§ SUD E LAVORO

UNA CURA ANTI-CRISI




Giuseppe De Rita



Il collocamento pubblico non va abolito, ma certamente va ridefinito e razionalizzato nelle sue funzioni e nelle sue strutture. Al collocamento statale deve rimanere la competenza primaria nella pianificazione delle macro-variabili del mercato del lavoro, soprattutto per ciò che riguarda la loro dimensione di medio-lungo periodo. A una rete parallela di "agenzie" private per l'impiego potrebbe invece essere assegnato il compito di presidiare le dinamiche di incontro tra offerta e domanda di occupazione a breve e a brevissimo termine.
A questa "divisione" del lavoro fra strutture pubbliche e private dovrebbe accompagnarsi una semplificazione della struttura pubblica sul territorio: oggi la compresenza degli Uffici del lavoro, delle Agenzie e degli Osservatori spesso non facilita l'azione pubblica, ma la moltiplica sugli stessi livelli di azione, abbassandone, purtroppo, i livelli di efficacia.
Formula del lavoro interinale. Ricordiamoci innanzitutto che non è la scelta del modello che dovrebbe preoccupare di più. In Italia serve ancora spiegare meglio il meccanismo del lavoro interinale tanto presso le parti sociali, quanto presso i lavoratori, per preparare l'eventuale applicazione e sdrammatizzarne la portata degli effetti pratici che potrebbe avere sui livelli di occupazione. Il lavoro interinale, difatti, non crea e non creerà posti di lavoro permanenti, ma occupazioni "istantanee": il suo rilievo positivo sarebbe proprio legato alla capacità di incidere positivamente sui rischi congiunturali. Far capire questo ai soggetti che dovrebbero usarlo è indispensabile per far funzionare qualunque tipo di modello di lavoro interinale.
Proprio perché in Italia abbiamo ancora tante riserve su questo strumento, sarebbe bene adottare un modello flessibile, più simile a quello francese che non a quello tedesco.
Il rischio di una contrazione dell'occupazione nelle aree già deboli è reale, ma bisogna evitare per quanto è possibile di approfondire la spaccatura che già le separa dalle zone più forti sotto il profilo degli equilibri occupazionali. Se non altro, si dovrà ricominciare a riflettere sui dualismi mai eliminati nel mercato del lavoro nazionale e su quelli infra-regionali, e cesserà la tendenza a rimuovere il problema, seguita all'esaurimento dell'intervento straordinario.
Nel breve-medio periodo, non sarà il lavoro dipendente ad assorbire in modo significativo il surplus di offerta che nel frattempo la crisi generalizzata ha creato al Sud. Maggiori opportunità può offrire il lavoro autonomo, ed è a sostegno di questo che vanno indirizzati gli sforzi delle politiche d'intervento.
In questa fase ancora incerta del ciclo economico, allontanare i vincoli che ora gravano sulle possibilità delle aziende di licenziare non porterebbe con certezza alla riduzione dei periodi di disoccupazione. Non voglio pensare che i datori di lavoro ne usufruirebbero irresponsabilmente; piuttosto, l'inesistenza o il rallentamento di domanda di lavoro aggiuntiva non creerebbero oggettive alternative di occupazione per chi perdesse un posto di lavoro.
Non dimentichiamo, tra l'altro, che le imprese oggi dispongono già di diversi strumenti per fronteggiare il surplus di manodopera, che hanno il vantaggio di attutire il costo sociale della riorganizzazione in atto, tenendo conto delle esigenze aziendali di ristrutturazione.
Impostare i meccanismi di governo del mercato del lavoro su criteri e strumenti di flessibilità, per il momento, è un passaggio obbligato. Non solo e non tanto perché è uno dei fattori che può farci riacquistare competitività nei confronti di altri sistemi-Paese, quanto perché può rappresentare un momento di crescita e di maturazione della cultura collettiva sul significato e sulla funzione del lavoro nell'organizzazione sociale. Certamente, con la "flessibilità" non si può abbassare velocemente il tasso di disoccupazione nazionale, ma si possono porre le premesse per creare un mercato del lavoro meno rigido, in cui la mobilità non sarà percepita come una dimensione penalizzante, ma come avvio di un circolo di sviluppo virtuoso degli interessi professionali.


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