§ TRAETTA E I SUOI BIOGRAFI

LA BATTAGLIA DEGLI ERUDITI




Sergio Bello



Uno dei fenomeni più singolari occorsi durante il Settecento musicale italiano riguarda il flusso migratorio che coinvolse giovanissimi talenti provenienti dalle città apule e diretti alla volta della più promettente Napoli.
E' un fenomeno - questo - di cui fornimmo uno spaccato tempo addietro su queste stesse pagine, proprio a proposito degli operisti pugliesi ascrivibili alla sfera della scuola napoletana; e comunque non mancammo di trattare nuovamente la questione a proposito di altri compositori - non sempre operisti, ma tutti immancabilmente pugliesi - incamminatisi verso un Nord che a quell'epoca poteva voler dire anche solo Napoli, ed attivi in tempi più o meno risalenti rispetto al XVIII secolo.
Da Giacomo Gorzanis, "cieco pugliese abitante nella città di Trieste", come si firma nella sua Prima Intabolatura di Liuto del 1561, al contemporaneo Umberto Giordano, quella dell'"emigrazione musicale" è una costante che ha caratterizzato - e tutt'oggi caratterizza - questa terra, ma che malgrado la sua pervasività non è stata fatta oggetto, fatta eccezione di un convegno di qualche anno fa, di studi di una certa ampiezza di respiro.
Forse un aspetto collegato a questo flusso migratorio meriterebbe su tutti una trattazione a parte, e riguarda la figura dei mecenati che affiorano nelle biografie di quelli che saranno gli operisti pugliesi della scuola napoletana.
Nel Settecento il tempo del mecenatismo dorato non è ancora giunto al proprio epilogo, ed i piccoli mecenati apuli, appartenenti per lo più al ceto medio o alla piccola nobiltà locale, scompaiono di fronte ai fastosi allestimenti, ai dotti cenacoli, ai prolungati viaggi di aggiornamento garantiti dalla remunerabilità di un Nikolaus Esterhazy o di un Filippo di Borbone: al più - come hanno fatto - questi personaggi troppo presto dimenticati erano in grado di sostenere le spese del viaggio verso l'ambita Napoli e pochi anni di asilo presso i cinquecenteschi conservatori presenti in quella città, i più noti dei quali erano il Poveri di Gesù Cristo, il Pietà dei Turchini, il Santa Maria di Loreto ed il Sant'Onofrio a Capuana.
Conservatori, va ricordato, che, come denunciano gli stessi nomi, altro non erano che ricettacolo di bambini orfani o poveri che venivano istruiti attraverso finanziamenti per la maggior parte ecclesiastici o pubblici in qualche arte che potesse loro garantire futura sopravvivenza - il canto corale e la composizione primi fra tutti - e nei quali gli allievi, dopo i primi anni di apprendistato, si guadagnavano la permanenza all'interno dell'istituzione, sostituendo i propri maestri nell'insegnamento rivolto agli ultimi arrivati.
La presenza in quei conservatori di insegnanti della caratura di un Porpora o di un Durante ha poi fatto il resto: Napoli diventa a sua volta tappa intermedia, luogo di apprendistato dal quale gli allievi dei conservatori si proiettavano verso Roma, Parma, Venezia e poi oltre, a Vienna, Londra, Pietroburgo, nei centri di maggiore fermento culturale, là dove dovranno misurarsi - e contrapporsi - con le più disparate tendenze riformatrici o conservatrici del tempo, impegnandosi in ormai leggendarie querelles.
Accanto alla questione tutta da studiare del piccolo mecenatismo attuato in Puglia, quasi a chiudere il cerchio geografico tracciato dalla storia e dalla fortuna degli operisti pugliesi sta la questione degli studi biografici condotti attorno a questi compositori.
E' una faccenda a tutta prima forse meno interessante, ma al tempo stesso decisamente sintomatica di una situazione per certi versi preoccupante, per altri - come vedremo - addirittura divertente.
L'attenzione prestata da chi scrive alla questione delle biografie dei musicisti della scuola napoletana originari delle Puglie è frutto quasi del caso: l'interesse per il tentativo di riforma dell'opera in senso anti-metastasiano e filo-francese condotto dal Du Tillot, ministro della corte del Reggente del Ducato di Parma, Filippo di Borbone, ha portato necessariamente allo studio della vita di Tommaso Traetta, che con il librettista Frugoni assecondò l'intento riformatore del ministro.
Tale studio non poteva essere ricondotto alla semplice consultazione di testi di carattere generale, ma necessitava di monografie che fossero più esaurienti e puntuali. E' nato così, imprevisto, uno strabiliante viaggio attraverso gli scritti dedicati all'operista bitontino.
Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, vista anche l'importanza del ruolo svolto nella storia dell'opera da Traetta, la maggior parte dei biografi che si sono occupati del musicista non si fregiavano del titolo di storici della musica, né tantomeno si potevano annoverare tra la schiera dei musicologi: sorprendentemente, per loro stessa candida e disarmante ammissione, si trattava di bitontini che, magari operando in campi neanche limitrofi, ad un certo punto della propria vita -complici la passione per l'opera e l'aura quasi mitica che gli anziani della città si peritavano di alimentare intorno alla figura del musicista -hanno deciso di dedicare i propri sforzi alla ricostruzione, tassello dopo tassello, della vita del più noto concittadino, nel tentativo di colmare una lacuna che, per neanche tanto celato campanilismo, veniva mal tollerata.
I rischi che operazioni del genere comportano sono a tutti noti, e questi più o meno improvvisati storici non hanno mancato di cadere in trappole che solo il mestiere ed un più controllato atteggiamento scientifico avrebbe consentito di evitare.
Inoltre, lo stesso fervore che ha spinto queste persone ad intraprendere un difficile viaggio a ritroso sulle evanescenti tracce lasciate da Traetta non ha mancato a tratti di drogare obiettività e spirito critico, com'era del resto facilmente prevedibile.
E tuttavia, a dispetto di inciampi, vicoli ciechi e precipizi, Traetta può ben dirsi indebitato fino al collo nei confronti dei suoi più o meno improvvisati biografi.
Illuminante per il chiarimento di questa particolare situazione - ferme restando le dovute differenze - è la distinzione operata da Philipp Spitta, il biografo di J. S. Bach, poi ripresa da Georg Feder, curatore dell'edizione dell'opera omnia di J. Haydn: Spitta ordina gerarchicamente le figure dell'erudito, del filologo e dello storico, ponendo quest'ultimo sul gradino più alto; per il musicologo tedesco ciò che caratterizza il procedere degli studi dell'erudito è la "accuratezza e scrupolosità della ricerca dei fatti" e l'"intima gioia che egli prova ad ogni frammento che gli riesce di estrarre dalle rovine del passato"; d'altro canto, "il filologo affronta il testo che ha davanti con nessun'altra intenzione che quella di conoscere ciò che l'autore ha scritto e pensato"; infine, "fare storia significa voler conoscere il nesso fra le cose".
E' facile a questo punto intuire in cosa consista il debito contratto da Traetta - e dalle nuove, professionalissime ed illuministiche generazioni di musicologi - nei confronti di questi entusiasti biografi, là dove si riconosca loro se non la ferrea preparazione degli eruditi verso i quali era rivolto il pensiero di Spitta nel delineare la sua scala gerarchica, quantomeno una genuina "intima gioia" provata nello svelare nuovi frammenti appartenenti al mosaico della vita dell'operista.
Se un esempio per tutti dev'essere citato, probabilmente il candidato più accreditato è Domenico Binetti, autore di un volume edito nel 1972 a Palo del Colle, Tommaso e Filippo Trajetta (Traetta) nella vita e nell'arte.
Binetti è forse fra i biografi che si sono interessati al compositore pugliese quello al quale maggiormente si attaglia il quadro tracciato sopra; emblematicamente è un ingegnere: quanto forse di più lontano dalla figura dello storico.
Binetti divide il suo scritto in quattro parti, la prima delle quali dedicata a Traetta, la seconda al figlio di lui, Filippo, di cui assai poco si sa a tutt'oggi, essendo emigrato in America per sfuggire a persecuzioni politiche, e sul conto del quale l'autore della biografia tenta di reperire quante più informazioni gli riesce possibile, non mancando di far notare l'importanza che avrebbero studi più approfonditi relativi a Filippo Traetta; la terza parte - senz'altro la più interessante - raccoglie i documenti reperiti da Binetti sul conto di Traetta e della famiglia che il compositore ha tardivamente formato; nella quarta ed ultima parte - una poco scientifica, ma senz'altro divertente appendice - Binetti riporta diligentemente e non senza un certo orgoglio il resoconto epistolare delle battaglie da lui caparbiamente - e spesso vittoriosamente - condotte ora per salvaguardare l'integrità della lastra tombale del pugliese, sita in una chiesa veneziana in fase di ristrutturazione, ora per forzare la mano ad organizzatori di stagioni operistiche o a conduttori di trasmissioni radiofoniche, affinché inserissero nei programmi da loro stilati le musiche dell'amato Traetta, ora per ottenere informazioni e documenti riguardanti la vita del compositore.
Circa lo spirito con il quale Binetti ha condotto le sue ricerche, può bastare un raffronto; la lacuna più grossa del volume del biografo riguarda gli anni trascorsi da Traetta alla corte di Caterina II a Pietroburgo, dove a partire dal 1768 e fino al 1775 prese il posto di Galuppi in qualità di "Insegnante e Maestro di Corte"; questa lacuna - tipica di tutte le biografie traettiane - è certamente giustificata nel caso di Binetti dalla difficoltà - anche economica - che avrebbe comportato recarsi di persona sul posto per effettuare le necessarie ricerche; e tuttavia questi non manca di riportare in appendice, oltre alle lettere relative alle questioni citate, anche una lettera di risposta proveniente dalla Russia, relativa ad una sua richiesta di delucidazioni sulle fonti di opere del maestro bitontino, lì reperibili. Ben altro atteggiamento aveva assunto una trentina di anni prima Antonio Nuovo, un biografo senz'altro meglio equipaggiato del Binetti, in quanto a pertinenza di titoli accademici, ma evidentemente meno motivato, che ad una richiesta specifica circa la mancanza di documenti relativi al periodo russo del compositore rispondeva: "Caro ed ottimo Raeli [Direttore della Rivista Nazionale di Musica, N.d.A.], sarebbe per lo meno imprudente, se non pericolosissimo, tentare solamente di recarsi in Russia, fra orde abbrutite, senza patria, senza morale e senza Dio".
Il più ottimista Binetti, nella sua semplicità, riesce a mettere a segno dei colpi non indifferenti, a dispetto della scarsa scientificità dell'impostazione del suo libro; complice il supporto del parroco della chiesa veneziana di Santa Maria Formosa, dove tradizionalmente si riteneva fosse sepolto Traetta, Binetti rintraccia la lastra tombale del compositore nella Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, un tempo compresa nei confini della parrocchia della Formosa. Ma soprattutto, ancora grazie all'interessamento del parroco della Formosa, autorizzato ad accedere agli archivi della chiesa veneziana, Binetti ottiene l'atto di matrimonio tra "Thomas Trajetta et Elisabeth Sund", contenente l'atto di nascita e di battesimo di Traetta - documento tanto ambito -, l'atto di abiura della religione luterana della Sund, l'atto di matrimonio ("secreto", in quanto preceduto dalla nascita del figlio Filippo), ed infine l'atto di battesimo del figlio e la successiva legittimazione di questi, il tutto reperito nel volume "Matrimoni Secreti Anno 1776, 1777, 1778" dell'archivio segreto del Patriarcato di Venezia: insomma, una enorme quantità di informazioni, specie se abbinate a quelle già note ottenute dalla certificazione di morte del compositore, che hanno consentito di individuare finalmente dei punti fermi nella vita dell'operista e dei suoi congiunti.


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