§ IL CORSIVO

SE QUESTO E' UN UOMO




Ma. Bel.



L'italiano razzista e un cittadino infelice. Non soltanto perché condannato a vivere con esseri umani di razza diversa, di religione diversa, di costumi diversi.
E' infelice perchè non può dirsi razzista. Si vergogna di sé, è costretto a camuffarsi, deve appellarsi a una discutibile storia patria di non-razzismo (e la legislazione antiebraica? E le atrocità del colonialismo italiano?), per limitare almeno in pubblico la sua vocazione razzista. E tuttavia, lo spasmodico autocontrollo che regola la sua vita ha improvvisi cedimenti. "Io razzista? Proprio no, ma ... ". E in quel "ma" c'è l'elenco degli incredibili pregiudizi che riguardano il rapporto con il sesso, con l'ordine costituito, con la religione, con la proprietà, con l'altro.
C'è il razzista ideologizzato che esalta la diversità e vuole la pulizia etnica; c'è il razzista presunto spiritoso che fa battute solo sugli ebrei e sui terroni; c'è il razzista paterno che, piuttosto che a un meridionale, darebbe la figlia in sposa a un negro; c'è il razzista che sproloquio di economia e gli extracomunitari e i meridionali li caccerebbe via con un po' di soldi (o la canna da pesca) in mano; c'è l'intellettuale razzista, per il quale la libertà è la possibilità di cambiare opinione, soprattutto se il mutamento comporta come al solito una nuova fonte di guadagno; c'è il razzista clonato, chiuso fra le mura di casa chiuse dal muro di quartiere chiuso dalle mura della città. C'è il razzista.
Superficialità? Distrazioni? No. Un dato antropologico.
Gli onesti al Nord e i disonesti al Sud. I capaci, i lavoratori, i puliti oltre la linea Gotica; gli inetti, i vagabondi, i rubapensioni, nelle sfasciate terre del Reame.
Il problema è di tutti: di quegli apprendisti stregoni che sul separatismo razzista hanno costruito le fondamenta del movimento leghista, grazie al quale ci vorranno molto tempo e molta autentica cultura per ricacciare la gran voglia di Jugoslavia che serpeggia nella cattiva coscienza di una parte degli italiani del Nord; di coloro che, nel Nord, indaffarati a far quattrini, e farne il più possibile, come se nella vita non ci fosse altro valore che il "Dio dané", non si sono mai preoccupati di contribuire al ricambio della classe dirigente del Paese; degli industriali grandi, medi e piccoli del Nord, che hanno fatto dell'assistenzialismo di Stato la più gigantesca e onnivora "industria" familistica d'Italia; dei meridionali che hanno affollato il ceto politico dirigente costruendo sulla differenza Nord-Sud un modello di rappresentanza politica e una forma dello Stato oggi in rovina; dei meridionali senza potere che, stretti fra subalternità e omologazione, hanno accettato per decenni l'abbassamento dell'idea di legalità oltre ogni soglia di rischio; dei meridionalisti che sono scomparsi dalla circolazione, proprio quando l'impegno politico e di politica economica richiedeva una loro costante, pervicace, creativa presenza critica, mentre oggi, per leggere qualche cosa che denunci le degenerazioni e i vizi di un certo Sud, dobbiamo continuare a far ricorso alle pagine di un Tommaso Fiore, o di un Leonardo Sciascia, se non proprio alle requisitorie di un Falcone o di un Borsellino.
Come uscirne? Si dice: con uno sforzo di intelligenza e di razionalità. Può darsi. Ma ricordiamo ancora che, durante i ballottaggi per l'elezione dei sindaci, a Milano, su un palazzo a fianco della basilica di Sant'Ambrogio, comparve sul muro un vecchio slogan: "Chi ha letto la 'Logica' di Hegel non può impazzire".
Eppure Louis Althusser, uno che sicuramente la Logica hegeliana l'aveva letta, impazzì. E Toni Negri, che con quella Logica era in confidenza, si diede alla latitanza.
La ragione, però, può servire: ad accorgersi, per esempio, che l'Italia continua ad essere sempre quella di Tomasi di Lampedusa e del suo Gattopardo scioccamente respinto da Domenico Porzio per Mondadori e da Elio Vittorini per Einaudi, e miracolosamente edito da Feltrinelli grazie all'acume di Giorgio Bassani, il quale sapeva benissimo che l'ideologia trasformistica denunciata dal Lampedusa era già presente nel Croce della Storia d'Italia dal 1871 al 1915: "Seguì la parola che dava la coscienza della dissoluzione avvenuta, una parola che parve brutta o addirittura vergognosa, e con senso di pudore e di ribrezzo correva per le labbra di tutti: 'Trasformismo'... Dopo il 1885, il trasformismo si era così bene effettuato che non se ne parlò più, e il nome stesso uscì dall'uso".
La storia del trasformismo richiama quella "rivoluzione parlamentare" che si verificò il 18 marzo 1876, quando cadde la Destra e ad essa subentrò la Sinistra di Depretis, la quale però continuò a fare molte delle stesse cose che aveva intrapreso la Destra, semmai con maggiore energia e con un allargamento della base elettorale, tale da porre fine alla politica dei "consorti". In realtà, come lo stesso Croce rilevò, il divario tra gli uomini della Destra e quelli della Sinistra "sorgeva solo su questioni concrete e particolari, nelle quali ciascun componente di quei presunti partiti era in dissenso o in accordo con gli avversari: cosicché, nei particolari, ogni problema aggruppava o divideva diversamente gli uomini politici".
In altre parole, Croce, pur non idealizzando la pratica trasformistica degli anni di Depretis, la liberava, in un certo senso, dall'ipoteca moralistica, per vederne concretaniente le novità o le poche novità della politica. D'altra parte, /a consacrazione parlamentare del trasformismo, se vogliamo, avvenne proprio per opera di Marco Minghetti, ultimo presidente del Consiglio della Destra, con il discorso che pronunziò in Parlamento il 12 marzo 1883. Minghetti definì il trasformismo "legge generale, delle cose viventi" e, con linguaggio che rifletteva la cultura accademica evoluzionista del tempo, aggiungeva: "Non v'è oggi, non vi e animale, non vi è uomo che sia oggi lo stesso di quello che era ieri, e se esaminiamo i nostri pensieri di anni fa, troveremo mutati molti giudizi e coloro che già gridano contro il trasformismo saranno i primi a riconoscersi mutati da quello che furono". La definizione di Minghetti dava un senso vitalistico alla svolta, al di là della pura parvenza parlamentare. Del resto, la stessa scelta del protezionismo, operata dalla Sinistra, fu vista dal suo più ferreo sostenitore, Alessandro Rossi di Schio, come misura necessaria, una sorta di forcipe attraverso il quale sarebbe stata agevolata la nascita dell'Italia industriale.
L'atto culminante della prassi trasformista ,fu la legge del 1882 che allargo il suffragio elettorale, suscitando non poche paure e perplessità nei ceti dominanti. Artefice della legge fu un vicentino, Fedele Lampertico, il quale si chiedeva al Senato, discutendo dello scrutinio di lista, come le parti politiche si sarebbero ritrovate dopo la nuova legge elettorale: "Ora, gravi e molti problemi richiedono soluzione e non sappiamo come attorno a questi problemi le parti politiche si ricostituiranno; come conciliare la ripartizione degli oneri pubblici in modo che non sia turbata l'economia della produzione, del consumo e nello stesso tempo si mantenga l'incolumità del bilancio degno di una grande Nazione; come sia rispettata in ogni sua forma la libertà e nello stesso tempo mantenuto integro l'ordine sociale, la sicurezza pubblica [ ... ], come il diritto della proprietà si concili con le trasformazioni sociali".
Domande che furono dei riformisti veneti, ma anche lombardi, i cui sentimenti si riflettevano negli scritti dell'ingegnere Giuseppe Colombo, ministro delle Finanze nel 1891. Le stesse domande si ritrovarono più tardi nei discorsi di Giolitti e nella stessa enciclica Rerum Novarum, anche se in un contesto culturale diverso.
La chiave di lettura fondamentale della scienza politica dei moderati era la necessità di contemplare i due principii basilari, inamovibili, della società civile: il progresso e l'ordine. Ma già allora si poneva la domanda: si può parlare, in proposito, di una "scienza moderata"? E la risposta sarebbe venuta più tardi, nei nostri anni: nella prospettiva storica, si dovrebbe parlare di più scienze moderate, dato che, con la fine della politica di Crispi, cessò anche la tradizione politica dei club, delle associazioni e dei gruppi conservatori e liberali che tenevano nelle proprie mani tutto il corpo elettorale, mentre irrompevano sulla scena il socialismo di Turati e della Kuliscioff il movimento cattolico intransigente e le organizzazioni del lavoro. Ben altra politica, dunque, occorreva per mantenere in equilibrio l'ordine sociale con i diritti della proprietà e la libertà in ogni sua firma.
E' stato scritto che la trasformazione economica verso un capitalismo più moderno era in atto, che tutta la società era in gran subbuglio, al punto che Sonnino alzò il grido "torniamo allo Statuto". Dalle ansie e dalla paura di fine secolo emerse la politica riformista di Giolitti. La "scienza moderata" si fece più scaltra e anche più spregiudicata. Sgombrò il campo dalle prevenzioni ideologiche, formando la prassi clerico-moderata con il capolavoro del grande Patto Gentiloni. Gran torto storico, quello dei turatiani di restar fuori dalle compagini governative: forse molte cose potevano prendere una piega diversa.
In ogni caso, il nesso che legava le varie scienze moderate era dato dalla presenza essenziale di un notabilato di centro. Senza il quale, secondo Lampertico, non c'era scienza moderata che tenesse. La storia politica dell'Italia liberale, depretisiana, crispina, giolittiana, e poi dell'Italia del secondo dopoguerra, è stata anche una storia di notabilati, che hanno retto, fino a quando hanno saputo calcolare i tempi, le esigenze del cambiamento e i necessari equilibri. Alle spalle di questo moderatismo, che respirava il clima delle grandi correnti liberali del XIX secolo, c'erano la sicurezza di una grande ascendenza signorile, accompagnata da un senso della storia, dei costumi, delle tradizioni religiosi locali e delle vocazioni ambientali, e la convinzione di esercitare un'egemonia, magari paternalistica, ma illuminata, legittima, anche quando pasticciavano fra i concetti di società civile in Platone e nel cristianesimo e quelli della scuola positivistica.
C'è ancora oggi una scienza moderata? Ce lo dovrebbe dire l'eventuale presenza di notabilati, la cui decadenza è variamente attribuita alla caduta del Muro di Berlino o alle rapine tangentopolistiche. Ma il declino dei vecchi notabilati, collaudati da una lunga tradizione politica e civile di democrazia liberale composta con la grande cultura cattolica democratica e con quella socialista riformista, era già cominciato prima, quando la filosofia del consenso moderato cominciò ad essere guastata dall'invadenza degli apparati non soltanto ai vertici dello Stato, ma regionalmente, localmente, anche nei gangli della pubblica amministrazione e della società civile, facendo dei partiti i garanti di tutte le immunità possibili e di tutte le storture immaginabili. Oggi al centro c'è un vuoto pauroso, che coacervi massimalisti, secessionisti, razzisti, cercano di colmare non - come si dice, evocando immagini falsamente databili a un Romanticismo maggiore - con le loro "barbare energie", vitalistiche e innovatrici, ma con la predicazione del nuovo apparente, con interessi di ceto, con robusti appetiti: con le forme più deteriori del trasformismo contemporaneo, alimentate dalla nostra inadeguatezza politica e civile.
Molte, moltissime delle cose che oggi si urlano dai tribunali, dalle tv e dai giornali, erano state denunciate già negli anni '70 da uomini come Alessandrini, Tamburino, Ambrosoli, Cederna. Uccisi, umiliati e messi a tacere, dimenticati. Sulla scena italiana, erano già stati proiettati i lungometraggi della corruzione, del lavoro, della giustizia, della politica, della società. Chi ha memoria corta considera tutto questo passato remoto, mentre è semplicemente passato prossimo.
Mani Pulite? Gran bella cosa, senz'altro. Ma non basta. Il Paese ha bisogno di maggiore pietà, di maggiore solidarietà, di movimenti più colti e generosi, che sappiano ricostruire la democrazia. Ha bisogno di una vera e propria rivoluzione sociale, che sappia confrontarsi con le questioni irrisolte dell'occupazione, del sottosviluppo, degli operai senza più lavoro, della droga, dei cartelli del crimine, del diffuso malessere che divora l'homo italicus, se questo è un uomo. Altrimenti, resteremo un'opera incompiuta.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000