§ POLITICA DEI REDDITI

VINCE SE C'È RISCHIO




Innocenzo Cipolletta



L'Italia è ancora alla ricerca di una politica dei redditi e il lungo negoziato tra Governo e parti sociali ha testimoniato delle difficoltà e incertezze nel definire un modello. Due concetti di politica dei redditi si confrontano e appaiono poco conciliabili tra di loro. Il primo, quello più conosciuto perché sperimentato in vari Paesi, come il Regno Unito negli anni '70 o la Francia delle prime esperienze socialiste, si basa su una forte proceduralizzazione, fatta di premi e punizioni che scattano più o meno automaticamente al prodursi di specifici risultati.
Le parti concordano specifici comportamenti in materia di prezzi, salari, tariffe, imposte, e tali comportamenti vengono sanzionati o premiati ex post sulla base delle risultanze effettive. Se i salari crescono più del concordato, interviene una politica fiscale restrittiva che riduce i redditi dei lavoratori e trasferisce sussidi alle imprese. Se, invece, i prezzi crescono più dei salari e comunque più di quanto stabilito, le imprese rialzano i salari attraverso conguagli o riallineamenti dei livelli salariali, e così via.
Questa impostazione si basa sul principio che sia sufficiente che tutti rispettino gli impegni perché i risultati macroeconomici siano certi: essa è figlia di una certa impostazione meccanicistica e deterministica del funzionamento di un sistema economico. In tale impostazione, si presume che gli scostamenti siano rari o impossibili, sicché si accede volentieri a un complicato sistema di premi e punizioni, sicuri che tale sistema non scatterà mai, mentre darà quella sicurezza alle parti sociali, ritenuta necessaria per indurle a comportamenti coerenti. L'esperienza del passato ha mostrato ampiamente i limiti di questa impostazione, su cui è caduta costantemente la sinistra europea, dai laburisti inglesi alle prime esperienze dei socialisti francesi.
Voler anticipare e assicurare ex ante i risultati, che un sistema economico e sociale produce ex post come composizione di comportamenti liberi e autonomi pur se volti a obiettivi comuni, è un procedimento tanto ingenuo quanto pericoloso.
Se le parti sociali perdono il rischio e vengono garantite nei loro risultati da meccanismi più o meno automatici, allora nessuno ha più interesse al rispetto dei comportamenti, pena la perdita dei benefici della garanzia a fronte del rischio che nella media le posizioni dei singoli siano penalizzate: le imprese aumenteranno i loro prezzi scontando in anticipo di dover pagare dei conguagli o riallineamenti (così com'era stato per la scala mobile); i lavoratori pretenderanno aumenti salariali più elevati per premunirsi da imposizioni fiscali crescenti e da un'inflazione che sarà comunque più alta.
Nessuno avrà interesse al rispetto dei comportamenti, perché preferirà affidarsi al meccanismo di riequilibrio, sicché ci sarà una attesa e una speranza che certi obiettivi non vengono rispettati, al fine di poter beneficiare dei reintegri. Posto che tali reintegri sono basati comunemente su meccanismi automatici o contrattuali che scattano quando certi indicatori statistici superano certi livelli, è facile capire che tali indicatori assumono un'importanza tale da costituire vero e proprio terreno di scontro politico.
L'indice dei prezzi e dei salari assumerà una dimensione politica e sarà sorvegliato a vista; nessuno si riconoscerà nelle "medie alla Trilussa" e ognuno penserà di essere stato ingannato; il Governo sarà tentato dai soliti trucchetti degli anni passati, giocando sulle tariffe e sui prezzi amministrati, con il risultato di distorcere il mercato e di apportare gravi danni alle finanze degli enti pubblici che forniscono servizi (elettricità, gas, trasporti) e quindi alla finanza pubblica; la statistica non sarà più uno strumento neutro volto a misurare in maniera necessariamente approssimativa una realtà di difficile definizione, ma sarà essa stessa strumento di politica economica che incide sulla realtà, con buona pace della conoscenza e dell'informazione, e rendendo così un ben cattivo servizio al nuovo presidente dell'Istat.
Tale modello di politica dei redditi è ormai superato; i Paesi industriali si affidano a nuovi schemi, ove non esistono verifiche ex post, ma dove l'esistenza del rischio tra gli attori sociali e la perseveranza nei comportamenti del Governo rappresentano gli strumenti necessari e sufficienti a garantire comportamenti medi coerenti con i risultati che si vuole conseguire.
In questo modello è essenziale la stabilità nel comportamento del Governo che informa le parti sociali sulla politica monetaria e fiscale che intende seguire. Tale politica disegna il quadro nel quale si collocano i comportamenti delle parti sociali, consapevoli che incrementi eccessivi di prezzi e di salari determinano perdite di competitività per le imprese e perdite di occupazione per i lavoratori.
Il massimo dell'informazione e il ripetersi nel tempo di una stabilità nella politica del Governo formano quella "reputazione" necessaria per garantire le parti sociali che eventuali scostamenti non comporteranno aggiustamenti nelle politiche, sicché variazioni eccessive di prezzi e di salari non implicheranno una maggiore crescita della moneta, ma porteranno maggiori tassi d'interesse; mentre una politica fiscale volta a mantenere comunque determinati obiettivi diventerà di fatto più restrittiva se calata in un processo di maggiore inflazione.
Le parti sociali saranno cosi costrette a comportamenti più virtuosi, proprio dall'assenza di reti di salvataggio e di garanzie fatte da verifiche ex post, volte a modificare politiche economiche o a generare trasferimento di reddito; modifiche che, proprio perché insite nel modello di politica dei redditi, rendono instabile la politica del Governo e, quindi, inefficace la sua azione. Un tale modello di politica dei redditi ha funzionato in Italia nel 1992-'93: la fine della scala mobile ha tolto il meccanismo di salvaguardia ex posi che riallineava i salari all'inflazione; la Banca centrale ha mantenuto la crescita della moneta entro il percorso stabilito, indipendentemente dalle vicende in atto; il Governo ha mantenuto l'obiettivo di contenimento del disavanzo pubblico; le imprese hanno contenuto i loro prezzi per tema di perdere di competitività; le famiglie hanno resistito all'aumento dei prezzi riducendo e selezionando i consumi, posto che non avevano più la certezza di vedere reintegrati i loro redditi.
Questo è stato il piccolo miracolo del 1992-'93. Un piccolo miracolo che testimonia dell'esigenza di abbandonare gli schemi di politica dei redditi fatti di verifiche, riallineamenti, conguagli, premi e punizioni fiscali ad personam.
Né vale sostenere che, nel passato, i salari sono sempre cresciuti più dell'inflazione, sicché si possono accettare tutte le verifiche e le promesse di reintegro del potere d'acquisto, in caso di riduzione, caso che tanto non si produrrà mai: un conto è verificare ex post che in media il salario reale cresce sempre (com'è giusto in ogni Paese che vuole svilupparsi); un conto è assicurare ex ante un tale risultato prevedendo meccanismi di aggiustamento e riallineamento, perché in questo secondo caso lo stesso risultato finisce per essere conseguito attraverso una ben più alta inflazione, come la lunga storia della scala mobile italiana dovrebbe avere insegnato.


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