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CRISI DEL DOLLARO




Alan Friedman



Il crollo del valore di una moneta molto spesso vuol dire che i mercati valutari internazionali danno un voto collettivo di sfiducia al governo di quel Paese. Alcuni osservatori osservano che è proprio questa la spiegazione di quanto è accaduto al dollaro statunitense, che ad un certo punto è sceso al minimo storico rispetto allo yen e si è indebolito nei confronti del marco tedesco. Io non sono d'accordo. Ritengo che il dollaro sia stato sotto pressione per i timori esagerati dei mercati finanziari sull'inflazione e per i cospicui flussi di capitali che hanno abbandonato gli Stati Uniti per emigrare in Giappone.
Senza dubbio è vero che il presidente Clinton è apparso debole e indeciso in politica estera. Su problemi che vanno dalla Bosnia alla Corea del Nord, ad Haiti, sono venute meno sia l'azione sia la convinzione. Ma il team economico del presidente è solido. Il segretario del Tesoro è un uomo maturo, conservatore e prudente, e il suo vice è un economista esperto. Il consulente economico di punta di Clinton è un veterano di Wall Street, molto brillante. E la ripresa economica continua, con un'inflazione contenuta, un tasso di disoccupazione in calo e pochi motivi di preoccupazione.
Perché allora il dollaro non regge? Non c'è un motivo unico, ma per capire il problema bisogna analizzare il modo in cui investitori e speculatori internazionali mettono in moto miliardi di dollari con obiettivi a breve termine. Quindi, se si considera che il rilancio economico degli Stati Uniti è in atto da tre anni e mezzo, mentre solo molto di recente si sono visti segnali di una ripresa più forte in Germania e in Giappone, questi due Paesi potrebbero rappresentare un'opportunità d'investimento più attraente. E' una legge fisiologica che la valuta del Paese che riceve i flussi di capitali più ingenti si rafforzi di conseguenza. Allo stesso tempo, i mercati finanziari di tutto il mondo hanno risentito dello shock provocato dall'inversione di marcia della politica monetaria americana del febbraio '94, quando la Federal Reserve ha aumentato i tassi d'interesse. Il motivo di questo rialzo era impedire che l'economia americana, che nel corso dell'inverno era cresciuta molto rapidamente, cadesse ancora una volta in balia dell'inflazione.
I tassi d'interesse a breve termine statunitensi sono stati ormai aumentati quattro volte, e questo dovrebbe esser sufficiente a dimostrare al mondo che la Federal Reserve è decisa a lottare contro il pericolo di un'inflazione futura. Inoltre, la Bundesbank e altre banche centrali europee hanno diminuito a loro volta i tassi d'interesse. In teoria, quindi, con i tassi americani in aumento e quelli europei in diminuzione, il dollaro dovrebbe essere più forte. Ma sfortunatamente i tassi tedeschi non hanno ancora raggiunto il livello di quelli statunitensi. E l'azione della Federal Reserve non ha convinto i grandi investitori che l'inflazione non costituisce più una minaccia.
L'inflazione è, ovviamente, il nemico mortale per i detentori di obbligazioni, perché con il tempo erode il valore dei loro investimenti. I mercati delle obbligazioni hanno quindi ridotto i prezzi e aumentato i tassi d'interesse a lungo termine, contribuendo a creare una confusione ancora maggiore sui mercati valutari.
La debolezza della divisa americana, inoltre, è dovuta al modo in cui gli investitori giapponesi hanno ritirato i loro capitali dagli Stati Uniti per rimpatriarli in Giappone. Il Giappone ha ancora un attivo commerciale enorme con gli Stati Uniti e nel '93 alcuni funzionari dell'amministrazione Clinton hanno commesso l'errore di suggerire che un dollaro più debole avrebbe ridotto il deficit con Tokyo. Di recente alcuni consiglieri del presidente hanno tentato di lanciare un messaggio chiaro ai mercati valutari: non vogliono che il dollaro sia usato come strumento nelle trattative commerciali tra Stati Uniti e Giappone. Ma sono arrivati un po' tardi. La debolezza del dollaro è quindi legata alle anticipazioni di investitori e speculatori sul tasso d'inflazione futuro e sui movimenti dei tassi d'interesse, piuttosto che ai problemi politici di Washington. Le Banche centrali hanno tentato d'intervenire e sostenere il dollaro, ma non ha funzionato. E non funzionerà senza un aggiustamento sostanziale dei tassi d'interesse, come per esempio un rialzo da parte della Federa] Reserve di almeno mezzo punto e un ribasso da parte della Bundesbank e della Banca centrale nipponica. Questi interventi sui tassi d'interesse, tuttavia, non sono giustificati dagli indicatori economici fondamentali, e potrebbero anche danneggiare la ripresa americana.
Ma non ci si aspetti una cura miracolosa per il dollaro. Solo un cambiamento reale del flusso dei capitali e dei tassi d'interesse potrà avere un effetto sul dollaro. E per questo potrebbe passare molto tempo, prima che la divisa americana cominci a riprendersi sul serio.


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