§ COME IL FISCO FRODA I CONTRIBUENTI

A TASSE FORZATE




Antonio Martino
Docente di Scienze Politiche alla Luiss - Ministero degli Esteri



Non so a voi, ma a me non è ancora capitato di vedere contribuenti che si accingono ad adempiere ai loro obblighi fiscali con allegria, nella tranquilla convinzione che si tratti di un buon affare, perché le somme versate al fisco torneranno a loro sotto forma di servizi di valore almeno uguale. Molto si potrebbe dire sul sistema tributarlo italiano, ma mi limiterò ad alcune considerazioni che mi sembrano importanti.
Anzitutto, l'entità del prelievo è divenuta insopportabile. Per moltissima gente l'occupazione prevalente è ormai quella di contribuente. A chi mi chiede quale sia il mio lavoro, rispondo: faccio il contribuente a tempo pieno, l'economista nei ritagli di tempo. Non è una battuta: dedichiamo più della metà del nostro reddito agli insaziabili appetiti del fisco, lavoriamo soprattutto per l'erario. Secondo gli ultimi dati, le entrate totali del settore pubblico sono state pari al 47,3 per cento del prodotto interno lordo, le spese al 57,6 per cento. Questo significa che l'italiano medio ha lavorato dal primo gennaio al 28 luglio per lo Stato e soltanto il resto dell'anno per sé e per la sua famiglia. Su questo vorrei che riflettessero quanti continuano a ripetere che la fiscalità è eccessiva perché c'è l'evasione e che i problemi del dissesto potrebbero essere risolti se tutti facessero il loro dovere di contribuenti.
Lungi da me l'accusa di difendere l'evasione - si tratta di una violazione della legge che va punita - ma è semplicemente insensato credere che la lotta all'evasione, da sola, possa risolvere i nostri problemi. Se con un colpo di bacchetta magica si riuscisse a scovare due milioni di evasori (una cifra quasi impensabile), ognuno dei quali evade in media imposte per dieci milioni l'anno (un valore medio assai improbabile), si recupererebbe gettito per 20 mila miliardi. Una cifra notevole in assoluto, ma del tutto irrisoria rispetto alle dimensioni dei nostri problemi, trattandosi del 2,3 per cento delle spese totali e del 2,8 per cento delle entrate totali del settore pubblico: la classica goccia nell'oceano.
E che dire del "terrorismo tributario", della prassi di comminare pene smisurate persino per violazioni trascurabili? A Favara (Agrigento), la Guardia di Finanza ha accusato il titolare di un bar di mancata emissione di uno scontrino fiscale nei confronti di un cliente, condannandolo a pagare 300 mila lire entro quindici giorni. Il fatto è che il cliente, assetato, era entrato nel bar, dove aveva chiesto e ottenuto un bicchiere d'acqua! Né si tratta di un episodio isolato di demenzialità: i giornali danno continuamente notizia di casi simili a questo: il proprietario del bar che regala una caramella al bambino o il parrucchiere che pettina sua madre, entrambi multati per mancata emissione dello scontrino, e così via farneticando.
Il nostro fisco, tuttavia, non è soltanto eccessivamente esoso e terroristico, è anche fraudolento. Secondo i dati ufficiali, il settore pubblico ha speso oltre 15 milioni in media per ogni italiano, uomo o donna, adulto o bambino, ricco o povero, lavoratore, disoccupato o pensionato. Ben 60 milioni per famiglia media di quattro persone. Per poter spendere quei soldi, deve averli prelevati; come ha fatto a prelevare una cifra così ingente dalle tasche dell'italiano medio?
La risposta è assai semplice: con la frode. I dati, infatti, suggeriscono che la spesa pubblica è stata per lo più finanziata in modo surrettizio: l'indebitamento (circa il 18 per cento del totale), le imposte indirette (il 19,5 per cento), i contributi sociali (il 26 per cento) prevalentemente "pagati dal datore", le ritenute alla fonte per ciò che riguarda le imposte dirette, sono tutte forme di fiscalità occulta, di tributi pagati senza che il contribuente se ne accorga. Se sommiamo tutte queste voci, scopriamo che circa l'80 per cento delle spese del settore pubblico sono finanziate con imposizione occulta, il che significa che per ogni milione di imposte pagate consapevolmente dal contribuente, il fisco gliene ha portati via altri quattro senza che se ne accorgesse. La fiscalità occulta non è soltanto fraudolenta, è anche contraria alle più elementari regole di democrazia. In democrazia è il popolo ad avere un governo, non viceversa; ma come possono i cittadini controllare l'operato dei loro governanti, se non riescono nemmeno a sapere quanto personalmente gli costa la loro attività?
Non sarebbe male che si meditasse sulla tesi di Adam Smith, forse più vera oggi che nel 1776: "L'imposta che ciascun individuo è obbligato a pagare dovrebbe essere certa e non arbitraria [ ... ]. La certezza di ciò che ciascun individuo deve pagare è in materia di imposta una questione di così grande importanza, che credo risulti dall'esperienza di tutte le nazioni che un alto grado di ineguaglianza è un danno molto minore di un piccolissimo grado di incertezza". Tesi, questa, che vale a maggior ragione per la trasparenza dell'imposizione in democrazia.
Quanto poi alla complessità delle nostre disposizioni tributarie, non credo sia necessario sottolineare questo aspetto pensando al più cervellotico, complesso e insensato modello 740 che mai sia stato inflitto. Non ho vergogna a dichiarare che, malgrado la mia laurea in giurisprudenza, il fatto che abbia soltanto redditi da lavoro, che da anni mi occupi di fisco sia pure per legittima difesa (lui si occupa di me, e io sono quindi costretto a occuparmi di lui), non sono in grado di compilare da me la dichiarazione dei redditi. E' accettabile un fisco così complesso? A me sembra che il minimo che una democrazia debba concedere è la generale comprensione delle norme fiscali. Tutti dovrebbero essere in grado di adempiere da soli ai propri obblighi tributari.
Nel nostro sistema, invece, la comprensione delle norme tributarie è riservata a una sparuta minoranza di "esperti", che si guadagnano da vivere decifrando la barocca complessità delle disposizioni.
Oltre ad essere antidemocratico, tutto ciò è anche insensatamente costoso. Supponendo che il tempo medio per la compilazione della denuncia dei redditi sia di un'ora (una stima ottimistica), spendiamo circa venti milioni di ore di lavoro solo per questo adempimento. Se aggiungiamo tutti gli altri e consideriamo che per farvi fronte è necessario lavoro ad alta qualificazione professionale, arriviamo a un costo complessivo che non esiterei a stimare nell'ordine di diverse migliaia di miliardi. Si tratta di un costo per la collettività che non rende nulla all'erario: non converrebbe semplificare e snellire le procedure? Invece no, il Fisco italiano continua a marciare in direzione opposta. Sono passati pochi anni da quando due studiosi di problemi tributari denunciarono le cento tasse degli italiani, e siamo già oltre quota duecento.
La maggior parte di questi tributi rende poco o nulla (in qualche caso i costi di riscossione superano il gettito), complica maledettamente la vita dei cittadini e costituisce un enorme aggravio di lavoro per l'amministrazione finanziaria, distogliendola dalla gestione dei tributi più importanti. Dovremmo sfoltire il numero dei balzelli, limitandolo a pochi, importanti e comprensibili tributi.
Il nostro sistema tributario esoso, iniquo, contraddittorio, farraginoso e incomprensibile è indegno di un Paese civile. Smettiamola di sopportare pazientemente tutto questo: la pazienza è sempre la mangiatoia dei tiranni.


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