§ IL PRIMO CAPO

QUELL'ARMATA BRANCALEONE




M. B.



Morì in età avanzatissima, a 63 anni, dicono gli esperti: traguardo più che rispettabile per l'epoca. Con ogni probabilità, fin quasi all'ultimo restò vigoroso, dalla volitiva, quadrata mascella che tanto rispetto aveva saputo incutere alla gente del luogo. Era stato piuttosto alto, aveva trascorso la vita a cavallo. Accanto a lui, con una cerimonia che dovette riunire molte persone, posero gli arredi di un capo. Si presume che si chiamasse Altzek. Forse le sue ultime ore non furono proprio serene. Sarà stato a causa di quella giovanetta, fiore mai colto, sepolta accanto a lui con gli arredi di una sposa; sarà stato per l'ultimo colpo d'occhio sul panorama naturale che lo circondava. Aveva viaggiato per anni, il cavaliere, aveva varcato montagne e paludi, rubato donne, governato città e alla fine si era ritrovato in una piana desolata proprio come i luoghi da cui era fuggito. Anni di lotte, per passare da una steppa ad un'altra. Per la prima volta in Italia, una necropoli dell'Alto Medio Evo svela civiltà e riti lontani migliaia di miglia, mostra tombe in cui cavalieri del Settimo Secolo erano stati sepolti insieme con i loro cavalli. Un'usanza asiatica mai comparsa prima dalle nostre parti, la prova di una presenza finora soltanto accennata dalle fonti proprio perché marginale. Non la storia di un'altra invasione, di un'ennesima migrazione dall'Asia verso il bacino del Mediterraneo: piuttosto, quella di una piccola truppa, di una "sporca dozzina" (o centuria: le cose cambiano poco) arrivata dalla Pannonia al Sannio senza carri, senza arredi, senza mogli, e forse anche senza scopi precisi, escluso quello della sopravvivenza.
Anche il nome dato al resti del primo "capo" trovato col suo cavallo esprime solo una speranza: Altzek, o Alzecone, si chiamava l'unico bulgaro di cui negli annali sia possibile trovare traccia. Era il quinto figlio del grande re Koubrat, l'unificatore di un popolo di nomadi-pastori allora sparso fra i corsi del Volga e del Danubio.
Anche definirli bulgari non è del tutto esatto: oggi la Pannonia ricade in territorio ungherese. Il re, comunque, era morto nel 642: del figlio si ritrova traccia una ventina d'anni dopo, fra Isernia e Campobasso. Che cos'era venuto a fare?
L'area da cui Altzek si muove è nel Settimo Secolo fra le più inospitali. Persiani, Turchi ed Avari la fanno da padroni, i nomadi-pastori se la passano davvero male. Così Altzek decide di partire e dirige verso Ovest con i suoi armati. Poca gente: se ne trova un labile segno nell'Esarcato di Ravenna, dove i Bulgari transitano, invitati sollecitamente a proseguire; e poi più nulla, tranne che per la stazione d'arrivo. Intorno al 660 Altzek e i suoi si presentano a Romualdo, duca longobardo di Benevento. Scrive Diodoro Siculo che i Bulgari, "di attrezzi agricoli provvisti e di bestiame", furono spediti dal Duca nelle valli del Volturno, del Biferno e del Tàmmaro. Una landa inospitale, falcidiata da scorrerie, terremoti e pestilenze, gelida d'inverno e torrida d'estate, con poca terra da coltivare e con pochi villici da sfruttare, con una sola via di comunicazione (la "Minucia" o Beneventana) e tre paesi in rovina. Di quei tre centri (Baiano, Serino, Isernia) Altzek diventa "gastaldo", vale a dire governatore in nome e per conto dei Longobardi.
La necropoli è proprio lì. L'antica via, oggi ridotta a poco più di un tratturo, scorre a meno di cento metri dai luoghi della sepoltura. I Bulgari dovevano essersi collocati a ridosso dell'antica "villa" romana: un'azienda agricola che almeno assicurava una sussistenza. La necropoli appare circoscritta, quasi isolata da altre tombe che pure affiorano nella zona come il cimitero di una orgogliosa minoranza. Guerrieri di razza centro-europea, donne del luogo.
Le "tombe dei cavalli" sono tutte lì: la prima, quella di "Altzek", poi altre due, infine 45 sepolcri che in genere contengono resti di donne o di bambini. Per i dignitari la fossa è più grande. Altzek aveva accanto uno scudo, una punta di lancia, una spada: appoggiato sul ventre, un lungo coltello. Sul fianco, steso come a guardarlo, lo scheletro di un cavallo.
Nelle altre due tombe di "capi", altri scheletri di cavalli e altri arredi. Uno dei cavalieri (sempre con lancia, spada e coltello) portava al dito un anello ricavato da una moneta d'oro e ornato da una pietra incisa con un simbolo.
Sulla vita di questo piccolo gruppo di cavalieri proiettato nella pianura sannita si potrebbe fare qualsiasi ipotesi. Ma senza dubbio quel che è emerso nell'area di Campochiaro costituisce una novità assoluta. E anche un "giallo". Bulgari ? Può essere. Quei cavalieri furono sepolti secondo costumanze asiatiche, seguite dalla Siberia all'Ungheria fin dall'età del rame.
E poi c'è il mistero della fanciulla. Nella tomba accanto a quella di Altzek sono stati trovati i resti di quella che sembrava una giovane donna, agghindata con orecchini di tipo asiatico, collane, monili, ciondoli. Un arredo particolarmente sontuoso. "La moglie del capo", pensarono subito gli archeologi, almeno fino a che esami più accurati spensero gli entusiasmi. Quella donna vestita come una cortigiana in realtà era stata soltanto una bambina: doveva avere nove o dieci anni al massimo. Non una moglie, dunque: forse una moglie promessa, una di quelle splendide creature che un tempo i capi usavano riservarsi in attesa che la pubertà le rendesse donne. Forse andò davvero così, forse no. Certo, i discendenti del gruppo si innestarono con naturalezza nel ceppo umano della pianura sannitica. Anch'essi furono tra i nostri padri, emersi dal buio dell'Età di mezzo.

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