carrozzine di neonati e pueri, monete spicciole
e carte-monete a iosa; dove i frugoletti si sono divertiti a frugarle,
avventarie con le braccine, mangiucchiarle, odorarle. Via via che
crescevano veniva loro allergia e disgusto del denaro fino al vomito.
Aggiungevamo, diventati più grandicelli, francobolli, piccoli
conti correnti postali e bancari, perle, gioielli d'oro, diamanti,
perfino qualche Bot e Cct, assicurazioni sulla vita, ecc. Insomma,
una immane vaccinazione quattrinaria che ebbe buoni effetti di ripugnanza
e ribrezzo. Molti ragazzi e giovinetti, anzi, si ritirarono dal consorzio
marziano in tebaidi ed cremi di spechi e deserti, per cui si dovettero
rivaccinare in senso contrario. In tal guisa abbiamo isolato e guarito
i Grandi Eletti al Crimine Politico-Sociale, rimediando alle loro
genetiche affezioni di retroversa mimesi della innocente Natura, nella
quale gli esseri vegetali e animali si mangiano tra loro. La Natura
non può uscire da se stessa, nella quale è inclusa.
Sembra che il Creatore non abbia potuto fare diversamente.
- Tu, zio, parli sempre per enigmi come se noi sapessimo che cosa
succede su Marte. Insomma, non sai spiegarti o noi non capiamo.
- Non ci mancano i farmaci estratti dalle nuove e nuovissime erbe
nate nel nostro fertile pianeta, ma centrale resta sempre, unico legame
con la pur nostra antica Terra, il divino solfato di magnesio capace
di debellare la sindrome di George, di Wiscott-Aldrich, cancro di
Kapochi, mieloma multiplo, morbo di Addison, ipoplasie timiche, deficit
globali di agammaglobulisemia primaria e secondaria, criofibrinogenemia,
lupus, porpore, ecc. Solfato di magnesio capace di debellare, in definitiva,
tutti i mali fisici e morali dell'universo umano; donde si chiuderebbero
farmacie e cliniche della vostra ridicola Sanità e di quei
boati fonosimbolici che sono le vostre sgangherate Usl. Mi spiacerebbe
per te Annarella farmacista, per te Antonella pediatra, per te Checco
chirurgo, per te Pippo, radiologo e computerista del cervello.
A questo punto, come stregati dal mio dire e straparlare, sullo sfondo
del mistero indecifrato della vita marziana, tutti quei miei congiunti
invocarono il mio aiuto angelico all'Europa, se non al mondo, cantando
a squarciagola, come in una visione di Emmaus:
- Resta con noi, Signore...
Placatosi il coro, Cesare pronipote mi richiamò, mentre stavo
per avviarmi alla mia tuta spaziale e quindi involarmi:
- Zio Oreste, lasciaci almeno la tua salma, se sei puro spirito. Mi
voltai:
- Neppure quella. Sulla vostra Terra si decomporrebbe e marcirebbe.
Sul nostro Marte resta intatta e viva, quasi immortale. Semmai dedicatemi
un cenotafio. Tu, Cesare, valente professore di latino e greco, sai
che cenotafio viene dal tardo latino, e questo dal greco, e significa
tomba vuota, ma degna di memoria e funebre ossequio. Un cenotafio
edificato nel, voglio dire, nostro bel cimitero magliese dalla fronte
neoclassica e il timpano triangolare, con in mezzo il serpente che
si morde la coda, che è l'uroboro della tradizione alchemica.
Ad alleggerire l'acre gravezza di questa storia rammenterò
un test personale sulla mirabile efficacia dello zolfo infernale,
alleato del magnesio, "che brucia all'aria con fiamma vivissima".
Uno dei giorni del mio decennio parmense, dove mi educai alla polis
e inventai l'ispanismo italiano, ci capitò una domestica del
contado, grassa e rubizza; a fatica si arrampicava sulla scala, affannando,
le gambacce irte di nodose vene varicose. Subito le imposi il regime
del sale inglese e rinacque alla vita, rapida e snella. Si presentò
la prima mattina della cura, sconvolta e torva, quasi urlando:
- Al su sel l'ha ma pran fottü ("Il suo sale mi ha molto...").
Unica frase che mi è rimasta impressa di quel plastico e iconico
vernacolo, a parte vocaboli osceni e gustosi di quella pingue cucina.
Così ritorno alle acque sulfuree del principio di questo racconto...
SIMEONE
(Per copia conforme, Oreste Macrí)