§ NEW DEAL

MAI IN SOFFITTA




Mario Deaglio



Parafrasando Benedetto Croce, non possiamo non dirci rooseveltiani. Neppure il conservatore o il liberista più incallito mette oggi in dubbio l'esigenza di una qualche forma di protezione, di ultima istanza per le fasce più povere e più deboli. Perfino la Thatcher e Reagan, i maggiori critici dello Stato sociale, ne "limarono" le prestazioni, ma non ebbero l'ardire di pensare a distruggerlo.
In questo senso, il New Deal rooseveltiano fa parte della nostra eredità storica, è connaturato al nostro modo di pensare. Ma fa anche parte del nostro futuro?
Per cercare di rispondere pare appropriato partire dal discorso di investitura di Roosevelt all'inizio del suo secondo mandato: "non posso fare a meno di osservare - egli disse - che un terzo degli americani è malnutrito, mal vestito e male alloggiato". Negli Stati Uniti di oggi la percentuale dei cittadini sotto la soglia della povertà è di oltre il 12 per cento, molto meno dei tempi di Roosevelt, molto più di qualche anno fa; condizioni di acuto malessere economico si osservano ovunque nelle ricche metropoli dell'Occidente. Pur se di dimensioni ridotte, si ripresenta un problema rooseveltiano, come sembra aver intuito Clinton.
Se le istanze sono le stesse, i metodi non possono essere diversi. Non serve più, oggi, creare grandi burocrazie per amministrare la sicurezza sociale; in una società più adulta, agli individui non occorre somministrare principalmente ulteriori dosi di servizi pubblici, bensì fornire i mezzi perché ciascuno liberamente se li procuri, operando una scelta personale. Finché, però, ci saranno nelle nostre società fasce di popolazione malnutrite, mal vestite e senza casa, non si potrà mettere Roosevelt in soffitta.


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