§ SUD E LAVORO

LE VIE DELLA FLESSIBILITA'




Innocenzo Cipolletta



Non considero utile il monopolio dello Stato in tema di collocamento. Credo che le agenzie private - con i dovuti controlli - potrebbero realizzare un'operazione di grande efficienza per il funzionamento del mercato del lavoro. Non arrivo a dire che lo Stato non deve non svolgere mai più la funzione del collocamento, ma certo non in monopolio. L'agire in regime di monopolio crea sempre una scarsa attenzione all'inefficienza: spesso ci sono strutture sovrabbondanti dove non servono e scarse dove invece ve ne sarebbe bisogno.
Per quel che riguarda la formula migliore per introdurre in Italia il lavoro interinale, occorre considerare l'esperienza degli altri Paesi. La principale cui noi possiamo fare riferimento è, senza dubbio, quella francese. Oltralpe viene utilizzata la formula più efficiente di lavoro interinale: esiste un'ampia gamma di possibilità di ricorso a personale temporaneo, non esistono limiti per categorie e il rapporto di lavoro resta limitato all'effettivo periodo d'impiego.
Sarebbe molto negativo introdurre in Italia formule di contrattualizzazione del lavoro ad interim all'interno dell'azienda - che, al contrario, vuole rimanere flessibile - così come la garanzia di una retribuzione minima non ancorata alla prestazione effettiva, istituto finora previsto nel vecchio disegno di legge. Così facendo si rischia di rendere impossibile l'applicazione del lavoro interinale: perché diventerebbe troppo difficile farvi ricorso, oppure perché i suoi costi diventerebbero insostenibili.
Come spesso accade, formule come quella del salario minimo "garantito" sembrano clausole apparentemente di garanzia verso i lavoratori, ma sono, in realtà, altrettanti siluri per far fallire la legge. La cosa peggiore per noi sarebbe introdurre il lavoro temporaneo solo di nome, tramite un progetto dimezzato, e poi ritirare il tutto con l'alibi che con questo strumento non si crea occupazione. Oltre al danno ci sarebbe la beffa.
Oltre tutto, finora abbiamo proceduto con troppa fretta alla riduzione della fiscalizzazione degli oneri sociali. Abbiamo così scoperto che in alcune Regioni si sono verificati clamorosi rimbalzi nel costo del lavoro, aumenti che hanno anche fatto saltare le compatibilità previste nell'accordo del luglio 1993 sulla politica dei redditi.
A questo punto occorre immaginare nuove formule che rendano più flessibile il salario, che resta pur sempre il prezzo del lavoro, e come tale va ancorato alle fluttuazioni della domanda e dell'offerta. Se la via della fiscalizzazione si rivelerà del tutto impercorribile, ci vorranno senza dubbio formule fiscali e salariali più flessibili. Occorre, fra l'altro, immaginare anche una maggiore mobilità sul territorio, soprattutto per le qualifiche medio-alte: per favorire questi spostamenti sarà necessario eliminare, con opportune scelte politiche, gli ostacoli che oggi li impediscono, a cominciare dalla carenza di case. Non è ammissibile che nel Nord-Est del Paese ci sia piena occupazione, al Centro quasi, e al Sud una disoccupazione clamorosa.
Minor numero di vincoli ai licenziamenti per dare maggiore fluidità al mercato del lavoro e rendere in media più brevi i periodi di disoccupazione? Sarei prudente nello stabilire un legame così netto. Certo che, dove il mercato è più flessibile anche sul fronte dei licenziamenti, si crea in genere più occupazione. Ma il vincolo italiano non è tanto quello sui licenziamenti, è soprattutto quello alle assunzioni. Soltanto adesso ci si è decisi a rendere un po' più libero l'accesso al lavoro, ad esempio, con provvedimenti come quello sul tempo determinato. Con la diffusione dei contratti a termine si abitua il mercato del lavoro a reagire senza drammi: l'impresa assume senza avere l'incubo dei licenziamenti per un possibile eccesso di manodopera, i lavoratori sanno che il loro impiego è a tempo e quando finisce sono preparati. Fra l'altro, i lavoratori sanno anche che molti di quei contratti a tempo determinato vengono trasformati a tempo pieno.
E' chiaro che la flessibilità, da sola, non basta. Senza ripresa economica anche la politica più flessibile del mondo non può dare occupazione. Ma certo, in fase di ripresa, la flessibilità contribuisce ad aumentare la spinta competitiva. Ad essa, in ogni caso, bisogna affiancare altri fattori, agendo sull'offerta di lavoro. Occorre innanzitutto aumentare la qualità del lavoro e, quindi, dell'istruzione e della formazione del personale. Noi nel nostro Paese abbiamo un eccesso di persone che studiano, ma che studiano male, senza orientarsi alle effettive esigenze del mondo del lavoro.


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