§ PRIMO PIANO

NEOCAPITALISMO CONTRO LA MISERIA




Franco Ferrarotti



Il tema, che è stato affrontato da Leslie Sklair in Capitalism and Development, è questo: il capitalismo ha indubbiamente vinto il confronto con il "socialismo reale", miseramente naufragato sotto bardature burocratiche oppressive quanto inefficienti; ma potrà questo capitalismo vittorioso aiutare lo sviluppo del Terzo mondo e l'affermarsi in esso di un regime democratico? Se la risposta è affermativa, allora si fa comprensibilmente incontenibile il desiderio di sapere come ci riesca. Se invece la risposta è negativa, allora la domanda è: come mai? Per non tenere il lettore sulle spine, bisogna dire subito che la risposta non è né positiva né negativa. E' una risposta problematica, che lega le sorti dello sviluppo e della democrazia alla variabilità storica dei singoli contesti, che è quanto dire alle caratteristiche non solo economiche o politiche, ma anche sociologiche, antropologiche e latamente ambientali.
E' un fatto che non c'è governo, oggi, che non si proponga lo sviluppo economico come meta altamente desiderabile. Questo sembra pacifico. Ma non appena si apre il discorso sulle vie da battere per ottenerlo, cominciano le divergenze e i dissensi si moltiplicano. Non solo. Accanto a quello dello sviluppo o, anzi, intrecciato con esso, si presenta il problema del rapporto fra sviluppo e democrazia. Ciò che sembra acquisito è che lo sviluppo ha cessato di essere un mito o comunque uno scopo che si possa raggiungere senza pagare un prezzo. Lo sviluppo costa: in termini economico-finanziari, ma anche umani. E' anzi probabile che gli investimenti tecnici e finanziari non costituiscano il costo fondamentale. E' certo che non rappresentano la variabile decisiva. Gli aspetti sociali e umani dello sviluppo, le trasformazioni del modo di vita medio, dei valori e della mentalità che esso comporta, sono decisivi. Il saggio di Immanuel Wallerstein è illuminante. E' inutile farsi illusioni. "Quando le Nazioni Unite proclamano negli anni '70 la "Decade dello sviluppo", si pensava da molti che la combinazione della crescita materiale e quella delle forze anti-sistemiche avrebbero inaugurato una trasformazione fondamentale della struttura dell'economia mondiale pre-1945. Questa attesa trasformazione non si verificò. Oggi, oltre vent'anni dopo, ci si domanda perché. Cosa si è dunque verificato dal 1945 ad oggi nella struttura dell'economia capitalistica mondiale? Due cose [ ... ]. Una riduzione massiccia della percentuale della popolazione mondiale occupata nel produrre beni primari, inclusi beni alimentari. La crescita assoluta dei settori manifatturieri e la crescita assoluta e relativa dei settori terziari hanno provocato una "urbanizzazione selvaggia" del mondo che è tuttora in piena espansione. In questo processo abbiamo quasi esaurito le scorte di lavoro a buon mercato fin qui esistenti".
Lo scenario non è dei più promettenti. L'idea di uno sviluppo economico omogeneo e sostanzialmente egualitario sembra più un pio desiderio o un devoto tributo alla non dimostrata bontà del genere umano che una previsione fondata. Secondo Wallerstein, i vari movimenti politici del Terzo mondo hanno ancora troppa fiducia nell'eguaglianza sociale da raggiungersi attraverso lo sviluppo, mentre dovrebbero porsi seriamente l'obiettivo di uno sviluppo da ottenersi mediante una maggiore eguaglianza. Ciò comporta inevitabilmente una resa dei conti fra sviluppo economico e democrazia politica. Fino a tempi recenti era opinione comune fra gli specialisti che una correlazione certa fosse storicamente dimostrabile fra democrazia e sviluppo capitalistico.
Nessun dubbio che gli ingredienti c'erano tutti: dalla libertà individuale, che doveva funzionare da motore della libera impresa, al governo minimo, che non doveva intralciare i membri più intraprendenti della comunità, ma nello stesso tempo garantire e proteggere la proprietà privata e gli eventuali profitti.
Nel Terzo mondo, spesso ancora dominato da logiche e comportamenti tribali, nulla di tutto questo. Secondo osservatori attendibili, mai come in questo caso la scienza politica ed economica dell'Occidente mostra la sua debolezza d'immaginazione creativa e un certo grado di innegabile pigrizia intellettuale. Si studia lo sviluppo dell'Europa occidentale e, al più, del Nordamerica, e lo si proietta come legge universale sul resto del pianeta.
Sta di fatto che il Terzo mondo è una realtà piena di contraddizioni, in cui si trovano strutture e caratteristiche che si negano a vicenda, come, per esempio, potere civile e potere militare, democrazia e autoritarismo, settori sviluppati e settori sottosviluppati. Da notare che queste caratteristiche sono presenti nello stesso tempo e nello stesso Paese o regione.
La lezione da trarre, confermata dagli attenti studi monografici raccolti da Sklair, sembra piuttosto chiara. Come appare invecchiata la tesi marxiana dello sviluppo strutturale impersonale delle forze produttive indipendentemente dall'ambiente naturale circostante, altrettanto datata si presenta la suggestiva teorizzazione di Joseph A. Schumpeter, che vede nell'imprenditore il titanico innovatore demiurgico, che rompe la routine della vita economica tradizionale, non aspetta che si muova il mercato ma se lo inventa, crea o anticipa i bisogni invece di pensare soltanto a soddisfarli quando si manifestano. Pare che si debba rinunciare alle teorizzazioni assolute, spesso fondate su un solo fattore determinante. Ma anche la concezione dello sviluppo come processo chiuso in se stesso, dotato di una sua logica specifica e lanciato verso una crescita illimitata, al di là di quell'ideale di steady o stationary economy, che era già presente nei pionieristici Principles of Political Economy di John Stuart Mill, esce da questi saggi piuttosto barcollante. Quello che resta in piedi, anche se non è detto che debba necessariamente accompagnarsi a un regime democratico capitalistico, è il famoso "imperativo dello sviluppo", concepito come pre-condizione di una vita più civile su tutto il pianeta e che consiste sostanzialmente nell'esigenza di superare l'attuale situazione di miseria endemica e di fame che ancora affligge vaste regioni del mondo.


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