§ NARRATORI DI FRONTIERA

BRAMA DI SOLDI




Anatolie Panis



E d'un tratto i soldi ti coprono il tavolo e tu cominci a contarli, e li conti, li conti... finché entri in una dolce agonia. Dici piano: uno, due... quarantadue, quarantacinque, ottantotto, ptiuf, sputi sui polpastrelli delle dita, ottantanove, novantaquattro... di nuovo un dito sulla punta della lingua, novantanove, cento! Come ieri, esattamente come ieri. Cento banconote da dieci, cento da cinquanta... di nuovo, cento da dieci, dieci banconote da cento! Hai capito? Cento da cento! Bello! Bello! Come suona bello! Madonna mi sta a guardare da lì, dall'icona. Aritina, metti un po' d'olio nel lumino da notte. E' di malaugurio dimenticare Dio quando si ha dei soldi. Il presidente del collettivo ha lasciato pure lui la sua bicicletta. Stai attenta e non chiedergli soldi. Potrebbe farci qualche guaio. Il presidente del collettivo la deve lasciare a ufo. D'altronde, tutti i presidenti devono lasciare le biciclette gratis da me. Quarantaquattro...
E' fine ottobre. Avremo forse anche un po' di spese. E' caduta la brina e la sera fa freddo. Sulle terre incolte si vedono i cardi. Il granturco è stato raccolto presto presto. In altri anni, la raccolta si faceva a stento; si potevano prendere allora anche dei campi... una bisaccia di pannocchie, una bisaccia di pomodori... cavolfiore... cavolo... Ora non dobbiamo prendere più niente, moglie!, "appropriarti" di qualcosa, in fin dei conti, vuol dire rubare. Basta! Noi vogliamo guadagnare i soldi onestamente! Il furto è una brutta cosa. Basta, non prenderemo più niente di ciò che non sia nostro! Accendiamo il fuoco! Quarantaquattro, quarantacinque, quarantanove... Piglio i tappeti che stanno sopra la cassapanca, ed alzo il coperchio. Prima di tutto uno sguardo "d'insieme", no, no, no, niente è stato mosso! Tutto è in ordine, in un bellissimo ordine. Esattamente come alla Banca di credito, alla Succursale nazionale o internazionale. E' vero, anche lì stanno bene, ma quei soldi sono di tutti, di una comunità, oppure di un capitalista panciuto; i soldi della nostra cassapanca, invece... questi soldi... questi sono miei, miei!
La prima operazione: cambio il loro posto. Potranno prendere muffa. Oppure, Dio me ne guardi, un topolino nella cassapanca, figuriamoci! Questo ci mancherebbe! No, non è possibile! No, un topolino proprio no, non ci può penetrare! La cassapanca è fatta in legno di quercia, quella dal margine della foresta, legno duro, e in più lavorato bene, fornita di ferro, fissata bene. Ho pensato io perfettamente a tutto.
Guardando e riguardando i soldi, puoi anche impazzire... Il piacere ti fa diventare proprio pazzo. Chi non avrebbe la voglia di una grande somma di soldi? Ed eccoli! Questi sono soldi miei, miei... Nessuno li toccherà mai. Sono miei, ora e sempre ed anche nell'aldilà, amen. Copri la finestra, tira la tenda, chiudi bene la porta, anzi, chiudila a chiave, prendi un foglio di carta da un quaderno, tira delle linee orizzontali. Quattro o nove, come vuoi. Quattro righe orizzontali e una verticale, per tagliarle. Conti cinque e su cinque. Nove righe orizzontali, una in piedi ma sulle orizzontali, e i conti si fanno di dieci in dieci. - Quanto manca ancora alla partenza del treno?
In atre parole, quanto manca all'arrivo dei pendolari?
Trentaquattro, trentacinque...la punta della lingua sa di sale e di binario. Venti minuti. Solo venti minuti mancano all'arrivo del treno.
- Vai e dai a ciascuno la sua bicicletta. Se chiedono di me, dì che non ci sono. Ho da fare.
Aritina si alzò subito. Cinquantadue, cinquantatre... banconote da venticinque, banconote da cinquanta leva, banconote di ogni tipo. Alcune frusciano, sono nuove, tante altre sono sporche. Le banconote di valore minore dovrebbero essere cambiate in banconote da cento. Occupano troppo posto.
- Vado! - gli disse Aritina.
Settantasette, settantotto...
Si sente il fischio di un treno. Sarà il treno merci. Da quando il mondo è mondo, i soldi tirano i soldi, come le pulci tirano le pulci. Succede anche diversamente, ma di rado... Ottantotto, ottantatre, ottantaquattro, novantanove... Va via! Mi disturbi! Di nuovo, mi manca una banconota!
Dietro Aritina, Varu (ora zio Varo) tira il chiavistello.
Vittima delle vicissitudini della vita e della miseria, immerso in se stesso e da se stesso, Varu decise di abbandonare il villaggio e di andarsene insieme ad Aritina. E' stato lui a volerlo. Trent'anni fa. Non a caso. Allora Varu faceva lo spazzino alla ferrovia. Resti di sigarette, briciole di pane, pezzi di carta sporca, stringhe di scarpe; insomma, passavano viaggiatori di ogni tipo. Aveva cura pure del pollame del capostazione e dava una scopa al marciapiede, nella sala d'aspetto, negli uffici, coltivava l'orto, i fagioli, le patate, i cocomeri; e d'inverno spaccava la legna, attizzava il fuoco, apriva sentieri nella neve, lavava i pavimenti, portava l'acqua dalla fonte. Fino al villaggio, sette chilometri. A casa veniva sì e no raramente. E sempre così, fino a quando, un giorno, Aritina, pensando che lui dormisse alla stazione... Basta! E' stata lei a cambiargli il binario. Il suo peccato...
La vergogna viene come viene, ma non si cancella mai, nemmeno con la morte.
Aritina è una donna bisbetica; non la puoi dominare se non legata ad un palo con corde grosse, e chissà forse neanche così. Rode la fune e via! Non le basta un uomo, neppure due...
Glielo dissero in tanti.
Frutto suo, o degli altri (solo il diavolo lo può sapere), comunque, apparvero due figli maschi. L'uno, Dionis, è ora chissà dove; ne ha fatte di tutti i colori; se mai verrà, chi lo sa quando verrà. L'altro, liberato dal servizio militare e furbo, spregiudicato, bandito, anima nera, vagabondo, svogliato. Il suo nome è Savin. Quindi, figli buoni a nulla, concepiti in un nuvolo di polvere alzata da un piede col calcagno screpolato. I suoi figli sono maligni. E' proprio di loro che ha paura. Possono benissimo fargli un "colpo". Chissà come ... Dionis o Savin, insieme e d'accordo... oppure Aritina, con un suo amante rovinato. L'accordo tra i vigliacchi prese a stabilirlo il vecchio Varu e non dorme più. Non ha dormito anche quando ha scoperto il tradimento di Aritina. L'ha abbandonata col cuore avvelenato, ma liberato; tanto per dire.
- Ahò! - gli aveva detto il capostazione - sei lo zimbello del villaggio!
- Eh, sì! E' una matta!
- Hai pensato bene? Proprio bene? - Si, ho pensato bene.
- Per sempre
- Per...
- Se fosse per sempre, sia, ma chiudere gli occhi una volta... o se sei in forse, perdonarla o no, tant'è vero, meglio chiuderli ora. Altrimenti, sarai proprio lo scherno di tutti!
E come, lo scherno di tutti?
Ora Varu si stava arricchendo da un giorno all'altro. Tutta la vita ha avuto un debole per i soldi. Ora li prendeva a palate. Non raccoglieva più le immondizie, i resti delle sigarette, di pomodori, lo sterco del pollame; ora la pala gli si riempiva di soldi. Molti, moltissimi, che trovavano sempre posto nella cassapanca.
"Nel socialismo - aveva sentito dire da uno, Parlamentu - tutti saremo un giorno uguali. La sete di ricchezze scomparirà poiché, non è così?, non si accetta più lo sfruttamento dell'uomo dall'uomo".
Parlamentu parlava da vero avvocato. "Un giorno" - diceva - "le leggi, nonostante la loro perfezione, studiate, approvate, diventeranno imperfette, poiché le eccezioni alla regola, gli arricchiti, faranno una nota a parte, di fronte alla grande massa degli uomini del lavoro".
- "E' vero" - gli rispose Vasilie, il suo vicino di casa e compagno di treno. Un fochista piglia tremila al mese e un uomo d'affari tremila per sera. E' uguaglianza questa?
- No, ma lo è.
- Lo è, perché esiste.
-- Sentii dire da qualcuno che i soldi non saranno più d'uso.
Parlamentu, sempre lui, che ti recitava paragrafi interi dai giornali letti, oppure li inventava, disse:
- La liquidazione della proprietà capitalista è un affare finito. La nuova società combatte la furbizia, lo sfruttamento e tutte le forme tramite le quali la gente si arricchisce illecitamente.
- Chi può, ne approfitta - ha detto un altro.
- Io non sono affatto contro quelli che si arrangiano. Bravi loro!
- Bravi loro, bravi ai ladri, è vero, ma quando vedi come si arricchiscono ti viene da grugnire come un maiale col muso per terra.
- Il maiale è la più invidiosa delle bestie. Non pensa, ma è sempre affamato.
E' da qui che cominciò lo stupore di Varu. Avvertito da Parlamentu, egli non sapeva ancora da che parte doveva andare. E come? E' forse legale guadagnare tanto, o no? Che cosa può fare un uomo con una moneta di un leu che offre a qualcuno "in un certo modo" per sorvegliargli la bicicletta? Chi offre, offre. Quella moneta non è un granché, anzi, è niente. Egli però le raccoglie, una dopo l'altra... piccoline, belline... Chi può parlare di sfruttamento in questo caso? E, scusi, chi sfrutta lui? Quelli che chiacchierano di tutto, bevendo acquavite e spendendo chissà quanto, mentre egli mette tutto da parte? L'uomo va alla festa di nozze di qualcuno, mangia una porzione di cavolo farcito, e dà 500 leva. Chi ebbe l'idea dell'acquavite? Per perdere più tempo?
Sentiamo gli sfruttati cosa dicono:
- Olteninskaia, porta dell'acquavite!
- Non è troppo? - gli chiese Aritina.
- No. Discutiamo sulla sorte del mondo.
- Questo è vero. Churchill beveva del whisky e masticava la pipa, noi beviamo l'acquavite e fumiamo una semplice sigaretta. Anche lui discuteva della stessa cosa, cioè delle sorti del mondo.
- E come la discuteva? Mica scherzava lui
- Chissà quando, e dove?
- Pur essendo un personaggio, anche lui è ora sotto terra! Così parlava di solito Parlamentu.
Olteninskaia, cioè Aritina, cioè la moglie di Varu, placata ora dalla vecchiaia, grassotta, "balsciaia", memore di tanti peccati quante lentiggini sono sulle sue guance, oppure con tanti peccati quante sono le zanzare radunate d'estate intorno alla lampadina elettrica, bisbigliò una specie di risposta della quale Varu non capì un'acca. Così l'hanno soprannominata questi sfortunati pendolari. Sfortunati per modo di dire, poiché del resto la loro intelligenza è acutissima; si sono ridestati anch'essi in un certo modo. Proferiscono parole da salotto, oppure di carrozza di prima classe, commentano di tutto; Roosevelt e Stalin fanno anche loro i pendolari, e va bene, lo devono fare anche i pezzi grossi. Comunque Olteninskaia non è ormai che una povera vecchiaccia.
Tempo fa sono arrivati alla stazione - supponiamo - Michele il Bravo e Tepes Vodà, dopo aver lasciato i loro cavalli davanti alla porta di Varu. Michele il Bravo è salito sulla carrozza di prima classe. Vodà Tepes sull'altra della seconda. Cercava un ladro che voleva impalare. Nei racconti dei pendolari, egli è il primo, mentre Tepes Vodà è diverso come carattere.
Due soldi per una bicicletta.
Non era più come prima, chissà quando, chissà come... Aritina è tornata a casa, quella presso la stazione. Una casa condannata alla solitudine, ma senza peccati, ormai. Condannata a tremare come una foglia tutte le volte che passano i treni; ora senza vicini... c'era un ferroviere che veniva vent'anni prima per comperare, diceva lui, un po' di latte... E' finita anche con il ferroviere! Come sono passati gli anni! Aveva venduto la mucca, aveva schiaffeggiato il ferroviere, ne seguì un processo, aveva fatto tre mesi di carcere, e poi tanta vergogna... Poi gli avevano tolto l'impiego alla stazione... "poiché", come diceva Parlamentu, "quando ti fa male un dente, ne soffre tutta la bocca". Ricordi di una volta. E sempre lui: perché l'hai bastonato, compare? Cos'hai guadagnato?
- Mi sono sfogato.
Prima, cioè all'inizio, solo tre-quattro individui pendolari lasciavano le biciclette alla stazione. Cioè le consegnavano a lui. "Ahò, compare Varu, ti lascio la bicicletta". "Lasciala". "Ho trovato anch'io un impegno in città". "Va bene".
... Allora guadagnava ben poco. Gli è stato difficile più che mai. Come poteva intuire il miracolo di quelle povere biciclette? Conosceva solo la fame. La fame e pochi soldi... nient'altro, niente di niente per sfamarsi. Con quali soldi avrà comprato un pezzo di pane?
Che brutta cosa! La moglie andava via e tornava poi con un pezzo di pane per il suo povero
marito rimasto a casa...
E i ricordi continuano.
Quando lo liberarono era un morto di fame, e come! Ciambelle calde, frittelle che gli facevano gola, pure la carta dell'involto inzuppata d'olio... mangiare la frittella con la carta insieme. Niente fa più gola di una frittella, quando sei privo di qualsiasi soldo, e affamato... affamato. Allora, quando era così, gli successe qualcosa d'insolito, proprio insolito. Passò un individuo... un signore... e aveva quel signore una banconota da cento, che fuoriusciva dalla tasca... un piccolo triangolo di una banconota da cento.
Il cielo gli diventò scuro, le ginocchia gli si piegarono, era meglio se fosse crepato dalla fame, crepato dalla voglia delle frittelle e dei salsicciotti, sarebbe stato niente, e di ciò ne era convinto, alle volte l'uomo non è nulla... che Dio gli spaccasse la testa in due... in due... ma intanto si avvicinò a quel signore e gli strappò quella banconota da cento con due dita... il triangolo rimasto fuori... e lì per lì quella fu sua, proprio sua, brutta cosa, proprio brutta, ma come fu facile!
Veramente proprio facile non fu; sudò freddo. Prendere i soldi di un altro appropriandoseli, mettendoseli poi in tasca... Infine si poteva pagare una buona frittella, e persino dei salsicciotti e poteva bere anche una buona birra... Come si sentiva bene con i soldi in tasca! Aveva soldi!
Da allora non bevve più birra con la stessa voluttà e non mangiò mai dei salsicciotti col gusto che provò quel giorno!
Ora sì che vorrebbe restituire anche una banconota da mille leva, a quel signore, se lo trovasse. Caro, caro signore! Signore! Dove sei? Forse non mi hai nemmeno bestemmiato! Potevi farlo benissimo in chiesa! Farmi del male, molto male... Maledirmi di non avere mai un soldo, per tutta la vita! E anche se li avessi, perderli, stecchirmi le dita contandoli... così, così... quarantaquattro, quarantacinque. Se ti trovassi, caro signore, se potessi... Ma tant'è vero che tu mi risparmiasti la maledizione! Mi inginocchierei davanti a te!
I pendolari crebbero di numero. Ormai se ne contavano una ventina e tutti consegnavano le biciclette a lui, a Varu.
Pure troppi soldi fanno male.
Ma senza... senza soldi.....oh, meglio non ricordarsene!
Ora la sua casa è più che mai piena di soldi. E' tanto piena che la cassapanca è strapiena di soldi... tanti soldi che vengono a valanghe. Senti come parlano i pendolari: "Tu quanto pigliasti questo mese? Tanto e tanto". Via, essi riscuotevano poco. Egli, invece, guadagnava dieci volte più di loro; soldi a palate. Soldi, sempre soldi... Però qualcosa non andava. Sapeva che qualcosa non andava bene perché nel mondo non si può vivere di soli soldi, interviene poi l'invidia, il controllo della società, l'imprevisto, insomma, intervengono tante cose certamente; se non smetterà di accumulare alla cieca, finirà male, senz'altro. Ma sarà mai capace di smetterla una buona volta?
La brama dei soldi è micidiale. Ammalia senza via d'uscita. Possiede l'individuo soggiogandolo senza scampo. La sete del potere come la sede dei soldi è difficile appagarla. L'uomo, ahimè, non è che un povero uomo! Debole! E come potrebbe fermarsi, porca miseria! Il piacere dei soldi è il piacere del diavolo, e l'uomo, prima di tutto, ha le corna, una coda, veleno e fuoco nell'anima, è debole davanti a tutte le tentazioni, odia e bestemmia, si scatena, è fanatico e pazzo per la ricchezza. Dunque, come fermarsi?
Eppure, tentazioni o non tentazioni, un giorno o l'altro dovrà chiudere bottega, cioè piantar baracca e burattini e via. Che aspettava ancora? Cosa vorrebbe di più? Essere smascherato dall'invidia degli altri? Quanti non lo farebbero, e anche con immensa gioia! E lui invece quanto vorrebbe guadagnare ancora? Quanto? Stefanescu, quel disgraziato che trasformò tutta l'acqua di Dâboviza in tutti i tipi di vino, bianco, rosso, rosè e spumante ... quello sì che è stato un... Ebbene? Uno scemo è stato. Aveva accumulato tre milioni ... Ma poi? Come finì?
Quando si hanno tanti soldi, vediamo un po' cosa succede. Un milione rende interessi per trentamila leva all'anno. Tre milioni, novantamila. Diviso per dodici mesi si ottiene la bellezza di settemilacinquecento leva? No? Ed, allora, vada avanti! Ancora ed ancora, stipendio di direttore generale! Anzi, vuole salire di più, cioè più in alto! stipendio di ministro voleva pure Stefanescu, cioè uno stipendio di quindicimila leva al mese. Cinquecento leva al giorno! Ed è finito dove? In galera, certo, perché ha voluto anche mille leva al giorno... mille leva!
Quasi quasi il guadagno di un'estate di un povero collettivista.
Ma lui si chiese: cosa sono mille leva in fin dei conti? Un bel niente. Sale su di un tram e come non bada al biglietto paga una multa di trecento leva; se sale in un filobus dopo, sempre senza biglietto, ne paga un'altra di trecento. Quindi sono già seicento. Viaggia in treno, un'andata, sempre senza biglietto, e sono ancora altri trecento. Uno mangia una salsiccia, beve cinquanta grammi di quel liquore ambito... spende mille! Ritorna a casa con le tasche vuote. Cosa valgono oggi mille leva?
- Che fai, padre, ti sei chiuso in casa?
- Aspetta, caro, mi devo mettere i pantaloni.
... Butta i soldi a vanvera nella cassapanca. Come se li mettesse con la forca... perché mai gli riesce di contarli per goderseli, come si gode il tramonto del sole... Vederseli ben sistemati, uno sopra l'altro, tutti belli, magari per soddisfarsi lo sguardo... dimenticarsi di se stesso, guardandoli... così pazzamente... come è bello guardare i soldi da pazzo, in completo abbandono di se stesso, quando...
I soldi della cassapanca si devono riordinare ogni tanto. Perché non ammuffiranno. Come si fa col trifoglio... Ma non di muffa si tratta, si tratta di tutt'altro... Si tratta di non perderli... oh, la paura! Neanche mio figlio dovrebbe sapere, e in fin dei conti nessuno deve sapere dei miei soldi!
Lasciò cadere dunque il coperchio della cassapanca e sopra il coperchio mise in fretta i tappeti.
- Babbo!
- Abbi pazienza, ti apro subito!
Quanto sudore! Si fa presto a sudare. Si suda per via del lavoro, ma anche per via della paura. E ancor peggio con la pace che si sta perdendo, col sospetto che oggi o domani... oggi... domani...
E' vero, suo figlio. L'ha riconosciuto dalla voce.
- Aspetta, mi sto mettendo i pantaloni.
Al diavolo!
Era, si capisce, già vestito, ma dovette sistemare bene i tappeti uno sopra l'altro, tutto in ordine.
Affinché non si notasse che qualcuno avesse cercato qualcosa dentro. Lo farà invece meglio un'altra volta. Forse... ma quando? Starà a guardare e a sistemare i soldi tre giorni e tre notti. Finalmente aprì. Varu è confuso. Distolto dalle sue dolci torture come nessun altro. Stende la mano a suo figlio. Smarrito, senza il sentimento della gioia paterna. I soldi gli hanno velato non solo lo sguardo, ma anche i sentimenti. Ti allevai, figlio mio, ti allevai bene, e neanche ora mi dai pace! Rimani infine a casa, per carità! (A casa da me, si capisce. Tu a casa! Com'è possibile? Vagabondo! Tu non sai come si fanno i soldi!).
- Venisti!
- Venni.
Il giovane non aveva affatto l'aria di un contadino. Era diventato furbo. Ma neanche Varu è un vero e proprio contadino. Non lo è stato mai. E' un arrivista. Ha fatto quattro classi ginnasiali. Poi, anziché approfittarne, istruirsi, è entrato in un periodo di cretinismo. Non ha approfittato della sua "intelligenza", se mai l'ha avuta (se è concesso a uno di considerarsi intelligente); s'illuminano, altri invece indietreggiano e diventano addirittura stupidi. Un passo avanti, un passo indietro, ma con un piede che ha il calcagno avanti. Così: calcagno avanti. Avanti! Ma come? Senza scopo e senza orizzonte. Così ha camminato avanti Varu, calcagno avanti, avanti! Gambero una vita intera! E d'un tratto la Provvidenza appare al miserabile. Nel suo isolamento totale, in apparenza definitivamente compromesso, irrimediabilmente, da una vita disperata, ecco i pendolari. La grande e imprevista fortuna.
- Cinque leva per bicicletta.
Il numero dei pendolari crebbe. Tutti correvano verso la città per un lavoro o per un altro. Lavoravano, è vero, volenti o nolenti, nell'azienda rurale, ma la "base" era nella città. La quindicina, il giorno dello stipendio, anche se i soldi son ben pochi, sono sicuri. Erano cinquanta pendolari. Allora non si faceva intravedere l'arricchimento. Neanche nella fantasia. Cinquanta pendolari venivano in bicicletta fino alla stazione, lasciavano le biciclette a Varu, salivano sul treno... perché così è la vita, la loro nuova vita. Cinquanta, moltiplicati per cinque, per ogni bicicletta, fanno duecentocinquanta leva; ebbene, un mezzo sacco di granturco.
Sin dalle classi ginnasiali si è ribellato: perché mai sono così scemo, scemo, scemo?! Sfortunato dichiarato. Perché la fortuna è come se la fa la donna che hai scelto. Perché mai non riesco a vestirmi di soldi? Perché? Vorrei vestirmi con un sacco di soldi... Cucire le banconote, una dopo l'altra, e farmi delle calze di banconote, come dicono quelli della Banca. E poi una camicia. Si è imprestato una somma dalla Banca di credito, così per fare effetto; macché cotone, che lana o nylon! Biglietti da cento! Calze e camicie di banconote da cento! Con i soldi presi in prestito dalla Banca di credito, dalla mutua, vuol concepire un grande piano.
- C'è gente sempliciotta. Qualche volta il caso decide la sorte dell'uomo che aspetta la morte mangiando e dormendo, senza passare ad un avvenire migliore. Senti, Varu, per molti va bene la vita così com'è; ma per moltissimi dovrà essere altrimenti.
Ebbene, Varu, perché non hai continuato gli studi? Parlamentu si riferiva alle quattro classi ginnasiali.
- Non te lo saprei dire.
- Invece te lo dico io. Tutta colpa del regime borghese-feudatario.
Ma Parlamentu non aveva ragione. Nessuno era colpevole, quindi neanche il regime borghese feudatario. La colpa era solo sua, perché era ritornato alla santa cioccia. Per modo di dire.
Poiché la vera colpa era quella di aver preso Aritina come moglie, Aritina che, a sua volta non ricominciamo.
- Ti ho portato delle patate! - gli disse il figlio.
- Cosa?
- Patate.
Suo figlio è matto, matto! Che bisogno aveva di patate?
Se avesse voluto comprarsi un treno di patate, nessuno si sarebbe meravigliato. Ormai si sapeva bene, Varu aveva tanti soldi, tanti.
Da dove le hai prese, figlio di malaugurio? - Da un treno. - Ma cos'hai fatto? - Le ho rubate. Guarda come sono belle. Dall'altra parte si sentono le stesse parole:
Come diavolo potrei portarle a casa? Patate di prima scelta. - Al diavolo, voi tutti! Farabutti, spregiudicati! Tutti avevano rubato delle patate! Hanno trovato un treno carico di patate, l'hanno assalito, e l'hanno svuotato! Ecco tutto!
- Farabutti, maledetti! Cosa avete fatto, e come?
- Perché mai, che dici? - si arrabbiò il figlio.
E' suo figlio, Savin. Potrebbe essere anche l'altro, Dionis, tanto è lo stesso. (I figli non mi fanno più sentire affetto per loro). Incredibile! Patate!
- Scemo! Questo è un delitto! Solo chi non vuole, non vi mette in galera!
- Perché babbo, perché?
Via, Savin è fatto così, ma gli altri, come mai si sono permessi di rubare tante patate?! Chissà dove dovevano arrivare. A chi appartengono. Che cosa dirà il beneficiario! Chiamerà senz'altro la milizia!
Domanda dall'altra parte:
Quante patate hai rubato, ladro che non sei altro?
Risposta di là:
Due sacchi. Ma come diavolo le porterò?
- Va bene, le hai prese, le hai rubate, le hai fatte tue, e ora, come portarle? Sulla bicicletta! Come potresti altrimenti?
- Ci siamo specializzati così bene che su una bicicletta potremmo portare anche un bue.
- Vivo oppure a pezzi?
- Andiamo a cercare un bue!
Ma intanto, finché i pendolari trasporteranno a casa la loro preda, beviamo un po' d'acquavite.
- Non posso trasportare due sacchi alla volta
- Metti un sacco sulla canna della bicicletta... però, l'altro no. Hai ragione. Lo lasci qui fino a domani sera.
- Nooo ! - gridò Varu.
Come permettere ai pendolari di lasciare i "loro" sacchi a casa sua? Se poi viene la milizia a cavallo? Dove sono le patate del treno? Vedono... Saranno già qui intorno... in questa casa che è vicina alla stazione... La merce è stata depositata nei dintorni. Dove? In una casa vicino alla stazione. Da Varu! E poi? Varu, che cosa hai in quella cassapanca? "Non sono affari vostri. Io qui ho tanta roba. Sono affari nostri". "Invece Varu, a noi interessa tutto. Chi ruba oggi una patata... sai bene il proverbio con l'uovo e la gallina: chi prende l'uovo, prende anche la gallina! Su, alza il coperchio!". "Ma ho delle cose mie, roba da nulla!". "Vediamo questa roba da nulla". E poi, una volta aperta la cassapanca: ma guarda che roba da nulla! Soldi! Tu ti copri di soldi, Varu. Come hai fatto tanti soldi? Come ci sei riuscito? Quanti treni hai assalito per rubare tante patate, quanti? Quindi, eri tu, Varu, quello che... Ora, Varu, pagherai tutti i cocci rotti!". "Questi soldi non sono frutto delle patate, capo, come crede lei... Questi sono soldi guadagnati onestamente, sono le tasse di quelli che lasciavano le biciclette da me". "Sarà, ma da queste tasse fare proprio un milione di leva! Un milione! Conta!".
- Savin, ti rendi conto di cosa mi hai fatto?
- Che ti ho 'Tatto"? Ti ho portato patate!
- Rubate.
- Macché, io sono più scemo degli altri?
- Tu sei la mia rovina!
- Io mi son detto che ti faccio un bene - ripose Savin.
- Al diavolo, il bene che mi hai fatto! Portale da dove le hai prese. - Cosa portare?
- Le patate!
Savin ride. Chi ha mai sentito di un ladro che abbia riportato la preda presa da chissà chi? La porterà, forse, ma solo allorquando sarà costretto, quando sarà scoperto... ma ora? Viene Aritina.
- Perché litigate?
- Che porti le patate indietro - gemette Varu. Aritina vide tutto d'un solo sguardo.
- Perché riportarle, perché? Se hanno preso tutti... Ho visto anch'io. Mezzo vagone! Rise, divertita.
- E l'altra metà, quando il vagone arriverà dove arriverà, credi che il beneficiario, chi sarà o come sarà, firmerà la ricevuta per un vagone intero? Non chiamerà la polizia?
- Perché cosa?
- Per il vagone devastato, che altro? Il vagone! Come spiegarti? Il vagone! - Balle !
Varu non seppe cosa rispondere. Avrebbe voluto dire che in ciò che lo riguarda, almeno in quanto a loro, per loro, il furto è proibito. Assolutamente proibito! Nessuno li deve sospettare di niente. Mai un fatto illegale, mai un sospetto. Non devono provocare un controllo. Non offendere nessuno. E neanche acquavite devono dare ai pendolari. Niente! Niente! E non litigare con quelli che bevono senza pagare. Gli uomini quando bevono diventano buoni, ma anche astiosi. Pagheranno un giorno, chissà quando. Non forzarli. Poiché anche così può succedere qualcosa. I pendolari sono gente onesta. Non hanno sempre soldi. Quando riscuotono lo stipendio, vengono e pagano i debiti. Il registro dei debiti è santo. Se l'uomo vuole bere qualcosa, beva. D'ora in avanti ciascuno avrà per forza un conto corrente. Per questo è pregato di firmare. Quando paga tutto, gli si cancella la somma con il lapis rosso, davanti ai suoi occhi. Per essere onesti. Onesti e puliti. Non devi segnare niente di più. Devi essere gentile con loro, anche se sei in perdita. Non litigare. Non destare in loro l'invidia. Ma gli mancava la voce.
- Dieci leva per bicicletta!
Ora comincia il bello. Ed egli ricorda tutto! In un attimo è capace di mettere tutti gli anni insieme, con tutte le loro vicende. Ormai erano cento pendolari. Questo, tanto tempo fa... Ma quanto tempo è passato da quando non guadagnava niente o quasi? Poi arrivarono a cento... mille pendolari... vera industrializzazione, come diceva Parlamentu... in campagna rimarranno sempre meno uomini. Ma abbandoneranno i loro villaggi; faranno i pendolari. Un vero fenomeno, questo dei pendolari! Quindi anche il prezzo era salito... a dieci leva per bicicletta... poi vennero ancora altri pendolari... ed è salito anche il prezzo, che è arrivato a venti leva. Una somma minima, per uno che paga l'abbonamento alle Ferrovie meno di cento leva? Niente. Se non avesse la bicicletta, come farebbe? Sette chilometri! Ritornerebbe a casa a piedi? Oppure la mattina, partirebbe all'alba? Sette chilometri, quando si va a piedi, li fa in un'ora e un quarto. Che fa il pendolare? Va e viene dal lavoro. La sua bicicletta lo aspetta tranquilla e sicura. E se gli si sgonfia una gomma, Varu la ripara subito. Macché! Lui non esita: non si risparmia? Dove troverà mai un servizio come questo? Venti leva non valgono niente! Duemila pendolari... Quarantamila al mese. Un bell'affare. Così si chiama. Ma io non faccio affari. Io sorveglio le biciclette degli uomini e invece di guadagnare... ecco, se piantassi dei pomodori nell'orto, diciamo cinque o seimila leva per l'estate li farei senz'altro, ma io ho "piantato" delle biciclette. Le tengo in un luogo sicuro, e non devo annaffiare le loro radici. Sorveglio semplicemente le biciclette, le sistemo bene... le spolvero o le pulisco dal fango, e così faccio un vero affarone, non è vero? Fare questo lavoro, gratuitamente, non mi va veramente. Non faccio il capitalista io, come direbbe Parlamentu, ma se non guadagnassi qualcosa, il "problema" non m'interesserebbe. E' vero, ho avuto il vantaggio di avere la casa vicina alla stazione. La mia fortuna. Finora tutti mi hanno detto che sono la maledizione del villaggio, poi è venuta la moglie... che avrà avuto chissà quanti amanti, ma ora le è passato, ed è una donna onesta, guadagna dei soldi, gaudagna sì, ma la mia vergogna di una volta, chi me la paga?
Dall'altra settimana, Saitoc tratta con Aritina.
Olteninskaia, ti vendo un sacco di patate.
- Per quanto?
- Un lev al chilo. Il sacco ha settanta chili... niente!
Dunque Saitoc ruba patate da un treno e poi le vende per un lev al chilo. Affar suo, ma con i soldi presi per le patate si paga l'acquavite. Quella che beve. A chi la paga? Ad Aritina Olteninskaia, come la chiamano. Vendendo l'acquavite si può pigliare cinque leva, o dieci, al chilo. Bevanda buona! Ma rivendute al propoche costa, e non guadagnare nulla? Chi agisce senza avere un piccolo vantaggio? E' vero, ma proprio voi che bevete questa acquavite vi potete lamentare un giorno che vi ho "sfruttato" guadagnando cinque leva al chilo ? Vendete anche voi! Non vi conviene! Voi non avete la casa vicino alla stazione, voi abitate nel villaggio... da voi è diverso, avete anche delle feste, nozze, battesimi, kermesse, e chi di voi si è chiesto ad una kermesse o a qualsiasi altro festa che cosa fa Varu alla stazione? Poveracci! E poi io spendo tanto per trasportare l'acquavite dalla città. Spendo davvero. Ma io ti obbligo di berla?
- Ahò, gli disse Parlamentu - evita lo sfruttamento. Porta molto male.
- Io non ho sfruttato nessuno.
- Lo sfruttamento. Vero e proprio lo facevano i borghesi-feudatari.
Finirai con il vedermi così.
E' per questo che te lo dico; non proprio così, ma attento e non peccare come loro!
- E cosa vorresti fare? Procurare l'acquavite con 40 leva al chilo e rivenderla allo stesso prezzo? Chi ti lava il bicchiere, la tazza, dopo? Di chi è il bicchiere, di chi è la tazza? E se si rompe un bicchiere, chi spazza i cocci per terra? E quando si sputano tante porcherie, bestemmie, invettive, sciocchezze, chi le sente?
- Io ti dico di stare attento! Saitoc vende le patate a un prezzo di niente. Gli conviene, perché le ha rubate. Non ha fatto alcuno sforzo per averle; conveniente anche per Olteninskaia che le ha comperate per nulla. Tutt'e due sbagliano però, poiché, rispettando un'altra legge, quella della giungla, quella dei capitalisti, - come dice Parlamentu - egli, Licà Varu, le rivenderà a prezzo di mercato, non di più - diciamo - e le cose si complicano di più.
- Patate, no! Fuori con queste patate!
Il mio mestiere sarà onesto o disonesto, secondo il modo di vedere... sì, disonesto, ma perché mai disonesto? La legge dell'offerta: se ti piace, comperi. Se no, via! Io non faccio niente di male. Io sto tutto il santo giorno a casa a sorvegliare le biciclette consegnatemi. Le metto al riparo dalla pioggia e dal vento, e qualche volta anche dalla ruggine. Quante biciclette sarebbero state mangiate dalla ruggine, se fossero rimaste sotto la pioggia e alla furia dei venti? E poi è non è facile conoscere ogni bicicletta in ogni sua parte se tutte sono uguali come due gocce d'acqua! Io conosco ora qualsiasi graffiatura, il clacson, la ruota anteriore e quella porteriore, la sella. Di chi è questa bicicletta? Ed io rispondo subito di chi... e pronunzio il nome. Faccio di tutto per piacere a tutti; e così faccio contenti tutti. Investire tanto, come è successo a me, poiché di investimenti ne ho fatti abbastanza non si scherza, sempre con il desiderio di essere di gradimento a tutti. Per esempio, la rimessa di venti riceveva prima quaranta biciclette da un lato, e quaranta dall'altro. E non è stato sufficiente. I pendolari si accumulavano. Ho allungato la rimessa ed ho ridotto lo spazio iniziale di ognuna di esse. Da due biciclette su un metro lineare sono arrivato a tre. Poi a quattro su un metro lineare. Rastrelliera lavorata in ferro battuto, come la porta di una fabbrica di un film vietnamita. Sedici leva il chilo di ferro, curvato, saldato... mica facile, vero?... Guarda, amico, questo è il tuo posto, dicevo ai pendolari.
- Ho capito, zio Varu.
Le biciclette stavano buone alla rastrelliera. Belle, come in una fotografia. La rimessa è stata allargata tutt'intorno al cortile. Ordine perfetto, come al reggimento. Anche se il pendolare arriva all'ultimo momento, può conoscere subito il suo posto, e non sbaglia mai. Buona o cattiva, la sua bicicletta è alla rastrelliera in santa pace. Quelle guaste, le aggiusto io, ché me ne intendo abbastanza. Chi è operoso e lavora, o è scemo o non pensa - si dice. Con me non è mica così. Io penso.
Licà Varu continua il suo monologo. Si è procurato della vaselina dai meccanici delle locomotive diesel. Per niente. Ha comperato anche un fascio di raggi per le ruote, pompe russe e romene, delle toppe a caldo, adesive, e tanto di valvole. Quando l'uomo torna a casa, trova la sua bicicletta in perfette condizioni. Sa bene che l'ha lasciata sgonfia e la trova a posto. Gran bella cosa! Sale in sella, e via!
- Savin, tu quanto guadagni lì dove lavori?
- Duemila.
Sempre la stessa bugia. Savin sì e no lavora. E' un vero vagabondo, un parassita.
- Se tu venissi qui, con me, potresti pigliare più di quattromila - gli propose il padre. - Come potresti darmi tu quattromila? - chiede lui.
Errore, grande errore! Gli ha fatto capire che ha soldi in abbondanza; che ha la possibilità di pagarlo bene, e non solo con quattromila. Quanto gli darebbe, se non avesse questi soldi? Come? A parole? Errore! Praticamente, sì... in pratica ne ha... la cassapanca... Potrà mai un giorno fare i conti di tutti i soldi che ha? Con calma. Godere tutti i suoi soldi, magari per un giorno intero.
- Senti. Vorrei farmi costruire una rimessa per le macchine.
- Fare che? - fece Savin, stupito.
Una rimessa per le macchine. Non per una sola, come Nicu Toma, quello che non mi dà pace nelle riunioni, ma una rimessa vera, per più macchine. Per molte.
Parla, perché?
- Quando i pendolari si compreranno delle macchine, cioè quando verranno con le loro macchine fino alla stazione, e non con le biciclette come ora, verranno da me, qui... da Varu, nella mia rimessa. Poi Tizio e Caio va a Bucarest col treno, perché meno caro, risparmia della benzina, e quando torna, piglia la macchina dalla rimessa, bella e fresca, e va a casa tranquillo.
- E dove farai questa rimessa?
Queste chiacchiere appartenevano ad un altro periodo. Lo spazio della rimessa lo aveva già individuato. Dove? Subito dopo la porta si apriva una discesa fino a due metri dalla superficie della terra. Scendeva sotto tutto il cortile e persino sotto la casa. Una specie di sottopassaggio come a Bucarest, ma non per passare da un'estremità all'altra, bensì il luogo dove nelle nicchie speciali potevano sostare le macchine. In ogni nicchia una macchina. Gli scavi avrebbero potuto incominciare anche domani. Dunque, una discesa leggera all'ingresso e una pendenza all'uscita. La macchina entra da una parte ed esce dall'altra. Niente pioggia, niente neve. Tutto sistemato sotto terra. Le prime due nicchie potranno essere pronte in tre mesi. Gli scavi fatti con una vanga, un piccone, una pala, una carriola, e tanto sudore. Tempo ne aveva abbastanza. Oggi poco, domani di più, in meno di un mese la nicchia potrebbe essere pronta. Più le macchine si accumuleranno, più la rimessa sarà allargata. E così darebbe una buona lezione a tutti quelli della città che tengono le macchine sul marciapiede, così che un povero pedone vola fra l'una e l'altra a zig-zag, come un ubriaco. Cemento armato dappertutto, e la terra scavata viene trasportata sulla via, oppure nella fossa, dietro la stazione. Dunque, le biciclette su, e giù, sotto terra, le macchine. Formidabile! Un lavoraccio e tante spese, ma verrà fuori qualcosa di grandioso! Un simile capolavoro varrebbe una somma guadagnata in una vita intera, oppure non sarà mai pagata, ma diventa comunque estremamente utile nel contesto della nuova civiltà. Vale dunque provare. La rimessa sarebbe illuminata a giorno. In più nessuno lo potrebbe condannare che sfrutta uno spazio sotterraneo. In altre parole, così dovrebbe essere dappertutto; il sottoterra dovrà "inghiottire" le cose utili, e inutili, la roba vecchia, "i mezzi" di produzione, la pala, il piccone e la mappa, come direbbe Parlamentu. Su verdura, alberi, frutta, mentre, sotto terra, macchine, biciclette, legna da fuoco, depositi... Le cose brutte occupano troppo spazio, come fanno per esempio le stazioni di macchine agricole. Una macchina scombinata, cioè guasta, appare come un mucchio di ferri arrugginiti che occupano troppo spazio. Ma queste sono balle. Ora Varu è entrato con Savin nella cucina estiva, in cui i pendolari bevono un po' di acquavite. Sono molti, quasi una ventina.
- Sentite.
E' così che comincia lui. Sentite, sentite. I pendolari stufi delle loro case e senza alcuna fretta di badare ai lavori che li aspettano lì, ubriachi, svogliati, lo stavano a sentire.
- Vorrei - disse Varu - vorrei che voi smetteste di bere la mia acquavite.
Avrebbe dovuto dire anche che aveva una forte paura di pensare di dover lasciare questi posti. "Ho accumulato tanti soldi, troppi, ma se rimango ancora, li potrei perdere. Devo andar via... Sono stanco... ho lavorato troppo... Non voglio più guadagnare, rinuncio anche alla rimessa sottoterra, mi basta quello che ho messo da parte. Andate, lasciatemi fare i bagagli, in due camion metto le cose di prima necessità, e poi voglio andare ovunque, perdermi e spendere ciò che possiedo, in santa pace. Non voglio finire come Stefànescu... sapete tutti, "il miracolato", che ha trasformato l'acqua in vino... Dîmbovita, Ialomita... certamente, non ha parlato così.
- Andarcene? E perché?
La domanda è messa al tempo presente. In altre parole, Varu avrebbe un affare passeggero, come ognuno di noi, e ci prega di andarcene, lasciarlo solo, col quel bel tipo di suo figlio, col quale avrà qualcosa da parlare, chissà?
- Non vi darò più da bere.
Impossibile, incredibile!
- Ma che ti succede? Hai litigato con qualcuno?
Varu vorrebbe spiegare loro tutto, ma anche attraverso l'avarizia delle parole si può capire qualcosa di più. Sfortunatamente, fra i venti pendolari, Parlamentu manca. Egli sì che avrebbe saputo mettere il punto sulla i.
- Ti ha denunziato un imbecille? Chi è?
- Io lo ammazzo, porca miseria! - disse un altro.
Parole di furia. Non c'è nessuno che lui possa ammazzare. L'uomo ebreo, è capace di tutto. Una volta addormentato, dimentica tutto. Sveglio, è mite come un agnello.
- Sentite - disse Varu, pesando ogni parola, un giorno sapranno che io vi ho dato questa acquavite. Loro sentono tutti, ma mi "lasciano" un po' di tempo, dopo di che... sarò denunziato persino da uno di voi, non c'è mica da meravigliarsi, se non sono già stato denunziato... è che non mi conviene più, basta!
- Al diavolo tutti...
- E no! Altro che! Io non lavoro secondo un piano stabilito come quelli della Cooperativa. Io non sono una istituzione o un obiettivo socialista. Io sono un povero miserabile, privato, buttato e dimenticato in questo posto, fuori dal mondo, eppure in mezzo a tanta gente qui vicino alla stazione.
Olteninskaia lo guardava di sbieco. I lamenti di Varu lo infastidivano. Non lasciavano prevedere niente di buono.
- Prendo l'acquavite dalle Alimentari statali, cioè a buon mercato, non chiedo niente a voi, come fanno alcuni capitalisti, ma il mio prezzo è inferiore a quello della Cooperativa, del bar!
- Ah, è questo il guaio?
- Niente guaio - salta Gheorghe Constantin, uno scheletro d'uomo, ma pieno di veleno. Ti paghiamo il prezzo del bar.
- Non si tratta di questo! - si difese l'oste.
- Allora di che? - chiese Pestec. Per noi il Paradiso è qui, da te! Ci sentiamo benissimo. Il nostro pezzo di Paradiso ce lo facciamo noi. Chi ce l'ha con noi?
- Senti! Io vendo a danno degli incassi del bar. E' chiaro come la luce del giorno. La bevanda che bevete qua, dovreste consumarla là!
- Balle! Tutto inutile, perché noi ci sentiamo bene qui. Qui è il nostro Paradiso, poveri noi!
Quando scendiamo dal treno - insistette Pestec - noi veniamo da te. Noi siamo abituati qui. Hai capito?
- Al bar c'è un piano preciso di Stato…….Con il piano di Stato non si scherza! Dev'essere attuato!
- Ahò! - insistette ancora Pestec. Tu ce l'hau la denuncia. Ma devi sapere che non è partita da uno dei nostri! Che sono uomini tutti d'un pezzo, noi non siamo spioni, hai sentito?
- Denunciato o non denunciato, parlo sul serio. Non vi posso dare più da bere. E poi prendetevi anche le patate! Mi mettono in galera per colpa vostra!
Invece non l'hanno messo in galera. Le patate rubate dal treno rimasero sue. Passate dal patrimonio socialista al patrimonio privato e viceversa. Le vie del Signore sono sconosciute! Ne succedono tante in questo mondo! Eppure fu un guaio! Un altro, certo!
Prima, è venuto il controllo del C.A.P. Hanno messo su anche loro una specie di rimessa, improvvisata. Accanto alla cosiddetta rimessa, costruita in un solo giorno, hanno piantato una guardiola. Dentro hanno messo una guardia e gli hanno detto: due leva per ogni bicicletta! E' successo che questa guardia, sia Nicu di Pavel, sia Petre di Cernàianu, o un altro, stando così indifferente, passiva, svogliata, inutile, avendo tempo libero sufficiente, veniva da Varu per rinfrescarsi. Due leva per una bicicletta è un po' troppo; e perciò le facevano a metà, bevendo un po' di acquavite da Varu. E così le biciclette non erano più messe al sicuro. A ciascuna mancava qualcosa, sia la pompa, sia la valvola, ecc., e i pendolari ritornarono da Varu, poiché le loro biciclette erano ben sorvegliate, ben mantenute, protette, sistemate... e costava meno, e da lui si poteva anche bere qualcosa...
Quelli della CAP, sentendo tutto ciò, presero le loro misure; hanno denunziato ufficialmente Varu proprio quando meno se l'aspettava. Così, una sera, sentì bussare alla porta:
- Apri! La milizia!
Varu aprì. Era livido. Sapeva benissimo quello che l'aspettava. Non aveva ascoltato la voce della ragione. Non aveva colto il momento giusto di piantare baracca e burattini e di andarsene; non si era fermato in tempo. Aveva ascoltato la sua Olteninskaia, la Aritina: rimaniamo ancora un mese... due... mettiamo ancora soldi da parte... altri soldi, sempre altri...
Gli presentarono l'ordine di perquisizione.
- Sei stato denunziato per affari illeciti! Vogliamo fare un controllo.
Sono venuti in tanti. Tre agenti della milizia in divisa e due altri in borghese. Uno di questi ultimi ha gli occhiali sul naso, è ossuto, labbra sottili, che appena si vedono, le dita sottili, fatte apposta per contare i soldi facilmente, e rapidamente, i soldi di Varu...
Ora sì che c'è tempo sufficiente per contare, la voglia... Egli non lo ha avuto. Contava difficilmente. Egli accarezzava i soldi con lo sguardo, li metteva belli belli in ordine... L'ossuto li contava con una velocità tremenda. Bello! E come li metteva in ordine, ben raggruppati. Quando si accumulavano in gruppi da cento, li metteva così, cifra sopra cifra, velocemente, un vero mestiere, quello di contare i soldi altrui. E quando accumula in banconote da cento in dieci pacchetti, vuol dire centomila. Cento pacchetti, un milione. I soldi vengono confiscati. Un milione e centoventimila leva. Gli si stende un processo verbale. Varu lo firma, tremando di paura. Olteninskaia si strappa i capelli e geme e si lagna come una cagna ferita. Savin sta per ammazzare suo padre. Avere tanti soldi, tanti! Tenerli in una cassapanca, non sapere che farsene di tutti; mentre egli Savin faceva un lavoro sfibrante, portando il peso di tanti sacchi sulle spalle, o ferrame vecchio, freddo e arrugginito.
Non teme tanto per il verbale quanto per il processo penale. Qui Varu potrebbe avere dei grossi guai. No! Niente processo penale. E' per i soldi che teme. I soldi, i soldi; se è stato arrestato, possono prenderglieli. Diventano i soldi di molti, di tutti, come dice Parlamentu, tranne le somme prestate dalla Mutua. Quelli, diceva lui, li ha presi in prestito legalmente, dunque gli appartengono di diritto, sono suoi e basta!
- Da questa "pentola" dove sono entrati i tuoi soldi non usciranno mai. Questi soldi entrano in un flusso senza riflusso. Una volta presi, addio per sempre!
- Ciò non è giusto - dice Varu - che non capiva come dovesse perdere pure i soldi presi in prestito legalmente.
- Invece questo come ti pare? Che un operaio debba guadagnare trentamila all'anno e sfibrarsi per essi duramente, mentre tu, tu vuoi guadagnare gli stessi soldi in un solo mese! Pensaci... i soldi di un anno in un solo mese! Ti sembra normale? Sarà per te, non dico di no, ma a me dispiace.
Olteninskaia è fuggita di nuovo nel villaggio. Rimanere lì, dietro la stazione, non ne aveva più voglia. Varu si è trovato di nuovo solo, come prima.
- Non capisco... non capisco..., sti soldi, molti, pochi, quanti sono stati, io li ho accumulati onestamente. Non ho messo le mani in tasca di nessun pendolare. Hanno stabilito loro - per dire così - il prezzo, la tassa. Chi avrebbe sorvegliato le loro biciclette gratuitamente? Chi?
- Ahò! Tu hai sentito della NEP? - gli diede la replica Parlamentu.
- No - rispose Varu.
Parlamentu lasciava la sua bicicletta sempre da Varu. Gratuitamente, senza alcuna paga, perché era un suo protetto. Neanche così è permesso. Anche se Parlamentu pagasse la tassa "di là", ma lasciasse. L'ordine è di lasciare la bicicletta nella rimessa della CAP. E non lasciarla nella rimessa privata, perché si favorisce così lo sfruttamento dell'uomo sull'altro.
- Le tue rimesse hanno fatto la concorrenza a quelle del collettivo, e, dunque, al popolo. La terra è una ricchezza nazionale, mentre tu sei una creatura, ossia un verme che si trascina sulla stessa terra, in questa ricchezza nazionale. Ti è proibito "spuntare".
- Metto le biciclette sottoterra! Rinuncio alla rimessa delle macchine! Rinuncio! Ho voluto fare qualcosa di bello, ma non si può!
In realtà, Lica Varu aveva già incominciato gli scavi. Il suo grande lavoro, monumentale, sottoterra.
- Sopra, lascio un metro di suolo. -Ebbene?
- Questo metro sarebbe dello Stato, vostro, tuo; Parlamentu! E' la ricchezza nazionale di cui parli. Qui sottoterra però... qui sarebbe il posto mio... la mia proprietà privata... per le biciclette... per le vostre biciclette, dei molti, per i quali faccio un bel servizio, una cosa utile...
- Le ricchezze del suolo, come quelle del sottosuolo, appartengono a tutti gli operai. Così è scritto nella Costituzione. Tu devi ubbidire alla Costituzione! - gli ha detto Parlamentu. Non opporti! Non disubbidire inutilmente!
- Ma io cosa sono? Una povera talpa? Io non lavoro? Chi ce l'ha con me? E perché?
- No! Tu sei una persona privata. A te la società non permette di avere quello che hai avuto, non hai la sua approvazione, eppure tu ti sei organizzato da solo, da egoista! Tu hai una "tendenza"...
- Tendenza di che? -Di capitalista.
Ad un dato momento si è trovato un compromesso. Fra lui e il C.A.P. si è firmato un contratto. Varu continuerà il suo lavoro, ma sulla base di una ricevuta. (Si è constatato che le guardie di là, delle rimesse del collettivo, si appropriavano dei soldi incassati). A Varu si chiedeva che i soldi fossero versati al CAP, tutti.
- Va bene, sia, ma a me quanto date?
- Un quarto della norma per ogni giorno. - Ma non lavoro come prima?
- Sì, è vero.
- E allora perché un quarto?
- Così è la legge e tu la devi rispettare.
- E se io avrò dai pendolari trentamila al mese, soldi per i quali voi non lavorate affatto e senza nessun investimento, a me, a me quanto si offre? Di questi trentamila leva? Qual è il mio "quarto"?
- Di questi trentamila, niente. Ti pagheremo con altri fondi. -Quanto viene in soldi, il vostro quarto di norma?
- Circa dieci leva al giorno.
- Dieci leva? Ma trentamila diviso per quattro... fanno...
- I soldi per la bicicletta entrano in un altro conto. Tu sarai pagato con il guadagno della vendita della verza per esempio, o del cavolfiore, un altro esempio. Quando il cavolfiore non renderà, e neanche la verza, allora vedremo!
Oltaninskaia è ritornata alla stazione. Non va più l'affare della tassa per le biciclette, e buongiorno. Ha riportato l'acquavite. Si beve ora senza misura. Beve anche Varu. Il prezzo cresce. Con dieci leva al giorno, e quelli pagati una volta all'anno, non si può vivere. Varu non sistema più le biciclette. Manca l'interesse. Ha venduto le pompe russe, anche quelle rumene. Altri accessori li ha buttati.
- Mi dai quattromila al mese per rimanere con te?
- Come?
- Non hai detto così?
- Ora non si può più.
Un altro giorno, altro controllo, l'ultimo. Colto in flagrante, con l'acquavite. Liquore preso dallo Stato. Fuori faceva freddo, un freddo cane, e l'acquavite era stata messa a bollire. Doveva aggiungere un po' di chicchi di pepe, di foglie d'alloro. Poi lo zucchero.
- Da dove ricavi l'acquavite? E lo zucchero? Permesso di vendita ecc. ecc.
Arrestati tutti e due, il tribunale aveva deciso per lo sfruttamento: ad Olteninskaia tre mesi, a Varu sei. Quando Varu è ritornato, la sua casa non esisteva più. Gliel'avevano demolita perché non faceva parte del villaggio, bensì situata a solo sette chilometri. La rimessa del collettivo era rimasta intatta.
- E' vero - gli ha detto Parlamentu - hanno ragione. Non prendertela. Fai un prestito alla C.A.R., alla Mutua, io ti do una firma di garanzia, e tu ti costruisci un'altra casa, in due, tre anni, la vedi bella, alta così... Aritina, l'hai trovata?
Fino allora si può crepare dieci volte! Tutto è possibile, l'uomo è come l'uovo; una volta cascato a terra, si rompe - gli avrebbe detto Parlamentu - sì, certo che non vivremo più di quanto ci è prescritto, ma tu, intanto, fatti costruire una casa nuova.


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