§ I MAESTRI / LIONELLO MANDORINO

IL MIRACOLO DEL DISEGNO




A. B.



Parlare degli itinerari artistici di Lionello Mandorino significa trovarsi di fronte a una complessa attività creativa, ad un impegno a tutto campo che non ha escluso quasi nulla dal giro di interessi ideativi e di esperienze intellettuali da cinquant'anni a questa parte. Allora è necessario fare delle scelte. E io intendo soffermarmi brevemente su uno dei segmenti che con ogni probabilità è alla radice della sua intera opera pittorica: il disegno.
Il disegno, la capacità di fare disegno, i segni del suo disegno, sono sempre rimasti in Mandorino manifestazioni di altissimo livello e di insuperata maestria per due ragioni di fondo: il lungo esercizio manuale; le sue doti creative. Il ragazzo che, di notte, aperto il bar di Collepasso e accesa la macchina del caffè, prendeva il traino con altri studenti per recarsi a scuola a Lecce, mentre seguiva il corso ufficiale degli studi, percorreva anche un suo itinerario progettuale, tutto personale, per arricchire conoscenze e formazione. Così, da una parte approfondiva lo studio dei classici del '500, e soprattutto di Michelangelo, e di quelli dell'800; dall'altra frequentava lo studio di Geremia Re, che fu anche accanito disegnatore, e dal quale apprese in particolare la tecnica della "macchia d'inchiostro", consentita soltanto, se non esclusivamente, a chi riesce a mettere in immediata sintonia ispirazione, materia e tecnica espressiva. La macchia, infatti, non offre alternative, non dà opportunità di ripensamenti, di correzioni, di interventi in seconda battuta.


D'altra parte, mi diceva lo stesso Mandorino, Geremia Re aveva il dono di trasformare il disegno in discorso pittorico, in dialogo dell'io creatore con la natura, con gli altri uomini, e anche con la poesia e con la musica. E tutto ciò dava una forte carica, vale a dire una oggettiva motivazione artistica, da trasferire sulla carta o sul legno o sulla tela.
Dal 1943 in poi, la cronologia essenziale dei suoi approfondimenti, degli approcci, degli studi sempre più complessi: Geremia Re nel '48, Morandi e Modigliani nel '52-'55, Chagall nel '75, con gli intermezzi delle mostre dei grandi maestri, e insieme con loro, a Roma nel'55, a Milano nell'80, in vari Paesi esteri fino ad oggi.
L'esercizio quotidiano del lavoro si amplia e matura, si trasforma e si arricchisce a mano a mano che Mandorino sollecita la sua Musa, e ne ha risposte positive. Tutto sperimenta e porta a compimento d'arte: il bianco-nero, l'inchiostro, la matita, il carbone, la sanguigna, il pastello, il conté derivato da Michetti, e non per nulla da Casciaro, e la difficilissima tecnica filiforme, che è segno puro, perché respinge il chiaro-scuro, ma nello stesso tempo reclama dimensioni e volumi tanto nel soggetto figurativo quanto in quello paesaggistico. Mandorino dispiega così il discorso pittorico di cui dicevamo, e ne fa un continuum che antologizza figure pensose, malinconiche, romantiche, sensuali, ma anche realistiche, "meridionali" come lui intende i contenuti e le significanze antropologiche e culturali del termine; e nel paesaggio è testimone delicato, operoso, affidabile, di una Terra d'Otranto contadina che muore e di una Terra d'Otranto consumistica, contemporanea, che è già nata. "Io", dice, "non ho mai voluto offendere questa terra e questa società una volta condizionate dalla miseria e dai bisogni più elementari, e oggi insidiate dalla droga, dalla febbre del consumo, dall'ansia quasi panica di cogliere l'attimo che fugge. La nostra è stata ed è la società della buona gente, solo in piccolissima parte tralignata; una società che, come la terra che la esprime, resta vittima della sofferenza e cerca il riscatto nella speranza di giorni diversi".

E' il pensiero dell'intellettuale, ma si badi bene, dell'intellettuale non organico, dell'uomo che ha fatto della propria e dell'altrui libertà un valore irrinunciabile, prezioso, direi "fuori mercato" con i tempi che son corsi e che corrono. La stessa libertà che ha rispecchiato nella luminosità di tutto ciò che ha firmato, come segno di un'interiore chiarità e di una sincerità espressiva
non comuni. Chiaro di luce è il disegno, come luminosi il pastello, la tempera, l'olio, l'affresco. C'è una gran luce arcana, eppure così umana, sulle sue tele, sui legni, sulle pareti; una luce che per uno dei misteri gloriosi della sua arte emerge persino dalle terribili profondità del blu di Prussia di certi suoi cieli, dal rosso furibondo di certi suoi soli, dal giallo apocalittico di certi suoi orizzonti. Perché anche questo Mandorino deve alla sua abilità di disegnatore: la maestria di creare opere monocromatiche, e ne sapeva qualcosa lo scrittore Guglielmo Petroni, abbagliato al cospetto di un paesaggio di case e di alberi e di cieli tutti gialli e soltanto gialli, come se al mondo non fosse esistito altro colore: eppure di perfette scansioni, di agevole lettura e di immediata sintonia di gusto.
Il gusto, certo. Il senso del colore, certo. Le sue tele che escono dalle cornici di quattro punti cardinali e sembrano non dover finire mai, altrettanto certo. Ma il segno del disegno è sempre lì, inside, come dicono oltreoceano: dentro e dietro e accanto, onnipresente. E' la velocità del tratto, l'espressione del tratto, il realismo del tratto, la visione totale che dalle rispondenze del cuore, del cervello e della mano si realizzano con naturalezza sulla superficie. Perché questo va chiarito una volta per tutte: il momento magico, l'attimo primordiale, l'idea cardinale, la folgorazione, il miracolo insomma, e altro ancora, si colgono in tutta la loro purissima essenzialità nel momento ispiratore che si traduce in tratti unici e definitivi sul cavalletto. Quel che viene dopo, il colore soprattutto, coniuga ragione e sentimento. Ma la felicità creativa, il dolore purpureo di cui parlava Chagall, l'attimo panico, l'ebbrezza divina sono soltanto lì e allora, in quel tempo infinitamente breve, eppure così infinito nella dismisura delle sue scansioni assolute, in cui il maestro muove la mano e, creando, annienta il nulla della superficie.
Quanti di questi momenti ha avuto Mandorino? Se ne accorse dopo molti anni, quando fece ritorno in una sua vecchia casa e aprì lo scrigno dei suoi disegni. Erano tanti, erano la storia della sua vita, erano la testimonianza vibrante della sua arte. E lui stesso, mentre ce lo raccontava, era sbalordito. Ora gli perdoniamo di averli segregati così a lungo: forse saranno l'occasione di riparlarne ancora una volta, insieme.


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