§ CAPITALISMO E SOCIETA'

ELOGIO DEL PURGATORIO




A. B.



I politici italiani hanno meritato (e continueranno per parecchio tempo ancora a meritare) il fastidio degli elettori, la scarsa credibilità, la diffusa voglia dei cittadini di far giustizia di chi ha amministrato il potere senza un limite e senza un minimo di pudore, sostituendo la funzione di servizio con quella del self-service. La pazienza morale di un popolo non è mai sconfinata. Prima o poi, Mani Pulite doveva venir fuori. Solo gli insipienti e i cialtroni potevano ritenere che così non fosse.
Qualcuno ha scritto che purtroppo l'Occidente è governato da simili figuri: stanchi eredi d'una professione male esercitata, poi disimparata, infine sprecata. Il più autentico scandalo rivelato e ingigantito dalle lotte contro la corruzione è stato lo svilimento d'una nobile professione, in Italia soprattutto, per la colpevole resistenza di una partitocrazia inamovibile.
Lo spreco della politica è stato immane. Siamo stati circondati da ladri e da incapaci che hanno sperperato tutto, di tutto e di più, compresa la fiducia dei cittadini. Abbiamo così assistito al naufragio della politica, i cui disastri non sono ancora percepiti nella loro reale portata, ma che già ha radicato nelle nostre coscienze reazioni, comportamenti, condizioni che hanno sommato all'antico cinismo italico una dose massiccia di scetticismo. Già gli individui si guardano l'un l'altro con sospetto, ognuno da dietro il recinto della propria impaurita ma rassicurante tribù, ognuno da dietro il muro del proprio gruppo, della propria etnia, del proprio dialetto, del proprio posto di lavoro, della propria famiglia, sperando solo di non cadere nel vuoto dell'esclusione, della non-visibilità, della non-rappresentatività. Una volta c'era la politica a tenere insieme gli individui, a proteggere il singolo dalla logica di gruppo, che è sempre esclusiva.
C'era la Res Publica a dare pubblicità agli esclusi, e c'era lo Stato a governare una società che per natura non è fraterna, e che diventa società civile solo se le leggi instaurano un equilibrio tra il diritto del singolo e il diritto della società, ovvero del gruppo più forte, maggioritario.
Queste procedure di riequilibrio oggi si sono ingolfate, e neppure le vecchie gerarchie sociali sopravvivono: non esiste più chi sta sopra e chi sta sotto, e in mezzo i sindacati o i partiti "progressisti" o le chiese che mediavano, lenivano le disuguaglianze. Quando si frantuma la politica c'è soltanto chi è dentro la società riconosciuta e chi è irrimediabilmente fuori.
Nella società post-politica governa l'Inquisitore, e non c'è salvezza per chi cade fuori dalla propria impresa, o famiglia, o etnia. Se sei disoccupato, emigrante, ammalato senza mutua, superprecario, non ti vede nessuno, nulla di ciò che fai è Cosa Pubblica, tutto diventa faccenda privata, Cosa Nostra, compreso il territorio che occupi.
Se facciamo un po' di conti, scopriamo che questo territorio ha ormai le dimensioni di una nazione: in Europa occidentale ha 17 milioni di disoccupati e 15 milioni di immigrati, ma tutti sprovvisti di rappresentanza e di bandiera.
Lo si vede nelle periferie francesi, americane, tedesche, ma anche italiane: l'economia dei territori che sfuggono al controllo dello Stato è spesso regolata dalle mafie e dai commerci criminali; la sicurezza è spesso garantita da milizie illegali: in Francia si moltiplicano le ronde islamiche contro i trafficanti di droga.
Di tutto questo gli esecutivi politici sono fortemente responsabili: in Italia, dove la politica è stata sempre debole, e in Occidente.
Ma sono responsabili anche i capi delle rivolte moralizzatrici, convinti come sono sempre stati che il disastro sia fecondo, e convinti come sono (dopo il crollo per autoconsunzione del marxismo-leninismo) che dalla tabula rasa nascerà un capitalismo finalmente depurato dal vizio.
I giustizieri, soprattutto quelli che alla giustizia si sono convertiti all'ultimo minuto, dopo esperienze storiche, politiche ed economiche lunghissime, ed anche crudeli e cruente, hanno spesso un linguaggio apocalittico, e sono persuasi, o fingono di esser persuasi davvero, che i vizi siano eliminabili per sempre: bastano nuove leggi - dicono - basta separare l'economia dalla politica e mettere la società, le cosiddette "forze vive", al posto del vecchio Stato marcescente. I fondamentalisti di Mani Pulite, e insieme con loro gli scampati da Mani Pulite, solo in apparenza coinvolgono "tutta" la società: in realtà, mirano al plotone dei più forti, coinvolgono i "vitali".
Non per niente la società divinizzata dai giustizieri nasce simultaneamente con un'offensiva senza precedenti contro l'idea stessa di un dovere pubblico d'assistenza; non a caso l'indignazione morale contro la classe politica si coniuga perfettamente con un altissimo grado di indifferenza morale verso gli esclusi dalla società.
Nella versione serba, l'operazione si è chiamata pulizia etnica: ma il fine spesso non è diverso: l'obiettivo può essere l'igiene della società, oltre che la sua moralizzazione. La lotta alla corruzione è nello stesso tempo gigantomachia (lotta delle periferie ex contadine, piccolo-industriali, disoccupate, terziarie arretrate) che, non potendo diventare centro, cercano di partecipare allo sviluppo del centro, ma si trovano di fronte all'instaurazione di un darwinismo sociale accentuato. La storia del Sud insegna.
E' su tali basi che il capitalismo va ricostruito e rilegittimato, secondo i giustizieri fondamentalisti: sulla base di una nuova igiene, di una politica che rinuncia alla propria autonomia e scimmiotta il funzionamento dell'impresa; che non si preoccupa di far funzionare i rami deboli, ma minaccia di tagliarli, senza più tante storie.
Si dice: i grandi movimenti contro la corruzione sono nati in Occidente, nell'89, quando crollò il Muro di Berlino e le società civili disfecero anche da noi nomenklature diventate illegittime. Il che è vero, in parte; e in parte anche spiega il successo americano di Ross Perot, francese di Le Pen, italiano di Miglio. Ma fra l'89 e il '93 non è solo caduto il Muro. C'è stata anche la guerra vittoriosa dei serbi contro la Bosnia, e la legittimazione internazionale di un'ideologia che mette il vecchio comunismo al servizio di una purificazione etnica di tipo nazista. E c'è stato, poco prima della caduta del Muro, l'altro evento cruciale della nostra epoca: il massacro di Tienanmen, subito seguito dallo straordinario decollo del capitalismo cinese. Nell'89 a Berlino muore il nemico esistenziale dell'Occidente.
Ma intorno allo stesso periodo nasce un concorrente non meno minaccioso in Cina: un capitalismo che non ha affatto bisogno di libertà e di democrazia. E' un modello d'igiene temibile, perché può essere imitabile. La Cina non decolla "contro" Tienanmen, ma la causa" di Tienanmen, e i capitalisti occidentali che hanno massicciamente investito nel capitalismo rosso lo sanno molto bene: l'immagine del carro armato fronteggiato dallo studente disarmato, trasmessa in tutto il mondo dalla CCN, è un'immagine pubblicitaria della nuova Cina, è un invito a investire nel capitalismo ripulito dalla democrazia, dal sindacato, dalle garanzie sociali. Non è il capitalismo di Adam Smith; è un capitalismo che ha le sue utilità, è il vizio che si rivela utile per molti.
E' istruttivo, in proposito, rileggere la favola delle api, scritta nel 1714 da Mandeville. Nel regno delle api dilaga la corruzione. I politici sono spesso dei delinquenti e i vizi della cupidigia, del lusso, della vanità e dell'orgoglio abbondano. E tuttavia creano anche ricchezza, involontariamente; e concorrono persino al bene pubblico. Tuttavia, un giorno esplode l'indignazione pubblica: l'indignazione morale. E Zeus, indispettito, realizza la "vana utopia": fa tornare l'età d'oro dell'innocenza. Depurato da ogni vizio, l'alveare impoverisce, milioni e milioni di api perdono il lavoro, svanisce il commercio, scompaiono anche le leggi, e la civiltà precipita nel nulla: contenta delle proprie virtù, ma proprio da queste stesse distrutta.
E' la parabola del capitalismo, e ci sono diversi modi di interpretarla: c'è quello di Marx, allora l'alveare apparirà come l'Inferno, da sostituire con il Paradiso, epurato, con i capitalisti in esilio; c'è il modo nazista, e la pulizia diventerà etnica. Ma la favola può interpretarsi anche in maniera tragica: ecco la contraddizione insanabile su cui si basa il capitalismo, ecco un'economia che meglio di altre si adatta alla natura viziosa dell'uomo, ma che proprio per questo ha bisogno di correzioni e di punizioni permanenti. La legge e la giustizia sono spietate nell'alveare di Mandeville: tutti sanno che i vizi creano prosperità, ma non per questo creano indulgenza. Tutti hanno vissuto della corruzione, della concussione, della complicità; ma ora si ergono a giudici implacabili e dichiarano ad alta voce di essere stati umiliati e offesi. In realtà, il capitalismo non è né Inferno né Paradiso. E' umano e sopportabile soltanto se vede i propri errori, se continuamente ascolta quel che Oceano dice a Prometeo Incatenato: "Conosci te stesso". Cioè: è umano e sopportabile soltanto se è Purgatorio. Il Purgatorio non è una condizione definitiva (uno stato), né un approdo finale. E' movimento continuo, è predestinazione al Bene, ma la sua esperienza centrale sono le sofferenze e la colpa. Le Goff ricorda che il Purgatorio nasce verso la fine del XII secolo, quando il Cristianesimo accetta le prime forme di capitalismo (e in particolare una delle sue colpe, l'usura) e prende congedo dalle ideologie apocalittiche dell'Anno Mille, dalle fedi nelle punizioni assolute o nelle assoluzioni totali.
L'invenzione del Purgatorio è un momento di grandissima saggezza del pensiero cristiano e occidentale: è il momento in cui quest'ultimo sembra conciliarsi con la saggezza tragica dell'Ebraismo. Senza Purgatorio l'individuo può oscillare tra due approdi esclusivi: la beatitudine perfetta o l'infelicità definitiva, la virtù totale o il vizio totale.
Allora, il Purgatorio in terra sembra essere l'unico Aldilà che si possa immaginare realizzato sul pianeta, senza poi tanti disastri: è il sogno di un capitalismo dal volto umano, e in quanto tale imperfetto, e dunque perfettibile nei secoli dei secoli. Un capitalismo che tiene le distanze dai fondamentalisti di Mani Pulite, come dai Tienanmen, come dagli ipocriti beneficiari, poi assurti a giudici morali e in non pochi casi anche a carnefici: perché conosce se stesso.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000