§ PERIFERIE UNIVERSALI

DISUMANE LANDE PERDUTE AGORA'




Aldo Bello



Il punto di partenza ideale può essere indicato nell'albergo. Ma può andare benissimo anche casa propria. Ci si muove in macchina, o in taxi. Nel peggiore dei casi, in autobus. Per una destinazione qualunque. Il risultato ha labili variazioni sul tema: un duty free aeroportuale, dove si "ammazza il tempo" guardando le vetrine, uguali in tutto il mondo, con scarso o nullo interesse; una stazione di metropolitana, se dobbiamo muoverci nei tenebrosi itinerari sotterranei; una stazione ferroviaria, per un treno dai cui finestrini guarderemo distrattamente il paesaggio (se la velocità ce lo consente) che ci separa dalla nostra destinazione. Ciascuna di queste situazioni potrebbe rappresentare l'apertura di un romanzo postmoderno. La condizione che meglio qualifica la realtà dell'uomo contemporaneo non è, in fondo, quella di essere continuamente in movimento, perfettamente solo in mezzo alla folla? E i luoghi della postmodernità non sono quelli nei quali spazio e tempo si confondono?
Una geografia di "assi di percorso" (aeroporti, autostrade, alta velocità, metro, svincoli stradali, corsie preferenziali, corsie di supermercati) segnano l'incrociarsi di milioni di persone che non si incontrano mai, che non si sfiorano se non per fenomeni accidentali. I luoghi che meglio definiscono la socialità di questo fine secolo e millennio non sono le agorà, gli spazi delimitati dell'incontro, ma gli spazi che non diventano mai territorio: gli spazi di nessuno, che noi tutti attraversiamo, nei quali trascorriamo anche più ore al giorno, senza poterci mai identificare. Afferma l'etnologo Marc Augé: "Il nostro mondo è un universo senza territori".
E l'uomo non può che sperimentare un senso di smarrimento, come ogni animale che non riesca a delimitare e a difendere un proprio territorio. Più che luoghi sono non-luoghi, dove il confronto o lo scambio non avviene e nemmeno viene sollecitato. Anzi, si procede per indicazioni e per ordini e simboli perentori: frecce, tabelloni, monitor ci impongono di accedere al gate, di metterci in fila, di svoltare, di inserire la tessera, di pagare alla cassa. Ai non-luoghi l'ingresso è consentito nel pieno anonimato: agisce per noi una tessera magnetica, una carta di credito, un biglietto di banca. Così si vive sempre in uno stato di suspended animation, di attesa passiva, tra l'indifferenza e la distrazione. Non sono luoghi di contrasto. Sono percorsi pianificati: luoghi da leggere, non da osservare o da vivere.
Questo non era il caso della vecchia stazione ferroviaria con le sue possenti locomotive che incutevano un giusto timore, con la fuliggine, col carbone che parlavano di energia e di sudore. Oggi le vecchie stazioni umbertine sono diventate leggere e ariose, là dove sono sopravvissute. Come quelle vittoriane di Waterloo o di King's Cross. Le altre, quelle costruite dai moderni o progettate dai postmoderni, non a caso sono simili ad aeroporti. E i treni che divorano il paesaggio sono più simili ad un aereo, o ad una terricola astronave, che alla robusta catena di vagoni d'una volta.
E' accaduto questo: c'è uno strano senso di esaltazione, di solitaria sfida all'ignoto che ci attira e ci spinge a rinnovare le nostre sortite nelle terre di nessuno. Come cavalieri in cerca di un meccanico (elettronico, informatico, telematico ... ) Santo Graal, ciascuno di noi può avere il suo network di relazioni internazionali, il suo percorso singolare ed entusiasmante.
Errare per il mondo compiendo imprese "più o meno eroiche" è il sogno di ogni impiegato che salutando la moglie ogni mattina s'inoltra idealmente nella foresta. E' quanto ci racconta David Lodge - docente universitario e scrittore dotato di molto senso dell'umorismo - in Small World, riferendosi al mondo cosmopolita e internazionale dell'Accademia. Nel romanzo Linee d'ombra di Amitav Ghosh la giovane protagonista angloindiana cresciuta tra le capitali di mezzo mondo ricorda soltanto la disposizione dei bagni negli aeroporti nei quali transitava.
Nel momento in cui il pianeta si apre a noi, offrendoci la libertà di andare ovunque, diventiamo sempre più preda della potenza dell'immaginazione. Anche i media sono un non-luogo che influisce su chi non viaggia o su chi abita nel più sperduto dei villaggi terrestri. Un abitante del genere non può che convincersi della propria marginalità. Osservazione banale, se non fosse che nei fatti l'evidenza conferma che chi vive ancora secondo riti e tradizioni secolari si sente necessariamente sempre più delegittimato.
In questo senso lo spazio è sempre più un'astrazione e anche i luoghi di una volta, identificabili come territori radicati nella memoria collettiva, ricchi di segnali di riconoscimento, città storiche o piazze o monumenti, rischiano di smaterializzarsi davanti ai nostri occhi. Roma città eterna, Parigi capitale culturale, New York Grande Mela, sono richiami che attraverso le pagine dei dépliant pubblicitari fanno appello a un'immagine mentale che ignora il luogo in quanto tale. In quest'ottica, la capitale o il capoluogo, come dice Augé, non è che "un pensiero sradicato, deterritorializzato, forse simile a ciò che Michel Foucault chiamava heterotopia".
Il centro della città, una volta cuore pulsante di ogni attività, di ogni incontro, di ogni rappresentazione (reale o mediata) della vita di ciascuno e di tutti, con la sua piazza centrale che esprimeva la chiesa, il palazzo del potere civile, il mercato, oggi è spesso silenzioso e deserto. Anche se perfettamente restaurato, rischia di rimanere un cuore vuoto, che somiglia piuttosto al salotto buono o a una vetrina di lusso, ai quali i cittadini affidano soltanto la loro immagine.
Che ogni paese e ogni città rivendichino la propria "antichità" è un fenomeno relativamente recente, e non per nulla questo fatto coincide con la riorganizzazione degli spazi urbani (deviazioni tangenziali, agglomerazioni fuori porta, periferie sconfinate): tutte realtà che evitano il vecchio centro e spingono ai margini la città antica, il suo cuore antico.
E' in atto un'estetizzazione della storia e la ricerca ovunque del monumento e del centro va di pari passo con lo stemperarsi di connotati e di segni di identificazione nei sobborghi e nelle periferie. Le nostre città si stanno trasformando in musei, con monumenti messi in mostra, esposti, illuminati, con zone pedonali, con "fasce azzurre" o d'altro qualunque colore che le indichi comunque come protette; mentre deviazioni, super-e-autostrade e treni ad alta velocità non fanno che allontanarcene. Il non-luogo, dunque, è in grado di contaminare anche ciò che fino ad oggi abbiamo riconosciuto come territorio fortemente connotato, come qualcosa in cui si riconosceva e che ci dava il senso della nostra storia, della nostra identità.
I veri centri sono oggi i non-luoghi: aree di parcheggio smisurate, zone shopping dell'hinterland, ipermercati nei capannoni occanici, tangenziali interne come piste di decollo compresi. E allo stesso tempo, come per contrappasso, si sente - e si nota - fortissima l'esigenza, la ricerca ovunque di un centro. Se qualcosa dà un senso all'ormai sacro e inviolabile fine settimana, è proprio il (frenetico, certo) riversarsi di masse motorizzate verso i centri storici da parte degli abitanti delle periferie e delle città italiane senza volto. Si cerca conforto nei luoghi antichi, appunto, che tutti conoscono, che non tradiscono mai; dove tutti possono riconoscersi e parlare.
C'è un'infinita tristezza che dà l'osservazione dell'uomo contemporaneo che si sente a casa sua soltanto nei luoghi dell'anonimato, negli spazi del narcisismo e del consumismo solitario. "Lasciatemi solo!" è il grido finale di Doctor Faustus lights the lights di Gertrude Stein, scritto nel '38. Anticipava forse l'avvento di un'etnologia della solitudine che oppone il transito alla residenza, lo sfioramento allo scambio: il passeggero al viaggiatore, col primo che definisce la sua destinazione, e il secondo che girovaga lungo il cammino. Ed èquest'ultimo che delegittima una parte non secondaria dell'attuale organizzazione del mondo. Che senso ha un individuo che è al centro del mondo, ma maledettamente solo?


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