§ INDUSTRIA BANCARIA ITALIANA

DIVERSIFICAZIONE E NUOVE SOLUZIONI




Gaetano Rucco



1. Descrizione dello scenario
I continui e repentini cambiamenti registrati nell'industria bancaria determinano un cambiamento del modo di "essere banca" (1). Questa nuova filosofia è sentita soprattutto dagli intermediari creditizi operanti all'interno della Comunità Europea, che con il Mercato unico devono affrontare un'agguerrita concorrenza straniera, ma anche in ambito OCDE a cagione delle relazioni e dei legami commerciali e finanziari esistenti (2).
Nel nostro Paese, in particolare, il settore bancario che per decenni si è caratterizzato per un forte schematismo mirato alla solidità complessiva del sistema e solo marginalmente scosso dal venticello concorrenziale, ha registrato negli ultimi tempi dei significativi cambiamenti, quali:
- crescente connessione tra categorie di intermediari finanziari
- ampliamento dei prodotti finanziari offerti ad una clientela sempre più esigente e sofisticata;
- ingresso della tecnologia nel processo produttivo bancario;
- deregulation;
che hanno intensificato le tensioni concorrenziali.
A proposito di deregulation, la Banca d'Italia ha di recente modificato la propria azione di vigilanza, facendo ampio ricorso ad operazioni di mercato aperto in luogo di strumenti diretti di controllo creditizio, liberalizzando l'apertura di nuovi sportelli, introducendo i coefficienti patrimoniali minimi obbligatori per lo svolgimento dell'attività bancaria (3)
La diffusione delle innovazioni tecnologiche nel mondo bancario ha facilitato un processo di standardizzazione ed automazione del sistema dei pagamenti e, più in generale, ha prodotto un cambiamento nel "rapporto tra i fattori produttivi a vantaggio dell'input capitale" (4).
Il sistema bancario italiano, nel suo insieme, soffre il fenomeno della disintermediazione causato dall'ingresso nel mercato di nuovi operatori, dalla sempre crescente trasparenza nei confronti della clientela (5) dalla stessa tecnologia, dai cambiamenti nelle preferenze e nei gusti della domanda sempre più orientata verso i servizi di consulenza, di mediazione, di nuove forme di finanziamento. L'azione congiunta di questi fattori ha provocato una progressiva riduzione della quota di mercato delle tradizionali operazioni bancarie, facente capo al complessivo sistema bancario.
Il prodotto bancario tradizionale, infatti, è ormai entrato nella fase di maturità del suo ciclo di vita, caratterizzata da una contenuta crescita della domanda e da una intensa concorrenza tra gli operatori per la difesa delle rispettive posizioni. Alcuni autori sostengono che le possibilità di crescita e di redditività per le banche non devono essere cercate nell'area di affari tradizionale, bensì entrando in nuove promettenti aree d'affari (6).
Il risultato dei processi di ristrutturazione e razionalizzazione nel settore rappresenta la nuova visione strategica delle banche, orientata oggi principalmente ai problemi dell'offerta (7), sicché il problema della diversificazione diviene, allora, centrale: per le piccole banche, impegnate in genere in un confronto competitivo sul mercato domestico che non consente di raggiungere una competitività di costo di produzione, è indispensabile per la sopravvivenza; per le maggiori banche, che sui mercati internazionali devono affrontare le banche straniere di grandi dimensioni e dotate di tecnologia d'avanguardia, per ottenere il successo.
Da ciò deriva che "la diversificazione diviene comunque la principale scelta strategica delle banche nello scenario futuro" (8).

2. Il concetto di diversificazione
La diversificazione può essere genericamente definita come "produzione di beni o servizi appartenenti a settori o a comparti diversi, ovvero ... dispersione delle operazioni produttive d'impresa in attività dissimili. Si ha la diversificazione allorché un impresa "si imbarca" nella produzione di prodotti quel tanto diversi da quelli precedenti da comportare variazioni nei programmi di produzione e di distribuzione" (9).
Il processo di diversificazione porta alla creazione di portafogli di unità strategiche di affari, chiamate a presidiare le diverse aree di operatività.
L'impresa si mostra, quindi, come un portafoglio di binomi prodotto-mercato.
Fattori essenziali di valutazione della diversificazione sono:
- attrattività del business, sotto il profilo della crescita e della profittabilità delle unità d'affari considerate;
- creazione di sinergie, tra le dissimili unità d'affari;
- riduzione del rischio, assicurato dal mix di attività in portafoglio;
- equilibrio finanziario, garantito da un bilanciamento del cash flow in quanto le diverse attività generano differenti flussi di cassa.
Dalla eterogeneità dei business presenti in un portafoglio diversificato si originano le economie di costi da produzione congiunta (scope economics), in quanto i business, sebbene eterogenei, sfruttano alcuni fattori produttivi comuni (commonalities), che generano economie di costo.
Si registra così una diminuzione dei costi unitari medi in seguito all'intensità di sfruttamento "trasversale" delle risorse, cioè attraverso le linee di prodotto (10).
Come è stato osservato, la determinazione della dimensione ottima e della scala produttiva che permette un completo sfruttamento delle economie di scale e/o di diversificazione, è assai importante nell'industria bancaria italiana per due ordini di ragioni: innanzitutto per il ruolo primario svolto dal mondo bancario nell'intermediazione di flussi finanziari dell'economia, e poi per il ruolo delle banche locali nello sviluppo delle attività finanziarie (11).
Nelle banche maggiori la diversificazione è congiunta a considerazioni di efficienza e di redditività: per quanto concerne la prima, la diversificazione può consentire un migliore impiego delle capacità produttive della banca; sotto il profilo reddituale, invece, con il processo considerato si può aumentare l'aliquota di profitti proveniente da commissioni, provvigioni ed altri ricavi per servizi prestati alla clientela (12).
Il problema della diversificazione del portafoglio di attività tocca anche le banche cosiddette minori. Tra queste, alcune scelgono una specializzazione in una nicchia di mercato, a cui fornire prodotti ad alto valore aggiunto; altre, a causa della modesta operatività al dettaglio, entrano in contatto con un numero limitato di clienti.
Il dilemma, per queste banche, è se rimanere con una modesta gamma di prodotti, per lo più tradizionali, o ampliare il proprio portafoglio di attività mediante la diversificazione.
Alcuni studi enfatizzano il vantaggio competitivo delle banche "regionali" grazie alla efficienza della rete territoriale, che permette un contenimento dei costi unitari, e di diversificazione; si ritiene, infatti, che alle possibilità di diversificazione del portafoglio prestiti su scala regionale, per abbassare il livello di rischio su fidi (13).
La determinazione delle economie di scopo si fonda sulla nozione marshalliana di produzione congiunta, ma può anche essere spiegata con riferimento alla complementarità di costo.
Il calcolo si scontra con la disponibilità di strumenti analitici sofisticati e con la puntuale definizione di produzione bancaria, che può essere analizzata secondo due diversi approcci.
L'approccio "produzione" considera output tutto ciò che richiede l'utilizzo dei fattori produttivi: conseguentemente rientrano tra gli outputs i depositi e gli impieghi.
L'approccio "intermediazione" considera invece la trasformazione di passività liquide in attività finanziarie, con diversa scadenza e rischio creditizio: in tale circostanza gli inputs sono costituiti dal capitale, dal lavoro, dai fondi, mentre gli outputs del processo sono gli impieghi ed i servizi non direttamente collegati all'intermediazione creditizia (14).
La disponibilità di strumenti analitici sofisticati influenza le verifiche empiriche, anche straniere, dell'esistenza di economie non esistano economie di diversificazione globali, ma solo di diversificazione di prodotto specifico.
Al riguardo Gilligan e Smirlock riscontrano una complementarità di costo tra depositi a vista e a scadenza. nonché tra attività in titoli ed offerta di prestiti; Kolari e Zardkoohi ritengono invece che esista una complementarità di costo nella produzione congiunta di prestiti e depositi (15).
Per gli autori italiani le ricerche empiriche danno risultati non univoci in quanto Landi verifica l'esistenza di costi complementari solo ipotizzando che la produzione separata degli outputs richieda una duplicazione della rete di sportelli, mentre Cossutta ed altri provano l'esistenza di economie di diversificazione con riguardo all'intera gamma di prodotti, solo per le banche maggiori.
Il comportamento dei costi della rete di vendita, variabili in un'ottica di estensione dimensionale, e la succedaneità dei prodotti bancari che permette un impiego ottimale delle risorse disponibili, sono tra le numerose determinanti della diversificazione di portafoglio. In tal senso il processo di diversificazione liberando economie di scopo. permette alle banche maggiori di raggiungere livelli competitivi superiori, rispetto alle banche fortemente specializzate.

3. Separazione tra produzione e distribuzione
La diversificazione strategica porta con sé problemi di natura organizzativa, che riguardano la banca tradizionale la quale si poggia su una struttura organizzativa di tipo funzionale, tipica di un'azienda fortemente integrata verticalmente, che però mal si concilia con un processo di diversificazione (16).
Le strategie delle banche più attive sono oggi imperniate sui concetti di efficienza operativa, di efficacia competitiva, di flessibilità organizzativa, che spingono verso l'accantonamento del modello classico di banca per l'adesione a nuove forme organizzative, in grado di valorizzare le capacità distintive di ogni azienda. Cambia anche il concetto di dimensione bancaria che, superata l'idea fisico-dimensionale, si identifica con la "capacità di controllo dell'area di affari", intesa soprattutto nel senso della capacità di influire sulle relazioni competitive tipiche di quella area di affari" (17).
L'ampliamento del portafoglio di business di una banca non è infatti legato alla sua crescita dimensionale, in quanto il controllo di un'area d'affari non è più necessariamente imputabile ad un unico soggetto compiutamente integrato.
La vecchia concezione di una banca produttrice e distributrice solo dei propri prodotti può giustificare la tesi che solo le grandi dimensioni possano consentire una politica di diversificazione, nel rispetto degli standards competitivi imposti dai concorrenti. Si determina così l'abbandono di una visione della banca produttrice-distributrice, per abbracciare l'idea di specializzazione distributiva o produttiva che dà nuova linfa vitale alla condotta delle imprese bancarie (vedi fig. 1).
In quest'ottica il ricorso al network costituisce una soluzione al problema dell'efficacia competitiva, in presenza di diversificazione, di efficienza operativa e di flessibilità organizzativa.
Più in generale, le collaborazioni interaziendali nel mondo bancario sono anche dettate da vincoli normativi che, nel nostro Paese, impongono la formazione di gruppi plurifunzionali.
L'adesione al network permette alle banche minori di accrescere la dominanza distributiva locale o presso alcuni segmenti di clientela, migliorando la propria competitività con l'offerta di prodotti di terzi che sarebbe impossibile produrre autonomamente.
Anche le grandi banche conseguono dei vantaggi competitivi con il network, sfruttandone la caratteristica flessibilità organizzativa per i frequenti riposizionamenti negli affari, mediante una combinazione dei processi produttivi e distributivi; esse possono specializzarsi, inoltre, nel ruolo di produttori all'ingrosso di servizi bancari, da vendere al dettaglio attraverso la rete territoriale delle banche minori aderenti al network.

4. Il network bancario
Come si è detto la politica di diversificazione delle imprese bancarie dev'essere accompagnata da un rinnovamento della struttura organizzativa, che altrimenti rimane un autentico punto debole delle nuove strategie aziendali, da ricercarsi con un'attenta verifica e quantificazione del grado di eterogeneità del portafoglio di business della banca, in quanto ogni attività richiede un'organizzazione dedicata (18).
La struttura organizzativa di tipo funzionale appare largamente inadeguata per affrontare le nuove sfide competitive del settore bancario che, secondo la logica della structure fellows strategy, richiedono modelli organizzativi multidivisionali, per rimanere all'interno dell'azienda, oppure al suo esterno, di gruppo aziendale o di network.
Il network bancario, che vede due o più imprese stabilire delle relazioni di lungo periodo, si basa sulla divisione del lavoro tra i partners e sullo scambio reciproco.
La divisione del lavoro permette di valorizzare le capacità distintive delle imprese, come tecnologia di processo e di prodotto, mercato servito, immagine, know-how posseduto, ed un'acquisizione privilegiata di risorse complementari, fornite dalle strutture economiche partecipanti al network. Quest'ultimo modello, che si sta sempre più diffondendo nella realtà italiana, impone un'attenta selezione dei partners ed una puntuale definizione dei relativi posizionamenti strategici, al fine di creare sinergie, efficienza ed abbassamento dei rischi su prestiti (19).
Un'aggregazione tra banche dipende da numerosi fattori, tra i quali:
- l'oggetto della collaborazione, ossia il nuovo business, il nuovo mercato geografico o la esternalizzazione di alcune funzioni aziendali;
- la natura dell'aggregazione, di puro scambio di competenze o con acquisizioni di partecipazioni al capitale di minoranza;
- la tipologia dei partners coinvolti;
- il ruolo dell'eventuale banca guida (focal firm).
Nella realtà la creazione di un network bancario, malgrado sia suggerita dalla paritetica collaborazione tra i partners, è generalmente accompagnata dall'acquisizione di partecipazioni minoritarie in banche captive.
- La Cariplo, primaria banca italiana d'origine regionale, ha potenziato la sua presenza in Italia centrale mediante la creazione di un network con Otto Casse di Risparmio di Marche, Lazio, Umbria ed Abruzzi. Per dare solidità al network ha promosso la costituzione di una holding, a cui è stata assegnata la missione di coordinare e pianificare le attività delle stesse Casse, al fine di migliorarne la competitività.
Il network, che ha in Cariplo la focal firm, è composto dalle Casse di Rieti, Fermo. Spoleto Perugia, Jesi, Teramo, Pescara e Terni-Narni, in cui la banca milanese ha acquisito, in precedenza, quote azionarie di minoranza significativa (20).
Il network, che si presenta come forma intermedia tra una completa mercatizzazione e gerarchizzazione delle strutture organizzative, può eliminare il germe dell'instabilità solo grazie alla convergenza degli obiettivi tra i partners, alla condivisione dei valori, fino alla nascita di una vera e propria logica di clan.
Le disuguaglianze che seguono (21) mostrano la convenienza della partecipazione ad un network:
PNW + CTNW <CI;
PNW + CTNW < PM + CTM.
dove:
PNW è il prezzo del bene o servizio pagato nel medio periodo al fornitore del network;
CTNW sono i costi di transazione all'interno del network;
CI rappresenta i costi di produzione interna del bene o servizio;
PM è il prezzo di mercato;
CTM sono costi di transazione sul mercato.
Solo quando per un bene o servizio l'acquirente, all'interno del network, paga una somma inferiore all'autoproduzione o all'acquisto sul mercato, è conveniente partecipare all'iniziativa.
Il network costituisce quindi un'efficace soluzione organizzativa della politica di diversificazione, sia per le grandi che per le piccole banche, in quanto consente di entrare in nuovi segmenti di mercato, di penetrare altre aree geografiche, di ampliare il portafoglio prodotti, di acquisire risorse e competenze specifiche, grazie ad una modalità di funzionamento che si fonda sulla relazione, quale strumento fondamentale di interazione e di coordinamento delle imprese coinvolte.
Il network è in grado di assicurare alle banche partecipanti la sopravvivenza e lo sviluppo nel lungo periodo, e con la sua flessibilità permette, in un ambiente turbolento, di ottenere dei vantaggi competitivi.
Nel settore bancario, caratterizzato dalla fiducia del cliente verso la banca e dall'impiego massiccio di tecnologia e informazione, il network può essere la soluzione ai problemi di produzione e/o distribuzione di servizi diversificati.
- Dodici piccole banche popolari italiane (Banca agricola popolare di Ragusa, Banca Cooperativa Valsabbina, Popolare della Murgia, Banca di Credito popolare di Torre del Greco, Banca di Piacenza, Popolare di Crotone, Popolare dell'Alto Adige, Popolare Friuladria, Popolare Pesarese e Ravennate, Popolare Sud Puglia, Popolare Udinese e Credito Valtellinese) hanno creato il Network bancario italiano, che è composto da una holding (Nbi), dalle sue partecipate e dalle stesse banche.
Il compito di Nbi è di elaborare ed implementare le strategie del network mediante l'accentramento di alcune attività, come la pianificazione, la finanza, il corporate banking, il marketing, svolgere inizialmente alcune attività strumentali. Con Nbi le banche popolari, pur conservando la loro autonomia, intendono affrontare le sfide dell'Europa unita e della deregulation bancaria (22).


NOTE
1) Cfr. V. Conti, M. Maccarinelli, La scelta de/la dimensione ottimale nelle banche: aspetti teorici e riscontri empirici, in Banca Impresa Società", n. 3, 1991.
2) Negli LSA la crisi delle Saving and Loans e il declino del sistema finanziario americano a livello mondiale hanno messo in discussione il Glass-Steagall Act e le regole di interstate branching.
3) Cfr. C. Bisoni, Processi di crescita de/le aziende di credito: dimensioni e diversificazione, in "Banca Impresa Società", n. 2, 1989.
4) Cfr. D. Baldini, A. Landi, Economie di scala e complementarità di costo nell'industria bancaria italiana, in "L'Industria", n. I, gennaio-marzo 1990.
5) Cfr. C. Bisoni, op. cit., 1989.
6) Cfr. P. Mottura, Politiche di diversificazione e gruppi plurifunzionali, in "Banca Impresa Società", n. 2, 1989.
7) Cfr. V. Conti, M. Maccarinelli, op. cit., 1991.
8) Cfr. P. Mottura, op. cit., p. 172, 1989a.
9) Cfr. G. Panati, G. Golinelli, Tecnica economica industriale e commerciale, La Nuova Italia Scientifica, p. 354, 1988.
10) Cfr. P. Mottura, op. cit., p. 174, 1989a.
11) Cfr. D. Baldini, A. Landi, op. cit., 1990.
12) Cfr. C. Bisoni, op. cit., 1989.
13) Cfr. A. Landi, Dimensioni, costi e profitti delle banche italiane, Il Mulino, 1990.
14) Cfr. D. Baldini, A. Landi, op. cit., 1990.
15) Cfr. C. Conigliani, R. De Bonis, G. Motta, G. Parigi, Economie di scala e di diversificazione nel sistema hancario italiano, in 'Banca d'Italia, Temi di discussione", n. 150, 1991
16) Cfr. P. Mottura, Prohlemi attua/i di strategia nell'attività bancaria, in "Banche e Banchieri", n. 4, 1989.
17) Cfr. A. Carretta, G. Forestieri, P. Mottura, Gli aggregati di operatori bancari e finanziari nell'esperienza italiana, in R. Fiocca, (ed.), Imprese senza confini, Etas, 1987.
18) Cfr. P. Mottura, op. cit., p. 174, 1989a.
19) Cfr. C. Bisoni, op. cit., p. 225, 1989.
20) Cfr. Il Sole-24 Ore del 10 dicembre 1992.
21) Cfr. P. Mottura, op. cit., p. 260, 1989b.
22) Cfr. Il Sole - 24 Ore del 2 dicembre 1992.

Bibliografia
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CARRETTA A., FORESTIERI G., MOTTURA P., Gli aggregati di operatori bancari e finanziari nell'esperienza italiana, in R. Fiocca, (ed.), Imprese senza confini, Etas, 1987.
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CONTI V., MACCARINELLI M., La scelta della dimensione ottimale nelle banche: aspetti teorici e riscontri empirici, in Banca Impresa Società, n. 3, 1991.
COSSUTTA D., DI BATTISTA M.L. , GIANNINI C., URGA G., Processo produttivo e struttura dei costi nell'industria bancaria italiana, in F. Cesarini, M. Grillo, M. Monti, M. Onado, (ed.), Banca e Mercato, Il Mulino, 1988.
GILLIGAN T., SMIRLOCK M., An Empirical Study of Joint Production and Scale Economies in Commercial Banking, in Journal of Banking and Finance, n. 8, 1984.
IL SOLE-24 ORE, "Nascerà a gennaio la holding di Network bancario", 2 dicembre 1992.
IL SOLE-24 ORE, "Le Casse del Centro Italia varano il progetto holding", 10 dicembre 1992.
KOLARI J., ZARDKOOHI A., Bank Costs, Structure and Performance, Lexington Books, 1987.
LANDI A., Dimensioni, costi e profitti delle banche italiane, Il Mulino, 1990.
MOTTURA P., Politiche di diversificazione e gruppi plurifunzionali, in Banca Impresa Società, n. 2, 1989a.
MOTTURA P., Problemi attuali di strategia nell'attività bancaria, in Banche e Banchieri, n. 4, 1989b.
PANATI G., GOLINELLI G., Tecnica economica industriale e commerciale, La Nuova Italia Scientifica, 1988.


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