Il sistema interferon
- scrive Dianziani - è costituito da proteine prodotte dall'organismo
in risposta a vari stimoli esogeni (virus, batteri, cellule eterologhe)
ed endogeni (citochine, fenomeni autoimmunitari). Inizialmente identificato,
circa 33 anni fa, come meccanismo difensivo verso le infezioni virali,
il sistema interferon ha in seguito dimostrato di possedere anche
altre attività: antitumorale, immunomodulante, differenziatrice,
ecc. (F. Dianziani, Aggiornamento Medico, n. 7, 1990).
Costituiscono il sistema tre famiglie di Interferoni (IFN):
a) l'alfa, leucocitario o linfoblastoide;
b) il beta o fibroblastico;
c) il gamma, prodotto dai linfociti in collaborazione con i macrofagi.
L'articolo, circoscritto al loro impiego nella cura delle epatiti
croniche virali (ECV), mi viene suggerito dal loro esteso, e non sempre
giustificato, uso, dai risultati discordanti, dai non pochi effetti
collaterali indesiderati (Tab. 1), dalla frequenza delle recidive,
dalla durata e dall'alto costo del trattamento; dal rapporto, quindi,
costi/benefici.
Premesso che il loro impiego è precluso per la cura delle epatiti
virali acute, gli IFN trovano indicazione nelle ECV: B-C e D ed, ovviamente,
nelle reciproche coinfezioni o superinfezioni.
Dico subito, come ho sottolineato altrove (Epatite virale C, Il Leccio,
n. 8-9-10, Anno II), che con la conferma, grazie a marker specifici,
della epatite C (già NANB), la complessa sistematica eziologica
delle epatiti virali non è da ritenersi definita e definitiva,
non potendosi, a priori, escludere l'esistenza di altre forme, col
chiarimento di quei casi nei quali tutti gli attuali marker sieroimmunologici
si rivelano negativi. A meno che non si voglia ipotizzare la presenza
di casi di epatite virale B (HBV), C (HCV) e D (HDV) nei quali le
correnti indagini bioumorali non siano sufficientemente sensibili
per definirle, mentre altre più affinate e sofisticate potrebbero
riuscirci.
Ritenuto inefficace, allo stato attuale, l'impiego di farmaci antivirali
(adenosina-arabinoside, aciclovir, acicloguanoside, ecc.) e corticosteroidei
(questi ultimi solo in situazioni eccezionali e per breve durata giustificati)
gli IFN costituiscono, oggi, la sola arma terapeutica anti-ECV.
I protocolli terapeutici, sulla base dei risultati, non omogenei né
esaltanti, da vari AA. e con sperimentazioni multicentriche conseguiti,
sono da programmarsi tenendo conto del tipo di IFN, dell'età,
del sesso, delle condizioni generali e dello stato immunitario dei
singoli pazienti, della situazione ed evoluzione del danno epatico,
degli indici ematosieroimmunologici ed istologici, escludendo dal
trattamento le forme di cirrosi conclamata e quelle in cui siano presenti
autoanticorpi antinucleo, anti-mitocondri epato-renali, antimuscolo
liscio, espressioni di una forma autoimmune.
Il medico più che di IFN estrattivi dispone di quelli ricavati
dalla bioingegneria con la tecnica del DNA ricombinante.
Da sottoporre a trattamento interferonico sono le forme di ECV:
a) la HBsAg-positiva e quelle HBeAg ed HBV-DNA positive, con ipertransaminasemia,
espressione di una attiva replicazione virale.
Le dosi di IFN (attualmente il più usato è l'alfa-ricombinante)
raccomandate variano a secondo della tollerabilità, della situazione
istologica e sieroimmunologica, ed oscillano dai 5 ai 10 MU, tre volte
la settimana sottocute o intramuscoli) per almeno 12 settimane, ma
non oltre un anno; a meno che non si verifichi prima la sieroconversione
dell'HBeAg in anti-HBe, con pressoché contemporanea negativizzazione
dell'HBV-DNA e della normalizzazione delle transaminasi.
Se l'infezione-malattia è in fase inoltrata, con reperto istologico
di incipiente cirrosi, le dosi del farmaco sono da ridursi da 1 a
5 MU, sempre tre volte la settimana, monitorando gli indici bioumorali
e sospendendo il trattamento qualora essi entro tre mesi risultassero
invariati o incrementati.
b) la HCV, con anti-HCV e HCV-RNA presenti, accompagnati da ipertransaminasemia.
La difficoltà di rilevazione del RNA può essere ovviata
con l'utilizzo della polymerase chain reaction (PCR), la cui presenza
e titolo sono espressione della minore o maggiore attività
replicativa virale. i cicli, le dosi e la durata del trattamento sono
sovrapponibili a quelli raccomandati per l'HBV.
Il monitoraggio degli indici ematosieroimmunologici e, sporadicamente,
istologici, saranno di guida per l'ulteriore comportamento.
Prudenza e giudizio esigono la sospensione quando gli effetti collaterali
indesiderati (prima che diventino irreversibili), la scarsa tollerabilità,
la prolungata inefficacia ed il carattere recidivante della malattia
dovessero caratterizzarne il decorso.
c) la HDV, in coinfezione obbligata con la HBV (essendo il delta un
virus cosiddetto 'difettivo'). Le dosi consigliate sono di 9 MU, tre
volte la settimana, per 6-12 mesi, sempre con monitoraggi ripetuti
dei valori ematosieroimmunologici.
"La valutazione dell'efficacia della terapia con IFN nell'HDV
- scrivono Demartini e coll. - si basa principalmente su due parametri:
1) attività di malattia quantificata mediante le transaminasi
sieriche (ed in alcuni casi con l'istologia epatica);
2) replicazione dell'HDV quantificata dall'HDV-RNA nel siero e/o mediante
l'espressione delI'HDAg nel siero e nel fegato.
Una remissione completa è generalmente definita con ritorno
delle Alt sieriche a livelli normali con scomparsa della flogosi epatica,
scompasa dell'HDV-RNA dal siero e dell'HDAg dal fegato" (A. Demartini
e coll., Aggiornamento Medico, n. 4, 1993).
L'effetto, i dosaggi e la durata della terapia possono essere condizionati
dalla presenza dell'HBsAg e dal periodo impiegato per la sua sieroconversione
in anti-HBs.
Per ottimizzare la risposta degli IFN nei singoli pazienti trattati
ci si può avvalere di alcuni test specifici: la determinazione
dell'attività dell'enzima oligoadenilatosintetasi, dei linfociti
'natural killer' o del dosaggio della neopterina sierica.

I motivi che possono lasciare perplessi o indecisi nell'intraprendere
un trattamento interferonico nelle ECV possono sintetizzarsi:
a) Nella disomogeneità dei risultati da vari AA. e con sperimentazioni
multicentriche conseguiti, tanto da far dire a Bonino: "Le numerose
casistiche sino ad oggi raccolte presentano situazioni sperimentali
molto variegate che rendono difficile la definizione di rigidi schemi
protocollari. E' necessario pertanto concordare collegialmente, fra
gli addetti ai lavori, dei trial comparativi che valutino l'efficacia
e la tollerabilità di schemi diversi per posologia, ritmo e
durata del trattamento" (E Bonino al Meeting Internazionale sull'Epatite
C, Venezia, luglio 1992).
b) La messe degli effetti collaterali indesiderati. Per non ingenerare
affrettati e, forse, ingiustificati allarmismi, essi (elettivamente
quelli elencati nel primo e secondo gruppo della Tab. 1) se non sono
da sopravvalutare, non si può neppure minimizzarli, condizionando
e responsabilizzando il medico in opzioni non sempre di agevole impostazione
e soluzione.
La loro possibile insorgenza dovrà indurre il medico ad una
oculata attenta sorveglianza con frequenti (specie agli inizi della
terapia) monitoraggi ematosieroimmunologici (ed eventualmente istologici
diradati), anche se alcuni di essi indaginosi, e di non routinaria
esecuzione e molto sofisticati.
c) Non è infine da escludersi che la inefficacia della terapia
interferonica possa essere indotta, paradossalmente, dalla formazione
di autoanticorpi anti-IFN, con aggravamento della sindrome clinica
per il viraggio da una forma infettiva in una autoimmune.
Se gli IFN costituiscono l'unica arma oggi a disposizione del medico
per ostacolare, ritardare o annullare l'azione patogena dei virus
epatitici, èonesto riconoscere che il problema terapeutico
delle ECV rimane aperto ad altre possibilità.
E' mia convinzione che saranno dei farmaci antivirali, in o non associazione
agli IFN, a determinarne il miglioramento e/o la guarigione, anche
perché utilizzabili nelle fasi acute e nelle riacutizzazioni
della infezionemalattia virale.
E' infine a dirsi che volendo affrontare il problema alle sue radici,
gli studi, le ricerche e, soprattutto, la bioingegneria devono puntare
alla preparazione di vaccini specifici, monopolivalenti, per una immunoprofilassi
di massa.
I frutti della vaccinazione obbligatoria antiHBV non tarderanno ad
essere colti!