§ L'AGRICOLTURA SALENTINA NEL SISTEMA AGRO-ALIMENTARE NAZIONALE

TERRE SENZA FUTURO?




Giulio A. Malorgio



L'agricoltura italiana, ma anche quella europea, si trova ad attraversare una fase di profonda trasformazione. Gli elementi di tale cambiamento sono diversi e numerosi, basti pensare alla riforma della politica agricola comunitaria orientata verso una riduzione sempre più consistente della garanzia dei prezzi agricoli, alla maggiore competitività dei mercati dei prodotti agricoli a livello nazionale ed internazionale, all'espansione delle industrie agro-alimentari e al fenomeno della grande distribuzione. Tali fattori hanno modificato e modificano sempre più i tradizionali criteri produttivi tale da rendere necessario un processo di adattamento sia dal punto di vista strutturale che da quello di mercato.
A tali sollecitazioni come ha reagito l'agricoltura salentina, e quali strade potrà intraprendere per non subire le condizioni del mercato, ma andare al passo con l'evoluzione del sistema agro-alimentare nazionale?

Uno sguardo alla struttura aziendale
Dal punto di vista strutturale, nella lettura del censimento dell'agricoltura, salta all'attenzione un fatto curioso e anomalo. Il numero delle aziende salentine nel periodo tra i due censimenti del 1982 e del 1990 è aumentato del 3%, quando la tendenza nazionale è stata quella di una riduzione di circa il 7,4%.
Se a questo si aggiunge la riduzione del 3,3% della superficie agricola totale si può rilevare che la superficie media aziendale in provincia di Lecce è passata da 2,9 a 2,6 ettari. In Italia la dimensione media, tra le più modeste d'Europa, si aggira intorno a 7,5 ettari. Fenomeno in contraddizione con le tendenze dello sviluppo di un'agricoltura moderna in cui la dimensione aziendale gioca un ruolo importante nell'applicazione delle economie di scala e di innovazioni tecnologiche tali da incrementare la redditività aziendale.
Se si analizzano più in profondità i dati censuari la situazione non migliora. Infatti possiamo osservare che l'aumento del numero di aziende si rileva prevalentemente per le classi di superficie fino a 2 ettari e, seppure in misura minore, per quelle tra 2 e 5 ettari, mentre le aziende superiori a 5 ettari hanno registrato una generalizzata riduzione sia come numero che come superficie complessiva, non evidenziando alcun fenomeno di accorpamento (Tabella 1).


Ciò fa pensare che nel corso degli ultimi dieci anni si sia registrata una proliferazione di piccole aziende di tipo part-time. Basti osservare l'evoluzione del numero dei conduttori in base all'attività svolta. Infatti gli imprenditori che svolgono attività esclusivamente in azienda sono diminuiti dal 1982 al 1990 di circa 11%, quelli con attività svolta prevalentemente in azienda sono diminuiti del 34%, mentre i conduttori che svolgono attività prevalentemente extra-aziendale sono aumentati del 15% (Tabella 2).


Ciò deriva da un mutamento della fisionomia dell'impresa agricola salentina. Infatti se consideriamo i tipi di impresa tra i due censimenti possiamo riscontrare un notevole aumento delle aziende a conduzione diretta, sia come numero che come superficie. In diminuzione, invece, risultano le aziende con salariati, e fortemente ridotta la colonia.
Tali fenomeni possono trovare una giustificazione nella fisiologica e talvolta necessaria riduzione degli attivi agricoli. Per far fronte al processo di sviluppo economico e per consentire un incremento della produttività dei lavoratori agricoli al passo con gli altri settori uno dei fenomeni principali è il passaggio dei lavoratori agricoli verso altri settori più redditizi. Ciò è avvenuto anche nella nostra agricoltura dove l'impiego di manodopera sia familiare che extrafamiliare si é ridotto negli ultimi dieci anni del 17% (Tabella 3).


All'alleggerimento di manodopera da parte dell'agricoltura le aziende hanno reagito mantenendo immutata la propria struttura o addirittura riducendola, ma hanno estromesso manodopera, che ha trovato impiego nelle attività industriali o terziarie non lontano dalle aziende. Si sono formate così molte aziende part-time o meglio molte famiglie contadine, che, pur mantenendosi unite, hanno assunto attività molteplici, prevalentemente non agricole (Tabella 4).


A rimediare a tale situazione strutturale non si è riscontrato alcun beneficio da parte di forme contrattuali di conduzione, quali l'affitto, strumento essenziale della mobilità del fattore terra. Lo scarso attivismo a livello locale delle organizzazioni professionali a dare una regolamentazione di comportamento tra le parti secondo l'istituzione dei patti in deroga, e la sfiducia e l'incertezza nella legge per la determinazione del canone e durata dei contratti hanno ridotto l'orientamento verso tale forma contrattuale.
Infatti, mentre la superficie in proprietà si è mantenuta tra il 1982 e il 1990 pressoché inalterata, la superficie in affitto è diminuita del 50% (Tabella 5).


La presenza di aziende in conduzione diretta e condotte da imprenditori con attività extraziendali può mantenere una sua vitalità solo se affiancata da un adeguato sviluppo del settore terziario che possa fornire servizi all'agricoltura e quindi costituire un valido supporto alla continuazione dell'attività agricola, soprattutto per coloro che non hanno professionalità e mezzi o per quelle aziende che, condotte da anziani, non hanno un ricambio generazionale nell'attività agricola.
In tal senso un segnale positivo sembra essere rilevato dall'aumento delle imprese fornitrici di mezzi meccanici. Infatti, il numero totale di aziende che utilizzano mezzi meccanici forniti da terzi, tra i due censimenti, è raddoppiato raggiungendo più del 60% del numero totale delle aziende salentine.
Pertanto si può desumere che la scomparsa della colonia e la riduzione degli attivi agricoli hanno messo in difficoltà l'organizzazione aziendale. Abbiamo da un lato concedenti e proprietari dediti ad altre attività professionali, non disponibili a cambiare attività per dedicarsi completamente all'agricoltura e sprovveduti di fronte alle difficoltà tecniche, e dall'altro gli ex-coloni poco dotati di capitale e ormai rassegnati per la forte dominanza di anziani senza rincalzi giovanili. A tale situazione molti proprietari hanno reagito mantenendo il terreno e ricorrendo per i mezzi meccanici a contoterzisti.
Tale orientamento, però, può essere interpretato come un fatto positivo. Infatti, determina una ristrutturazione attraverso l'ampliamento della base aziendale che è necessaria all'agricoltura salentina alla ricerca di una maggiore efficienza, e consente un più razionale utilizzo delle innovazioni ed una maggiore specializzazione.
La crescita del fenomeno delle aziende part-time, come è stato descritto, può essere in un certo senso inteso come un processo naturale di un'agricoltura in evoluzione. Ma bisogna far presente che su tali aziende non si può pretendere di applicare coerenti politiche di mercato. Tale fenomeno si potrebbe interpretare come una fase transitoria di un processo evolutivo, in cui le aziende possono mantenere una loro vitalità con funzioni diverse da quelle produttive, oppure rappresentare un ultimo tentativo prima dell'abbandono.
Va precisato che le aziende di ampiezze ridotte, derivate da successioni ereditarie, dalla garanzia patrimoniale della terra, o dalla esigenza di disporre di una seconda abitazione in ambiente più salubre, non hanno la dimensione e l'organizzazione per adottare innovazioni di prodotto e di processo tali da mantenere una vitalità economica, ma è sulle restanti aziende che bisognerà contare per realizzare un'attività agricola moderna orientata verso il mercato. Se vogliamo considerare le aziende con superficie superiore a 5 ettari, nel Salento queste rappresentano il 9% del numero complessivo, una percentuale modesta, ma occupano una superficie di circa il 57% di quella totale, entità sempre al di sotto della media nazionale.

L'evoluzione produttiva
L'evoluzione strutturale sopra indicata ha condizionato l'orientamento produttivo aziendale e le relative scelte tecniche dell'imprenditore.
Se analizziamo l'andamento della produzione lorda vendibile in valori costanti, ossia deflazionando la serie di dati sulla base degli indici dei prezzi al consumo, tra il 1980 e il 1991 possiamo riscontrare una riduzione media di circa il 25%.
La produzione lorda vendibile dell'agricoltura salentina rappresenta attualmente circa il 13,5% rispetto a quella regionale, quando dieci anni fa rappresentava circa il 16%.
Nell'ambito dell'economia agraria leccese i settori di maggior contributo sono: l'olivicoltura con il 27% della PLV complessiva, l'ortofrutta con il 21%, la floricoltura con il 22% e la viticoltura con il 7%.
Dall'andamento evolutivo della composizione della PLV si possono constatare alcuni segnali positivi rispetto ai cambiamenti delle esigenze del mercato. Infatti, tra il 1980 e il 1991 risultano in aumento la floricoltura e l'orticoltura, mantengono livelli costanti le patate e l'olivicoltura, sono in diminuzione i cereali, la vite e il tabacco.
Se da un lato possiamo riscontrare fenomeni di intensivazione dell'agricoltura salentina, dall'altro si denota una forma di disattivazione in cui le scelte dell'imprenditore sono basate sulla riduzione dell'impiego di risorse e sulla volontà a non investire. Basta vedere la risposta ad una direttiva della CEE per la messa a riposo dei seminativi, in cui nel corso del 1990 risultano 370 aziende che hanno fatto domanda per una superficie da ritirare di 1.550 ettari. Nel 1992 tali dimensioni sono triplicate.
L'entità non è rilevante, ma è indicativa nel delineare una tendenza di estensivazione e di smobilitazione agricola specialmente per quelle aziende condotte ad economia e di ampie dimensioni, come risulta dall'analisi delle domande presentate.
La recente riforma della PAC, però, ha eliminato tale direttiva di messa a riposo dei seminativi facoltativa stabilendo a partire dalla campagna agraria 1992/'93 una pratica obbligatoria di non coltura per i cereali e piante oleaginose sul 15% della superficie aziendale per i cosiddetti imprenditori professionali. Ciò interessa marginalmente gli agricoltori salentini in quanto per essere considerati professionali la superficie a cereali o oleaginose deve essere di almeno 53 ettari.
L'elemento più interessante della riforma, e che può influenzare l'orientamento produttivo futuro dell'agricoltura salentina, sono le misure di accompagnamento e in particolare quelle agro-ambientali. Tali misure prevedono una serie di premi a beneficio di tutti coloro che realizzano determinate attività produttive, tra cui l'olivo specializzato, gli agrumi, la cura delle superfici abbandonate, alcuni tipi di frutta e uva da vino, ecc., mettendo in pratica tecniche di coltivazione eco-compatibili, cioè orientate alla protezione dell'ambiente. Ciò potrebbe rappresentare da un lato una possibilità di ripresa dell'attività agricola salentina, dall'altro un ulteriore rallentamento della mobilità della terra attraverso un mantenimento nelle condizioni attuali della situazione strutturale e produttiva delle aziende.
Ma il problema principale non è solo produrre, bensì adattarsi ai cambiamenti dei circuiti distributivi che, proprio in questi ultimi anni, hanno portato ad una radicale trasformazione dei canali commerciali.

L'evoluzione del sistema agro-alimentare
Con l'aumento del benessere economico, le abitudini alimentari sono profondamente cambiate. I consumatori hanno aumentato i pasti fuori casa, il tempo dedicato alla preparazione ed al consumo dei prodotti alimentari si è notevolmente ridotto e gli acquisti di derrate agricole si stanno via via concentrando in strutture al dettaglio che offrono una vasta gamma di prodotti: come i supermercati e gli ipermercati.
La maggiore attenzione dei consumatori ai prodotti naturali e ipocalorici e la contemporanea esigenza di arricchire i prodotti di tutti i servizi richiesti dal consumatore (prodotti pre-lavati e pre-tagliati pronti per l'uso, cibi pre-cotti, sughi, conserve al naturale, ecc.) hanno portato ad uno sviluppo della fase industriale.
In questo contesto la domanda di prodotti agro-alimentari viene esercitata in prevalenza da due figure: le industrie di trasformazione e la grande distribuzione. Fatta eccezione per alcuni prodotti orticoli e frutticoli che vengono consumati allo stato fresco, oggi la maggior parte della produzione agricola raggiunge il consumatore finale dopo un processo di trasformazione effettuato da parte dell'industria alimentare.
Infatti, l'industria alimentare italiana ha registrato negli anni '80 una forte espansione con un incremento medio della produzione del 21%, nettamente superiore a quello registrato dell'industria manifatturiera nel complesso, raggiungendo un valore aggiunto superiore al 50% di quello agricolo complessivo.
Le richieste da parte dell'industria alimentare verso i fornitori di prodotti agricoli sono diventate sempre più consistenti ed esigenti. Da qui nascono le maggiori difficoltà di adattamento del settore agricolo rispetto all'industria. Quest'ultima richiede determinati quantitativi di prodotto a condizioni ben precise in cui gli standard qualitativi, la serietà professionale, la modalità di consegne, la forma di pagamento e i prezzi sono i fattori che influenzano la scelta dei fornitori e quindi degli agricoltori.
Se per alcuni comparti le industrie, pur di grandi dimensioni, possono essere soddisfatte negli approvvigionamenti da singole aziende agricole, da piccoli consorzi o da cooperative, come nel caso dell'industria molitoria, enologica, conserviera, ecc., per altri, come quelli ortofrutticoli, la domanda è esercitata da gruppi distributivi di dimensioni tali che un'intera regione a volte può essere insufficiente come quantità e gamma di prodotti. Basti pensare, ad esempio, che in Germania Federale solo 5 grandi gruppi di acquisto assicurano la domanda di ortofrutta fresca per circa il 70% del totale consumo nazionale.
L'industria alimentare se da un lato influenza la domanda di prodotti agricoli, essa stessa deve far fronte alle esigenze del mercato e in particolare a quelle della distribuzione moderna che in questi ultimi anni in Italia, seppur in leggero ritardo rispetto agli altri Paesi europei, sta registrando una forte espansione (Tabella 6).

Le vendite in Italia attraverso supermercati e ipermercati di prodotti agro-alimentari negli ultimi cinque anni sono più che raddoppiate, raggiungendo una quota di mercato di circa il 45%. Nel Mezzogiorno, seppur ancora forte la vendita attraverso negozi tradizionali e ambulanti, la presenza della moderna distribuzione si fa sempre più incisiva e consistente. Attualmente raggiunge circa il 20% del mercato dei prodotti agro-alimentari.
Finché esisteva una struttura distributiva estremamente polverizzata, costituita prevalentemente da piccole imprese artigianali a conduzione familiare, il problema dei rapporti tra produttori e distributori non si poneva in quanto il potere contrattuale era decisamente dalla parte dei primi. Vi era un dialogo diretto tra produttori e consumatori, senza interferenze delle aziende distributive. La diffusione della grande distribuzione e la sua progressiva concentrazione hanno provocato un radicale mutamento della situazione. La distribuzione, attraverso la strategia mirata a far prevalere la scelta del punto vendita e non più quella del prodotto, congiunto all'obiettivo incentrato non più sulla vendita del singolo prodotto ma dell'assortimento, si pone al centro dell'attenzione influenzando sia il mondo produttivo che quello dei consumatori.
Per fare un esempio relativo alla nostra realtà, le esportazioni di ortofrutta olandesi in Italia sono quadruplicate negli ultimi cinque anni (nel 1991 sono stati importati circa 3 milioni di quintali di ortaggi e legumi di provenienza olandese). Più della metà è costituita da 6 prodotti leader, pomodori, carote, peperoni, sedani, cavoli e ravanelli. Seguono vari tipi di insalate, cavolfiori e altri ortaggi, prodotti per i quali il Salento è fortemente vocato. Le esportazioni pugliesi di ortofrutta, comprendente gran parte dei prodotti orticoli salentini, sono aumentate solo del 5% sempre nello stesso periodo. Fatto ancora più grave è che tale dinamica è avvenuta in un periodo in cui la domanda di prodotti freschi mediterranei è notevolmente cresciuta.
Alto livello di selezione del prodotto, confezionamento accurato, puntualità nelle spedizioni, affinata organizzazione commerciale, vastità dell'assortimento, attenta pianificazione costituiscono i fattori determinanti del successo delle produzioni olandesi, soprattutto presso le centrali di acquisto delle catene distributive.
La grande distribuzione infatti in questi ultimi anni non ha solo acquisito quote di mercato ma, in funzione delle proprie caratteristiche organizzative, ha anche via via modificato il rapporto con i fornitori, privilegiando appunto gli aspetti commerciali (standardizzazione produttiva, logistica, confezionamento, assortimento continuativo nel corso dell'anno) rispetto a quelli strettamente organolettici. Va rilevato, inoltre, che la tendenza generale della distribuzione moderna, per essere competitiva, è quella di introdurre all'interno del loro assortimento prodotti di marca, cioè identificati da un marchio ben preciso. In questo caso il consumatore trova nel punto vendita una vasta gamma di prodotti di marca, la cui qualità è già conosciuta e stimata. A questo punto lo spazio per i prodotti non di marca, o poco pubblicizzati dalle piccole imprese, o con prezzi poco competitivi tali che non consentono al centro distributivo condizioni vantaggiose, rimane molto ridotto.
L'industria alimentare del Mezzogiorno, come quella salentina, non sembra essere completamente in sintonia con tali tendenze. Si può rilevare che le aziende alimentari del Mezzogiorno sono contraddistinte da una situazione di mercato molto più debole di quelle del Nord. In questa area le imprese si caratterizzano per un prodotto generico, pur qualitativamente buono, senza una propria immagine, da collocare presso aziende che curano altre fasi del cielo produttivo a più alto valore aggiunto. Le stesse imprese presentano inoltre una minore capacità di collocazione diretta sul mercato interno per la cui penetrazione sono costrette ad affidarsi a grossisti, mentre riescono a collocare quote più modeste sui mercati esteri, quando addirittura non riescono ad affacciarvisi del tutto (graf. 1).
Va rilevato, inoltre, che l'industria agro-alimentare del Mezzogiorno, di dimensioni medio-piccole, si occupa prevalentemente della prima trasformazione dei prodotti e in buona parte è orientata verso la trasformazione del prodotto agricolo fresco, per cui sono molto frequenti attività a carattere stagionale e localizzazione degli stabilimenti in vicinanza delle fonti di approvvigionamento delle materie prime.
Ciò non fa altro che scaricare tutte le difficoltà del settore agricolo sull'industria.


Infine, quest'ultime non avendo una ben chiara identificazione, le industrie alimentari del Sud dovranno sopportare sempre più in futuro il peso della moderna distribuzione che favorisce l'ingresso nei mercati delle forti marche commerciali delle grandi industrie del Nord Italia ed europee.
Finché rimane una presenza consistente di negozi tradizionali, le unità produttive salentine possono competere e rimanere sul mercato in quanto registrano dei vantaggi rispetto alle imprese che operano su scala nazionale a causa dell'elevato livello dei costi logistici e commerciali che si devono sobbarcare quest'ultime per raggiungere i singoli punti vendita. Ma una volta che si avvia lo sviluppo di nuove forme distributive questo impone nuove regole comportamentali.
Da ciò derivano le preoccupazioni per il futuro del settore, un futuro caratterizzato dalla sempre maggiore presenza dei gruppi distributivi.
Non basta più essere specializzati, è necessario ampliarsi ed associarsi per rispondere alle esigenze di una domanda sempre più esigente e concentrata. E l'agricoltore salentino non ha manifestato un grande slancio verso forme di integrazione o di associazionismo al fine di ottenere sostanziali vantaggi nell'utilizzo delle risorse finanziarie, nella gestione delle relazioni commerciali e nella valorizzazione dei propri prodotti.
In Puglia fino al 1991 esistevano 7 associazioni dei produttori ortofrutticoli, senza alcuna presenza diretta in Salento. Delle altre Associazioni, riconosciute ai sensi del regolamento CEE 1360/78, in Puglia se ne contavano, sempre nello stesso periodo, 34, di cui ben 11 operavano nel settore olivicolo. La forte presenza delle Associazioni in tale settore è conseguenza dell'applicazione del regolamento 2261/84 che abilita le Associazioni produttori alla gestione degli aiuti alla produzione.
Le Associazioni dei produttori, non solo nel Salento, ma anche nella maggior parte del territorio pugliese, non sono state in grado di svolgere il ruolo per il quale erano state istituite dalla CEE, e cioè di controllo dell'offerta e di supporto della commercializzazione.
E cioè valorizzazione delle proprie produzioni dapprima attraverso la riqualificazione del patrimonio varietale, migliore organizzato, un'offerta idonea sul piano qualitativo e quantitativo, attuazione di strategie di marketing che possano servire da supporto alla penetrazione nei mercati per le tante produzioni tipiche.
Le Associazioni seppur presenti nel territorio pugliese e salentino hanno orientato la loro attività soprattutto verso la gestione delle misure comunitarie nell'ambito di alcune organizzazioni comuni di mercato, in affiancamento alle organizzazioni professionali, con scarso impegno nella attività di regolamentazione del mercato dei prodotti agricoli.
Qualsiasi forma di integrazione o di associazionismo costituisce un elemento importante per consentire un dialogo con le diverse forze di mercato e svolgere un'azione propositiva nell'ambito del sistema agroalimentare.
Quando in Italia pochi gruppi distributivi disporranno della totalità della domanda interna di prodotti agro-alimentari, questi vorranno dialogare con pochi interlocutori che assicurino produzioni in qualità e quantità e che soddisfino le loro esigenze. Se i produttori non si adegueranno rapidamente non è difficile prevedere che la domanda si rivolgerà ai più organizzati ed efficienti produttori olandesi, spagnoli, ecc.

Conclusioni
Il legame sempre più forte verso la proprietà della terra, la carenza di strumenti contrattuali che facilitino il rapporto tra proprietà e impresa, il valore elevato dei terreni non hanno reso possibile un miglioramento della struttura aziendale salentina, mantenendo una situazione strutturale tra le più modeste in Italia. Tale condizione è andata bene fino ad un certo punto. E cioè fino a che il flusso delle innovazioni di prodotto si è mantenuto abbondante e fino a che le altre agricolture non hanno manifestato un interesse verso produzioni fino a qualche tempo fa esclusive del Sud.
Ma nella situazione attuale di globalizzazione dei mercati, di smantellamento della politica dei prezzi CEE, di ristrutturazione del mondo industriale e commerciale e di riduzione della disponibilità di manodopera nel settore agricolo diventa necessaria una rapida ristrutturazione e riorganizzazione dell'agricoltura salentina.
La tendenza che risulta da quanto esposto è quella di uno sviluppo dell'agricoltura salentina a due velocità. Da un lato abbiamo aziende produttive orientate al mercato in cui la spinta verso una ristrutturazione e una maggiore aggregazione diventa un elemento inevitabile per essere al passo con le tendenze generali. Dall'altro, abbiamo aziende che per motivi strutturali e organizzativi hanno rallentato il processo di sviluppo e sono sempre più orientate verso un'agricoltura meno produttiva e più ambientale.
Lo sforzo richiesto per adattarsi ai nuovi scenari è notevole e l'agricoltura salentina non sembra essere pronta a realizzare in pieno questi adattamenti.
Lo sforzo deve essere compiuto sia da parte del potere pubblico nel creare le condizioni favorevoli per operare in maniera efficace sui mercati, e cioè migliore servizio di assistenza tecnica e d'informazione all'agricoltore, un credito agrario più efficace, miglioramento delle infrastrutture. Sia, e in misura prevalente, da parte del singolo imprenditore, che attraverso la sua creatività e professionalità prenda parte attiva allo sviluppo dell'agricoltura salentina con iniziative rivolte sempre più verso il mercato e non iniziative di comodo che conducono a ritardi sempre più incolmabili. Il legame sempre più forte verso la proprietà della terra e la carenza di strumenti contrattuali operanti da vincolo tra proprietà e impresa hanno frenato la mobilità della terra e scoraggiato gli operatori agricoli a realizzare nuovi investimenti produttivi.
A questo si è aggiunta una carenza nella conoscenza dell'evoluzione della domanda di beni alimentari e dei relativi canali commerciali e una lenta capacità di adattamento del settore produttivo che costituiscono gli elementi indispensabili per mantenere un rapporto vivo con il mercato.
Tale situazione è andata bene fino ad un certo punto. E cioè fino a che il flusso delle innovazioni di prodotto si è mantenuto abbondante e le altre agricolture non hanno manifestato un interesse verso produzioni fino a qualche tempo fa tipiche del Mezzogiorno.
Ma nell'attuale situazione di smantellamento della politica dei prezzi CEE con l'avvio della riforma della PAC, ristrutturazione del mondo industriale e commerciale con la concentrazione dell'attività e il costituirsi di grandi supermercati impongono una rapida ristrutturazione e riorganizzazione dell'agricoltura salentina.
Di fronte a tali esigenze le iniziative da intraprendere per rimanere al passo con le tendenze del mercato sono diverse, tra cui:
- migliorare le strutture produttive, ampliando la dimensione aziendale attraverso lo sviluppo dell'affitto o di forme societarie che consentano l'accorpamento di proprietà diverse;
- stabilire rapporti contrattuali con la grande distribuzione organizzata e con l'industria di trasformazione per realizzare prodotti nella quantità e nella qualità richiesta e cercando di aggiungere, nella fase agricola, o in quella immediatamente successiva, tutti i servizi richiesti dal mercato. Compito importante in cui viene richiesta una funzione determinante ed efficace delle Associazioni, Consorzi di aziende, società commerciali, ecc.;
- puntare sulla caratterizzazione e valorizzazione del prodotto con confezioni, imballaggi, marchi che ne evidenzino chiaramente l'origine e le caratteristiche qualitative;
- migliorare le infrastrutture, soprattutto i trasporti;
- migliorare il servizio di assistenza tecnica e di informazione agli agricoltori da parte degli enti pubblici preposti, in maniera tale da costituire una guida per il rinnovamento del settore agricolo.


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