§ LA "STORIA" DEL BILANCIO TRA "ACCADEMIA" E "PERLINE COLORATE"

DISSERTAZIONE "AL MINIMO" CON "TARTE AU POMMES" E "RATAFIA'"




Renato Minafra



1) Il processo evolutivo
"Dicono" autorevolmente che le concezioni di bilancio affermatesi nella prassi contabile - come tutti i fatti che interessano e connotano la società civile o "il territorio dell'amore" - trovino coincidenza con le trasformazioni evidenziate negli ordinamenti sociali e giuridici (1).
La funzione strumentale del bilancio d'esercizio, infatti, è intimamente connessa con le esigenze e le attese dei diversi interlocutori dell'impresa (2), interessati al suo "ruolo" nell'ambiente produttivo specifico, al mutevole equilibrio - nel "tempo" - degli interessi in essa convergenti nonché alle dinamiche evolutive del "mondo" socio-economico, culturale ed istituzionale.
Ciò significa che esistono indubitabili relazioni tra stadi di sviluppo ambientale, modelli di impresa e concezioni del bilancio di esercizio.
Nella fase iniziale di sviluppo delle economie capitalistiche (3), caratterizzate dalla concezione di impresa-proprietà, quasi appendice della famiglia capitalistica, il bilancio assume infatti i caratteri di uno strumento interno, una specie di "incantesimo" che rappresenta una sintesi della gestione destinata solo ai partecipanti agli utili.
Durante i successivi periodi di decollo e maturità del sistema economico, contrassegnato dalla crescita dimensionale e dal grado di apertura verso l'esterno delle strutture produttive, l'incantesimo si trasforma in "magia" e prevale la concezione del bilancio quale strumento egoistico delle singole categorie di interessi patrimoniali convergenti nella "azienda", tra cui preminenti sia quelli dei soci ("sempre") che ("probabilmente") quelli dei terzi, specie se creditori di qualche "lira".
Infine, nella fase del grande consumo di massa in cui si afferma il concetto di impresa integrata nel più ampio sistema-paese e con sfaccettature di "tipo" sociale, il bilancio costituisce soprattutto uno strumento che "si esalta" per raggiungere finalità di interesse collettivo, attraverso una chiara ("siamo nudi") e naturale (tra "dolcezze" e "tenerezze") informazione economica, posta pubblicamente a disposizione di quanti ne abbiano interesse.
Il fenomeno delineato, nella sua complessità, sfugge a qualsiasi semplificazione che lo veda "come" una successione definita di fasi, essendo impossibile identificare date o eventi che seguano in maniera obiettiva il passaggio da una "epoca" ad un'altra, risolvendosi invece "l'inquietudine" nella constatazione che "i giorni andati sono andati" e che è necessario "capirne un po' di più".
L'evoluzione in commento, quindi, si presenta con caratteri e tempi "generalmente" non coincidenti sul piano della dottrina giuridica (diritto positivo e giurisprudenza) e di quella economico-aziendale (anche in termini di comportamenti concreti adottati dalle aziende): tale sfasamento - posto che "il tempo è ... abbracciato al mondo" - rende indispensabile che si considerino in parallelo i molteplici aspetti del fatto indagato, tenendo presente che la fase storica deve necessariamente essere correlata anche col contesto geografico in cui viene analizzata, che nella fattispecie è quello italiano.
Poste "un po' così" queste premesse, la "pellicola" del bilancio "si srotola" in tre parti:
- la prima, "Ieri", è "un arco" dalle origini al codice di commercio del 1882, nella quale esso è considerato solo un rendiconto interno;
- la seconda, "diventata oggi troppo in fretta", ambiziosamente esamina un periodo "venerato", compreso tra l'inizio del secolo e la metà degli anni 60, nella quale la concezione dominante è quella di un meccanismo - anche se "labile" - di tutela relativa ("quale storia tu vuoi che io racconti"?) di interessi patrimoniali;
- l'ultima, un "domani" che "sa di fieno e di lontano", dalla fine degli anni 60 ai giorni nostri, è qualcosa che è ancora "nell'anima", dove però il documento assume una fisionomia "ritrovata" di comunicazione pubblica, redatta considerando "soltanto" forme e criteri condivisi in "Europa".

2) Le origini
La "origine" e le prime notizie sul bilancio, "ricordi di ... secoli prima", risalgono e prendono le mosse dai grandi sviluppi delle tecniche contabili registratisi in Italia tra il XII ed il XVI Secolo (4), allorché prima del "tempo dei nonni", le istituzioni pubbliche comunali si dotarono di complessi ordinamenti amministrativo-contabili che riconducevano tutte le entrate e le uscite in un prospetto generale di sintesi.
Sempre in tale "grande viaggio indietro", presso le compagnie mercantili e bancarie private, si affermò la prassi di riassumere "eventualmente" in documenti riepilogativi le partite derivanti dal "libro" della contabilità e le quantità oggetto di ragionamento (5), cioè determinate mediante un vero e proprio procedimento di valutazione dei componenti del patrimonio.
E' indiscutibile che in quegli "attimi" i bilanci fossero documenti a carattere riservato, aventi valenza nei rapporti interni alla compagine societaria, con funzione di rendiconto della gestione, presentato dai soci amministratori ("qualcuno che pensa") nei periodi e con i contenuti più disparati, alla stregua di un "vecchio lavoro da cinesi".
Le menzionate caratteristiche sono rilevabili sino al XVII secolo, in parallelo con la costituzione di grandi compagnie commerciali nella forma di società per azioni per lo sfruttamento delle colonie di oltremare (ricche di "profumi" e di "spezie"!) e con lo sviluppo delle prime borse-valori: questi ultimi eventi comportarono un progressivo svuotamento del requisito della segretezza nonché inevitabili evoluzioni e differenziazioni nella prassi compilativa, anche per il "clima" di frenesia speculativa che caratterizzò le iniziative imprenditoriali a cavallo del XVII e XVIII secolo (6).
"Lo scenario" mutò sensibilmente con la rivoluzione industriale, in quanto lo sviluppo dimensionale degli affari e la diffusione dell'azionariato in ambito nazionale ed in ceti più ampi costituirono elementi caratterizzanti l'evoluzione "geniàl" della realtà societaria, cosicché il bilancio assunse un ruolo centrale, avvertendosi da parte dei soggetti estranei alla gestione una esigenza di adeguata informativa.
In risposta alle menzionate esigenze, intorno alla metà del XIX secolo, gran parte dei Paesi intervennero - più o meno organicamente - a disciplinare le "frasi d'amore scritte a macchina" attraverso cui si esprimeva il bilancio: in Italia, invece, "l'attesa" fu un po' più lunga ed ebbe termine solo nel 1882, con l'emanazione del codice di commercio, una "vecchia canzoncina dell'ottocento" che "fa sorridere".
Pur esaurendo la trattazione della materia in soli sette articoli della sezione dedicata alle disposizioni comuni alle società in accomandita per azioni ed anonime, che rappresentano "un po' di jungla anche per me", il nuovo codice (che sostituiva "sans problèmes" quello del 1865 ispirato al Code de Commerce napoleonico emanato a "Parigi" nel 1808) segnava "intanto" alcuni passi significativi verso l'attribuzione al bilancio di funzioni informative finalizzate alla tutela degli interessi dei terzi e dei soci.
Tra questi i più importanti erano certamente le previsioni che riguardavano: il regime di "pubblicità" legale del bilancio societario (art. 180); il "contenuto" del documento, al quale si chiedeva di dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti e le perdite sofferte, nonché l'indicazione del capitale sociale realmente esistente (art. 176); il divieto di distribuire utili fittizi ("illusioni") (art. 18 1); il generico richiamo, pieno di "nostalgia", alle buone regole di contabilità ed al senso di responsabilità degli amministratori nella "giusta" valutazione; l'introduzione del collegio sindacale, composto di "creature" "da settantanni in su".
Tuttavia l'efficacia delle disposizioni rivolte alla tutela dei soci e dei terzi era "errante", fortemente limitata dall'assenza di qualsiasi statuizione volta a dare applicazione ai citati principi di evidenza e verità, in quanto le regole consentivano piena ed assoluta discrezionalità nella compilazione del bilancio. Ciò perché, in quel particolare momento e contesto storico che privilegiava un "ritmo più lento", l'impronta liberista del codice di commercio rendeva - senza "forte meraviglia" -inconcepibile qualsiasi sindacato esterno sulla gestione sociale, ma anche perché il fenomeno delle s.p.a. era "qualcosa" di veramente nuovo, essendo stato il concetto "asburgico" di società anonima introdotto dalla legge prussiana del 1843.

3) La prassi del bilancio nei primi anni del secolo
Nei decenni successivi all'entrata in vigore del codice di commercio, "roba di un'epoca lontana", fu pratica comune la pubblicazione di bilanci sommari e di scarso contenuto informativo per i soggetti destinatari.
In effetti alcuni caratteri tipici dell'industria italiana di inizio secolo - destinata a riempirsi di "ruggine densa" - contribuivano a rendere poco sentita, da parte delle imprese, l'esigenza di una chiara ed attendibile informazione economica esterna: tra questi, significativi, l'accentramento della proprietà industriale in "mani" di pochi gruppi e struttura familiare, l'assenza - già da "allora" - di vere e proprie public-company, la condizione di limitato sviluppo del mercato mobiliare - che invece deve essere "vulcanico" -, l'ingerenza delle banche - che "adesso" potremmo definire universali - nella gestione delle aziende industriali.
Sull'ultimo punto va specificato che tale situazione ha costituito causa condizionante della "vita intensa" del bilancio all'inizio del secolo, essendo noto che i capitali "lavati e cancellati" apportati dalle grandi istituzioni creditizie costituirono la principale fonte di copertura ("fulgor"), dalla quale si generò la crisi del 1933, degli ingenti investimenti e redditività differita richiesti per lo sviluppo dimensionale delle aziende.
Attraverso le società anonime, che rendevano possibile nella maniera "più segreta" l'acquisizione di pacchetti azionari di comando e l'imposizione di uomini di fiducia di "qualcuno interessato" alla guida dell'impresa, il sistema bancario - "scaltro" -poté "rimbalzare" ed esercitare forme dirette di controllo sulle aziende industriali (7).
In tale contesto il bilancio - anche se "prima era più facile" - venne ad assumere funzioni strumentali alle esigenze conoscitive del soggetto controllante, assumendo una prevalente caratterizzazione interna alla azienda.
Il collasso del sistema descritto e "l'acqua gelida" che caratterizzarono l'economia italiana del primo dopoguerra, "quando correva il novecento", lasciarono tracce profonde in campo contabile, specialmente per quanto riguarda i particolari e mutevoli criteri utilizzati per la redazione dei bilanci nella fase di crisi e di salvataggio delle imprese industriali (1925-1935), contribuendo all'affermarsi di una prassi che "non si usa più" e che considerava con una certa relatività i valori del documento.
Da ciò la necessità di elaborare "religiosamente" un sistema di principi e norme di carattere economico-aziendale, costituenti la base concettuale della c.d. scuola del reddito o teoria classica del bilancio (8), caratterizzata dall'assunto che "all'ora del peccato" è impossibile perseguire, mediante un medesimo bilancio, finalità conoscitive tra loro incompatibili come il valore di liquidazione del patrimonio aziendale, il valore di cessione dell'azienda, il reddito d'esercizio o il capitale di funzionamento (9).
Il bilancio, nella visione dei classici "randagi" che "pochi capivano", viene così ad essere finalizzato - "ma la storia se ne infischia" - alla conoscenza del reddito assegnabile al periodo nonché a fornire la rappresentazione e la valutazione del patrimonio aziendale più acconce, o almeno compatibili, in rapporto al prioritario scopo della determinazione del reddito (10).
Deriva che l'unitarietà e la continuazione della gestione nel tempo, oltre che nello spazio, induce ad assegnare "indifferentemente" al reddito di periodo un carattere necessariamente astratto e 'Torse" convenzionale, non riflettendo tale quantità le reali condizioni della gestione aziendale quanto le specifiche esigenze conoscitive che ne impongono la misurazione: tra queste, "naturalmente", il reddito consumabile, cioè il risultato annualmente distribuibile, in "uno spavento di felicità", ai conferenti il capitale di rischio, senza pregiudizio per le future possibilità reddituali dell'azienda.
"Il controsenso" è quindi che se il reddito consumabile deve riflettere le dinamiche reddituali di più lungo periodo, un'"epoca intravista", le valutazioni da compiersi in sede di formazione del bilancio ("il teatro") non potranno che avere natura prospettica ("il cinema") e trovare fondamento nei futuri andamenti gestionali, nei quali le operazioni in essere alla chiusura dell'esercizio produrranno i loro effetti completi e definitivi, come "sogni amari".
A tal fine, mediante opportune politiche che non sono solo "una lenta cantilena", il reddito può essere perequato, cioè sostanzialmente stabilizzato.
Dal consolidarsi della leadership culturale della teoria esposta derivò, nel nostro Paese, un atteggiamento di sostanziale scetticismo nei confronti del bilancio "legale", destinato a pubblicazione, in contrapposizione con quello "vero", redatto rigorosamente con criteri economico-aziendali.
Con tale ottica la giurisprudenza dominante si orientò nel senso di negare, nella sostanza, l'impugnabilità della deliberazione assembleare di approvazione del bilancio da parte del socio, sostenendo la tesi radicale - perché "la rumba è un'allegria del tango" - della insindacabilità della decisione assembleare ("tutto il resto sono balle") se non nel caso estremo di bilancio manifestatamente irregolare, così come della liceità delle riserve occultate.
Solo nel corso degli anni 30, in cui "alle volte si sale, e molto alto", gli orientamenti "ora" richiamati ebbero un prima significativa evoluzione, in quanto la dottrina giuridica riconobbe la possibilità di impugnazione del bilancio redatto in violazione dello statuto e della legge, affermando la non dipendenza delle norme sul bilancio dalle volontà della maggioranza assembleare; dal canto suo la giurisprudenza cominciò ad esprimersi in maniera "diversa, ma tanto diversa", nel senso che l'interesse della maggioranza non potesse ritenersi coincidente con l'interesse sociale, cioè con l'interesse di "chiunque".
Infine il legislatore (legge 4.VI.1931 n. 600) sanzionò il comportamento "andante" degli amministratori e dei sindaci che nelle relazioni o comunicazioni fatte al pubblico, o in assemblea o nei bilanci, avessero esposto fatti falsi sulle condizioni economiche della società o nascosto fatti concernenti tali condizioni.
Evolvendosi, "la fuga nella vita" sfociò nella emanazione del nuovo codice civile, con il quale l'Italia si adeguò, con ritardo di qualche anno, alle "grandi novità" introdotte nelle legislazioni dei principali Paesi europei (11).

4) Il bilancio nella disciplina del codice civile del 1942
Con il nuovo disposto legislativo la concezione del bilancio come strumento di tutela degli interessi patrimoniali convergenti nell'impresa trovò "ogni giorno di più" manifesta esplicitazione.
Il potenziamento dello strumento informativo rappresentava la risposta ai problemi di trasparenza (non più "vecchi cristalli", quindi) richiesti dallo sviluppo delle società di capitali, ed in misura minore dalle società di persone (e dalle imprese individuali): le prime, infatti, avevano obbligo di assolvere ad una preminente funzione di informativa esterna, cui si connettevano specifiche forme di pubblicità-"tam-tam", le seconde ad una prevalente funzione conoscitiva interna, per la quale non era prevista alcuna forma "calda" di pubblicità-" tamburo" orientata a terzi.
La nuova normativa era, in effetti, orientata ad una concezione del bilancio di tipo patrimoniale, "quasi" ad identificare - nella dimostrazione tra i "lampi" dell'entità e della composizione del capitale - la principale forma di tutela degli interessi dei terzi.
Riflesso di tale impostazione è "ancora" la tendenza ad identificare il bilancio nel solo stato patrimoniale ("lasciamo stare"!), nulla prevedendo in merito al contenuto minimo del conto economico; in aggiunta venivano fissati "ragioni e motivi", cioè principi generali di redazione del documento e i criteri di valutazione delle poste dello stato patrimoniale, i primi mediante l'affermazione dei concetti di verità, chiarezza e precisione, i secondi attraverso la statuizione di regole estimative distinte per le principali "classi" di attività (art. 2425), non totalmente rigide, derogabili nei limiti massimi solo per speciali ragioni.
Gli economisti aziendali (come "donne pallide") hanno avversato tali concetti ("lasciamo perdere") ed hanno aspramente criticato i criteri legali di valutazione, assumendo la presunta incapacità ed oggettiva impossibilità, per il legislatore, di affrontare consapevolmente un argomento tanto "complesso" come quello attinente al processo valutativo del patrimonio aziendale (12).
In verità le divergenze riscontrabili tra la normativa civilistica ed i principi elaborati nell'ambito della scuola del reddito appaiono di portata notevole, specie considerando la centralità ("lasciamo andare") attribuita dal legislatore alla determinazione ed alla rappresentazione del capitale contrapposta alla funzione preminente e "sublime" del reddito nella teoria classica, così come la concezione atomistica del patrimonio accolta dal codice in luogo di quella sistemica propria della scuola, ed ancora l'adozione del criterio del costo per la valutazione delle attività immobilizzate rispetto al presumibile valore di realizzo di ispirazione economico-aziendale.
Emerge, "così", durante "le notti più alte", una differenziazione di funzioni attribuite al bilancio: strumento pubblico di informazione e tutela di "grossi" interessi esterni per il legislatore; documento finalizzato a soddisfare il "bisogno" conoscitivo interno al management aziendale, detentore della "intelligenza", per la teoria (13).

5) La prassi e le diverse concezioni del bilancio nei primi decenni di emanazione del codice civile
Le carenze della nuova disciplina favorirono, successivamente alla emanazione del codice, e "per tanti anni", il consolidamento di una prassi di bilancio in contrasto con gli obiettivi di veritiera, chiara e precisa informazione.
Per lungo tempo il bilancio fu sostanzialmente identificato nel solo stato patrimoniale, "una fotografia lontano dal mare" accompagnata da un conto economico che "diceva e non diceva", caratterizzato cioè da estremo ermetismo (14).
Conseguiva la concreta impossibilità, per i destinatari, di attingere "con sguardi cattivi" informazioni significative sulla gestione.
Le lacune del conto economico, peraltro, non venivano colmate dalla relazione degli amministratori, anch'essa "sovente" oscura e reticente: ciò perché, e "si capisce il motivo", la mancanza di disposizioni legislative sul suo contenuto favoriva la composizione di documenti dai quali erano ben difficilmente desumibili informazioni significative sull'andamento dell'impresa (15).
A tanto, però, contribuiva il fatto che la "domanda" di informazioni economiche proveniente dall'ambiente non aveva raggiunto caratteristiche dimensionali e qualitative tali da suggerire alle imprese significativi miglioramenti nella attendibilità e chiarezza dei propri bilanci pubblici, poste le condizioni di obiettivo sottosviluppo - "vecchie novità" - dei nostri mercati finanziari rispetto a quelli degli altri maggiori Paesi industrializzati ("America", "Francia").
Gli studi di economia aziendale, dopo "l'estate del '46", "spingevano", secondo i dettami della scuola del reddito, all'elaborazione di una vera e propria dottrina del bilancio, essendo stata per "il resto" risolta dalla normativa civilistica la tematica sul bilancio ufficiale: si passò, pertanto, alla elaborazione di bilanci concreti (16), i cui criteri di formazione non potevano che riflettere con "tatto" l'insieme delle specifiche finalità (conoscitive, informative, gestionali) perseguite dal redattore.
Il bilancio obbligatorio o ufficiale viene, "dovunque", ad essere caratterizzato sia per l'aspetto legale del documento (17) - che ad esso deriva "comunque" dal necessario rispetto dei vincoli giuridici posti alla sua formazione e comunicazione all'esterno -, che per la circostanza che esso - in quanto destinato ad una molteplicità di soggetti ("la gente") esprimenti attese ed aspettative anche tra loro in contrasto - assume una fondamentale e "difficile" caratterizzazione politica.
Tutto ciò significa che il componimento del conflitto tra diversi interessi convergenti nell'unico bilancio, quello ufficiale "ovviamente", viene realizzato dal soggetto economico che lo predispone nel rispetto dei vincoli formali imposti dalla legge, sia ciò funzionale o meno alle politiche aziendali o del gruppo di riferimento.
In tale "tournée" le posizioni della dottrina giuridica e della giurisprudenza appaiono condizionate da una prospettiva privatistica, mirata ad identificare nel bilancio uno strumento strettamente funzionale alla tutela dei diritti patrimoniali del socio, sicché in materia di invalidità costituivano mezzo per riconoscere al socio il diritto alla liquidazione o alla conservazione della quota, il diritto agli utili ovvero qualsivoglia altro diritto a contenuto patrimoniale.
"La nave", pertanto, è orientata ad enfatizzare il principio della verità piuttosto che quello della chiarezza, posto che la sfera patrimoniale del socio non può ritenersi lesa da un bilancio "svanito nella nebbia", ma rappresentante in maniera esatta e veritiera la situazione patrimoniale della società.
I casi di falsità del bilancio venivano limitati alla sola ipotesi di "assenza" di poste o di iscrizione di poste inesistenti, "un sogno che non c'è", ritenendosi lecita - al contrario - la prassi delle riserve occulte costituite mediante sottovalutazione di attività o sopravvalutazione di passività, col pretesto, simile a quello che "le donne odiavano il jazz", che le valutazioni non potessero letteralmente costituire fatti penalmente rilevanti ex art. 2621 c.c.
Nella seconda fase del periodo in esame "la rotta" mutava ulteriormente ed in sede di giurisprudenza, che "non chiede scusa", venne prevalendo la tesi che il bilancio non si riduce ad una mera notazione aritmetica di saldi di conto, ma presuppone una pluralità di valutazioni (e perciò di giudizi di valore) capace di attribuire a quei saldi il carattere di mezzi di accertamento di una situazione economica (18).
In tal modo si apriva "la strada" alla sindacabilità esterna dei giudizi estimativi contenuti nelle valutazioni di bilancio e, in maniera correlata, si poneva il "problema" di identificare un criterio che consentisse di giudicare della liceità delle soggettive valutazioni operate dall'estensore del bilancio, criterio identificato nella ragionevolezza "silenziosa" ovvero, all'opposto, nella arbitrarietà "inquieta" delle valutazioni.
Si ritenne, in altri termini, configurabile l'ipotesi di falsità di bilancio in presenza di valutazioni "a perdifiato", oltrepassanti il limite di ogni ragionevolezza (19); su tale "pista" la giurisprudenza pervenne, in "un'ora inglese", ad una sostanziale obiettivazione del concetto di frode ex art. 2661 c.c., riscontrando la illiceità del bilancio indipendentemente dalla ricerca di un elemento doloso da parte degli amministratori, ravvisandola, invece, in tutti i casi in cui le valutazioni fossero esorbitanti.
In tali posizioni giurisprudenziali i primi sintomi "molto complicati" della svolta che verrà manifestandosi a partire dalla metà degli anni 60.

6) Il bilancio negli anni 60
Tassa la vita", e negli ultimi tre decenni gli sviluppi della materia del bilancio appaiono connessi ai "memorabili" mutamenti intervenuti nella struttura economico-sociale del nostro Paese.
Il periodo tra gli anni 60 ("anni che vibrano") e 70 ("anni che sfiammano"), contrassegnato dai grandi consumi di massa, segna la crisi della tradizionale "vetusta" concezione della società per azioni, nel senso che accanto al concetto "très blasé" di società anonima ristretta - prevalente nella disciplina del codice del 1942 - si afferma la figura "da grande illusione" della società a larga base azionaria, caratterizzata dalla scissione tra proprietà ed esercizio del controllo sull'impresa (20).
Nella nuova "realtà" societaria gli azionisti estranei al gruppo di comando perdono ogni residua possibilità di influenzare l'assemblea, la formazione e l'approvazione dei bilanci, la politica dei dividendi e le altre fondamentali scelte di ordine economico-giuridico, identificandosi la loro posizione con quella tipica dell'investitore - soggetto sostanzialmente esterno che coltiva evidente differenza di obiettivi -, i cui interessi prioritari sono espressi dalla massimizzazione, anche nel breve periodo, della redditività (i "denari") dell'investimento azionario.
Tale evoluzione ambientale, "come la vita che in sorriso vivi", ha sollecitato movimenti d'opinione e contributi dottrinali volti ad affermare "lo stile" di una maggiore trasparenza e di una più obiettiva informazione da parte delle società di capitali, elementi questi che costituiscono condizioni-"miraggio" per l'efficiente funzionamento dei mercati, anche finanziari, e del sistema economico nel suo complesso.
Lo sviluppo di tale nuovo corso ha trovato, "in fondo al buio", terreno particolarmente fertile ed "entusiasmante", in una fase in cui la internazionalizzazione delle attività economiche e le accresciute occasioni di scambio "miliardario" e di confronto ("se capita") con Paesi ad economia più avanzata aprivano orizzonti su prassi informative assai più moderne di quelle diffuse in Italia, segnando un apprezzabile riavvicinamento tra le posizioni espresse dal mondo giuridico ("la folla impressionabile") e da quello economico-aziendale ("un vecchio paradiso").
La evoluzione della dottrina giuridica si muove "per raccontare" un sostanziale ammodernamento della teoria sulle società di capitali, anche in tema di scritture contabili ("un cielo scuro") e di bilancio ("un silenzio travolgente"), ma soprattutto dalle norme del codice civile inerenti il contenuto del bilancio.
Tra le varie finalità (" vecchia via del varietà") in astratto ad esso attribuibili, il legislatore ha operato la scelta "sin troppo facile" di assegnare al documento la funzione di imparziale informazione di tutti gli interessati in merito alla composizione (aspetto qualitativo, "chi sei"), ed all'entità (aspetto quantitativo, "cosa vali") del patrimonio al termine di ogni esercizio (spesso "incomprensibile"), nonché sugli utili conseguiti ("pochi") o sulle perdite sofferte ("tante") nell'esercizio medesimo.
"I giudici" ("cercatori ... di sguardi e malintesi") acquisiscono piena consapevolezza dalla reale portata del problema della "verità" e chiarezza, ed abbandonano la norma penale ex art. 2661 ai fini della valutazione civilistica delle irregolarità di bilancio: si perviene, "distrattamente", alla affermazione della nullità per illiceità dell'oggetto della delibera assembleare di approvazione di un bilancio redatto in violazione dei menzionati principi.
L'imperatività del principio della verità ("cosa vuol dire"?) ed, ancor più, di quello di chiarezza di cui all'art. 2423 c.c., si giustifica alla luce del ruolo strumentale di detti principi rispetto alla funzione di imparziale informazione dei soci e dei terzi, senza l'egoismo e frenesia", che il bilancio è chiamato ad adempiere; da ciò deriva l'affermazione, "nel trambusto", della sanzione di nullità ("catastrofe"), in luogo della mera annullabilità ("stupor"), per il bilancio formato in violazione delle norme civilistiche, a tutela di un interesse generale che trascende quello particolare del singolo socio.
Le conclusioni esposte ("se ridi mi fai piangere") sono già in parte desumibili dalla sentenza che inaugura il nuovo corso (21) nella quale, riconoscendosi per la prima volta il carattere autonomo e tassativo del principio della chiarezza ("paradis"!), si afferma che la redazione del bilancio di esercizio della s.p.a. non è volta, in via immediata e diretta, ad evitare pregiudizi patrimoniali ai soci ed ai terzi, bensì alla loro informazione nonché alla salvaguardia della società medesima.
La mancanza del danno (per il socio) non vale, tuttavia, ad escludere la nullità delle delibere di approvazione del bilancio, quando sussista pericolo di danno, appena "un profumo d'insidia".
In tal senso un "ventaglio" di sentenze-guida, un "elisir" dei primi anni 70, che o riaffermano il principio secondo il quale le norme in tema di chiarezza e precisione del bilancio sono dirette a tutelare non solo l'interesse dei soci ("pensa a me"), ma anche quello superiore della società ("paro e mai sentite") (22) oppure ribadiscono la tesi secondo cui le suddette norme tutelano interessi generali - "roba da filippiche, forse da dialettiche" - trascendenti quelli dei soci (23), ovvero postulano il principio per il quale la redazione di un bilancio falso, a prescindere da un sottostante intento fraudolento - anche senza che si sia "rubato" -, offende l'ordine pubblico in quanto lesiva dell'interesse della società ("regina"), dei creditori sociali ("gente trascurata") e della generalità dei consociati ("il Comune") (24).
"Tra parentesi" il processo evolutivo è ulteriormente sollecitato dai mutamenti ambientali, ed "anche" per, la dottrina aziendalistica i bilanci cominciano a porsi all'attenzione degli studiosi ("è prufessure") come strumenti d'informazione, per l'universale (25) mentre le tematiche relative al requisiti di correttezza e chiarezza del bilancio pubblico assumono crescente rilevanza scientifica, saldandosi con quelle della certificazione ("mani entusiasmate") ed elaborazione di standards contabili come "argini" generalmente accettati per non uscire "fuori margine", il cui recepimento nella nostra prassi contabile si appalesa come esigenza improcrastinabile perché "è adesso che ho bisogno di te".
In tale rinnovato "affabile" contesto il bilancio senza "fuligine" è quello destinato a pubblicazione, in quanto è il solo (26) ed unico (27) che ricompone, "rapido" ed in "un attimo", la totalità degli interessi e delle attese conoscitive convergenti nell'impresa; esso incorpora infatti una situazione di compromesso tra i molteplici scopi che per suo tramite possono essere conseguiti e che sono riconducibili, essenzialmente, alle due categorie che riguardano quelli conoscitivi (in funzione dei quali il bilancio - "arredando il silenzio" -costituisce uno strumento di conoscenza della realtà aziendale prima considerata "niente di niente", tanto per chi lo redige che per la totalità dei soggetti cui viene comunicato) e quelli operativi (per i quali assume la natura di strumento di comportamento, mediante il quale gli estensori tendono ad ingenerare nei terzi - "roba da cannibali ... però" - reazioni e decisioni favorevoli nei confronti dell'impresa).
Spetta poi alla legge che "passa una mano sopra i ... lividi" di porre i limiti entro i quali la libertà di scelta nel compilare il bilancio, e nell'utilizzarlo di conseguenza, è lecita e salvaguarda gli interessi della società, in un'ottica globale ("una minestra tiepida") o sociale ("un minestrone"), mirata a salvaguardare la collettività intera, sul presupposto che essa voglia sviluppare un sistema ad economia di mercato (28), in quanto la correttezza della informazione economica è requisito, "può darsi", indispensabile all'efficiente funzionamento dei mercati e, quindi, del sistema economico nel suo complesso.
Le conseguenze derivanti dalla nuova visione sono rilevanti e numerose: di contro ad una disciplina civilistica di tipo ancora patrimoniale viene "via via" ad affermarsi la centralità della funzione del conto economico -non più un "non sense" come nella "antichità" -ai fini del soddisfacimento delle esigenze conoscitive esterne all'impresa: la frattura "umana e malandrina" con la tradizione classica pare "ormai" consumata e le politiche di bilancio si dimostrano in contrasto con i requisiti della informazione ai terzi (29), vere e proprie manipolazioni consentite "in una valle d'insonnia" solo per spiegare le differenze, - ma "l'anima è magra" -, con un bilancio rigorosamente interno.
Le nuove tematiche proposte dalla dottrina trovano, nel corso degli anni 70, parziale ma significativo riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico: è del 1974 la miniriforma - "ma chi si ricorda più? - delle società per azioni (30), con la quale il legislatore fissa, tra l'altro, il contenuto minimo obbligatorio del conto economico e della relazione dell'organo amministrativo, essenziali "per il mio tempo", "per il mio gusto", per la mia sensibilità"; seguono l'istituzione - tra i "complimenti" - del nuovo regime di controllo pubblico sulle società quotate e, con D.P.R. n. 136/75, l'introduzione, nel nostro sistema, dell'istituto della certificazione del bilancio, "partito da lontano per esistere ...".

7) L'affermazione del bilancio pubblico ed il bilancio europeo
"Così va il mondo" e i moti evolutivi delineati preparano il campo all'affermazione della visione del bilancio che oggi può ritenersi prevalente. La pratica operativa e la più recente dottrina, pur apprezzando la rilevanza dello strumento nell'ambito dei moderni processi di programmazione e controllo (31) interno alle attività aziendali, assegnano "tranquillamente" un ruolo centrale alla funzione informativa esterna del documento.
La crescita della rilevanza economico-sociale dell'impresa amplia e diversifica il novero dei soggetti interessati all'informazione esterna aziendale, intesa come informazione obiettiva.
Con le menzionate cautele può affermarsi, "per quel che vale", che il bilancio pubblico:
a) fornisce agli investitori (che biascicano sempre "non ho una lira, questa è la realtà") ed agli analisti finanziari ("dalle ali bagnate") elementi di informazione sia generici che specifici;
b) serve per la prevenzione degli stati di insolvenza, prima che intervenga "il curatore";
c) offre elementi di valutazione agli interessi interni aziendali (capitale e lavoro), per "spiegare ed intuire e capire" la ripartizione del prodotto lordo;
d) è la base per il calcolo dell'imponibile fiscale, una "acqua cupa" che "estenua" il contribuente;
e) ha funzione di rendiconto degli amministratori-"scimpanzè", nei confronti dei soci-"orango" e della collettività-"scimmia" nel suo complesso-"macaco", per la gestione delle risorse loro affidate prima che cadano "nell'oblio";
f) consente alle autorità governative-"somaro" elementi per le decisioni di politica economica e finanziaria, nonostante una situazione generale sempre più "ai tuoi piedi";
g) rappresenta, quale fondamentale "ruolo" della informazione societaria - strutturata e non strutturata -, la base "splendida" per soddisfare la domanda di informazione promanante da un ambiente "asino".
E' evidente come un documento con tali finalità alimenti "meglio di niente" esigenze conoscitive, non sempre coincidenti o reciprocamente compatibili, da parte delle singole categorie di interessi: è perciò indispensabile che esso fornisca "la quintessenza" della conoscenza attraverso intelligibilità, affidabilità e neutralità nei confronti dei soggetti interessati, quindi che rispetti la clausola generale del novellato art. 2423, nel senso che esso deve "non fingere" ed essere redatto con chiarezza e precisione, oltre che rappresentare in "modo" veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell'esercizio.
Sul punto la dottrina giuridica più recente "est séduit" e tende ad affermare che la aderenza delle informazioni alla realtà aziendale - così come percepita dal redattore ("un anonimo signore ... e basta"), stante la ineliminabile discrezionalità tecnica in sede valutativa - non è principio derogabile, mentre non può ammettersi una volontà dispositiva dell'estensore "artista" volta a perseguire, mercè il bilancio pubblico, proprie finalità di tipo operativo gestionale.
Peraltro le posizioni della giurisprudenza mantengono una sostanziale coerenza con gli orientamenti, che "sapevano a memoria dove volevano arrivare", emersi sul finire degli anni 60, specie in tema di affermazione del carattere imperativo delle disposizioni in tema di chiarezza e verità, riaffermando che tali norme non sono poste nell'interesse esclusivo dei soci ("pittori, mimi, musicisti") quanto della universalità di soggetti cui l'informazione di bilancio è destinata (32).
La dottrina economico-aziendale, invece, è orientata nel senso che il problema della corretta informazione di bilancio non trova più inquadramento in un'ottica di conflitto tra esigenze dell'impresa ed esigenze dei terzi, perché la puntuale produzione e comunicazione all'esterno di informazioni tendenzialmente obiettive sugli andamenti gestionali costituisce uno dei tramiti necessari per raccogliere il consenso ("gli applausi") e la collaborazione ("sono qui con te") degli interlocutori sociali sulla linea direttiva perseguita dal management.
In tale contesto la pubblicazione di bilanci trasparenti, inserita in un modello di gestione del consenso di tipo persuasivo, costituisce uno strumento di comunicazione del particolare sistema di valori imprenditoriali che sorregge l'azione di chi guida con "arte" l'impresa (33).
Cresce, al contempo, tra gli studiosi ("uomini" con i cervelli "grossi come alberi") la consapevolezza che le problematiche inerenti al bilancio pubblico non possano che porsi nel più ampio contesto dei rapporti ambiente-impresa ("la pianura padana" del "nord ovest" nella quale sorge una fabbrica di "chips" incorporati in "bicchieri di Boemia"!), riflettendo il "diverso" comporsi degli interessi e delle aspettative collocantisi all'interno ed all'esterno di questa (34).
in tale ambito la traduzione operativa del requisito della obiettività dell'informazione di bilancio implica un processo di composizione delle molteplici forze operanti intorno alla impresa, mirato alla selezione dei difformi finalismi conoscitivi ("un sogno arabo") che i diversi interlocutori sociali (sempre meno "balordi") tendono a soddisfare (35).
Si ripropone, "alors", la considerazione della ineliminabile natura politica del bilancio pubblico, nel senso che la scelta della situazione di compromesso, di cui il bilancio è espressione, risulta definitivamente sottratta alla disponibilità del soggetto economico d'impresa (che se persevera non è un buon "maestro"), per essere affidata a norme giuridiche e regole contabili (36) alle quali il redattore, con "sguardo vitreo", non può che fedelmente attenersi.
"E' questo" un ulteriore aspetto da focalizzare, che riguarda l'inevitabilità che il bilancio -derivante dalla "partita" doppia! - sia conformato ad una serie di norme - di cui non "si può fare senza" - e standard, indispensabili acchè l'informazione non sia indirizzata dal redattore-" ignorante" a privilegiare alcuno degli interessi in gioco: perché ciò si verifichi occorre la formazione di un corpo di regole il più possibile condiviso e diffusamente utilizzato, allo scopo di consentire al bilancio-insieme di simboli l'efficacia che rinviene da "un bel linguaggio" codificato, che nessuno "porterà via".
La normalizzazione, come "i concerti", adempie alla diffusa esigenza di comparabilità nel tempo e nello spazio dei dati dell'impresa ("una domanda singola") nonché a consentire diffusione ai requisiti della affidabilità e verificabilità (una "domanda scomoda"), che trovano espressione negli istituti della revisione e della certificazione.
Ulteriormente può argomentarsi, "ma questo è secondario", sul concetto di specificità, affermando la vincolante esigenza che il reddito esposto possa interpretarsi, con "confidenza", come chiara espressione di un risultato prodotto nel periodo ed immune da politiche "torbide", volte a realizzare conguagli reddituali in prospettiva temporale (37).
"Ecco qui spiegato perché le più recenti posizioni dottrinali si orientino ad un sostanziale "elegante" relativismo, che vuole ogni soluzione adottata sul bilancio essere frutto dello specifico contesto ambientale di riferimento, "l'epoca mia": l'affermazione di nuovi modelli d'impresa - intesa (ma "è un fatto mio") come produttrice di nuovo valore, cioè di incremento del benessere non solo economico dei diversi soggetti coinvolti (38) -, riconducibili al processo di globalizzazione dei mercati e di assimilazione tra i diversi sistemi economici, impongono che il bilancio assuma forme e configurazioni trans-nazionali, consentendo la comunicazione mediante un unico sistema di informazioni, senza "bisbigli d'albergo".
Unificare ed uniformare i diversi simbolismi contabili significa proseguire "sulla strada" della spontanea assimilazione tra le prassi di diversi Paesi, più propriamente attribuire alla figura del bilancio europeo la dimensione di "un altopiano" comprensibile ed usufruibile da tutti i destinatari nell'ambito di una comunità nazionale ma - "ineluttabilmente" - da tutti gli interessati, attuali e potenziali, nei Paesi della Comunità Europea (39).

8) Conclusione
Il bilancio d'esercizio, nel suo "ballo" storico "dalle sei in avanti", è progressivamente uscito dalle secche di "una nebbia che sembra ... un bicchiere di acqua e anice" per approdare al "riverbero del sole" ed assumere la configurazione, almeno "domenica sera", di una manifestazione eclatante di buona fede: esso non è più - e quando lo è stato si è trattato di "un vecchio errore" - "un pensiero già svanito" quanto uno strumento completo di conoscenza che deve "certamente" evidenziare lo stato dell'impresa, le sue problematiche, le sue prospettive, "tutte... figure (che) han mille sfumature".
E' quindi possibile che mentre "l'ombra è ambra", tra mutevolezze economiche e fugacità politiche, il "buon diavolo" che forma "ingenuo" il bilancio debba ammettere - con logica "amara" - che se "non sa" non può più fare ricorso al "mestiere", essendo indispensabile - "prima, durante, dopo" - "una grande" "professione", "che è tutta un'altra cosa".
Il bilancio così concepito - che richiede "bravura" e "sapienza" - è figlio di questa stagione di "inverno", in cui "nessuno mi ama come ... amo io": "poi", quando "più niente resterà del nostro mondo", ci saranno da "raccontare" i bilanci di "troppe" "banalità" vissute in "vestaglia", magari ciascuno "per non morire", "chiuso in sé sempre di più"...


NOTE
1) D'Amore M., L'evoluzione delle funzioni del bilancio d'esercizio dell'impresa, in "Il ragioniere commercialista", Napoli, 1993.
2) Minafra R., L'impresa come entità sociale, in "Economia Brindisina", 3/1992.
3) Rostow J., The Stages of economic growth, Cambridge, 1961.
4) Bruni A., Origini e scopi del bilancio, Giuffrè, Milano, 1961.
5) Ceccherelli A., Il linguaggio dei bilanci, Le Monnier, Firenze, 1939.
6) Poli R., Il bilancio d'esercizio, Giuffrè, Milano, 1971.
7) Confalonieri A., Banca e industria in Italia 1894-1906, vol. I, Bologna, 1977.
8) D'Oriano R., Sugli sviluppi della informazione di bilancio, Editoriale Scientifica, Napoli, 1990.
9) Pantaleoni M., Alcune osservazioni sulle attribuzioni di valori in assenza di formazione di prezzi di mercato, in "Giornale degli economisti", marzo-aprile 1904.
10) Onida P., Il bilancio di esercizio nelle imprese, Giuffrè, Milano, (ristampa), 1974.
11) Bocchini E., Il bilancio delle imprese, Liguori, Napoli, 1979.
12) Saraceno P., La determinazione del reddito nelle imprese, in "Atti per Gino Zappa", Padova, 1982.
13) Avi M.S., Il bilancio come strumento di informazione verso l'esterno, CEDAM, Padova, 1990.
14) Colombo G.E., Il Bilancio d'esercizio. Struttura e valutazione, UTET, Torino, 1987.
15) Libonati B., I bilanci delle società, UTET, Torino, 1979.
16) Rossi N., Il bilancio dell'impresa: le sue differenziazioni e la sua interpretazione, UTET, Torino, 1965.
17) Ferrero G., Analisi di Bilancio, Giuffrè, Milano, 1972.
18) Bocchini E., opera citata.
19) Cassazione 15.VI.1959 n. 1825 e 31.V.1966 n. 1450.
20) Bearle A., Means G., The modern corporation and private property, New York, 1932.
21) Tribunale di Milano 23.XII.1968.
22) Tribunale di Milano 27.IV. 1970.
23) Tribunale di Milano 29.V.1970 e Appello di Milano 24.IX.1971.
24) Tribunale di Milano 11.II.1971.
25) Amodeo G., Gli "standard generalmente accettati", vol. I, Pisa, 1966.
26) Cattaneo M., Introduzione allo studio del bilancio d'esercizio, Ceiv, Verona, 1966.
27) Coda V., La certificazione dei bilanci d'impresa, Giuffrè, Milano 1966.
28) Poli R., opera citata.
29) Amodeo D., Il bilancio delle società per azioni come strumento d'informazione, Giuffrè, Milano, 1969.
30) Legge n. 216/1974.
31) Cattaneo M., Il bilancio nella attuale evoluzione della informazione societaria, in "Rivista dei Dottori Commercialisti", n. 6/1991,
32) Jager P.G. Il bilancio di esercizio delle società per azioni, in "Quaderni di giurisprudenza commerciale", n. 27/1980.
33) Coda V., L'orientamento strategico dell'impresa, UTET, Torino, 1988.
34) Foster G., Financial statement analysis, Englewood, Clipps, 1986.
35) Provasoli A., Il bilancio d'esercizio destinato a pubblicazione, Giuffrè, Milano, 1974.
36) Fasb, Economic consequences of financial accounting standards. Selected papers, Stanford, Connecticut, 1978.
37) Ferrero G., Principi contabili, Giuffrè, Milano, 1988.
38) Minafra R., L'impresa moderna: un problema diverso, in "Sudpuglia", 1/ 1994.
39) Viganò E., L'impresa e il bilancio europeo, Cedam, Padova, 1990.


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