§ POLACCHI NEL SALENTO

GLI UOMINI DI ANDERS




Sergio Torsello



Moja droga do Alessano (La mia strada per Alessano); Na Koncu Wloskiego Buta (Alla fine dello stivale italiano); Jak Mi bylo u Andersa (Io soldato agli ordini di Anders). Sono alcuni dei titoli di libri, non ancora tradotti in italiano, che rievocano i momenti più felici della presenza dei soldati polacchi ad Alessano e in altri centri del Basso Salento tra il 1945 e il 1946. "Alla fine dello stivale", i contingenti del II Corpo d'Armata al comando del generale Wladislaw Anders giunsero agli inizi del 1945, poco dopo la sanguinosa battaglia di Montecassino che proprio ai polacchi costò le perdite più consistenti tra quelle riportate dall'esercito alleato. Un periodo di riposo forzato, nelle intenzioni delle gerarchie militari, in attesa di un improbabile ritorno in patria sul quale gravava il peso delle decisioni delle potenze vincitrici riunite a Yalta. Tra i soldati venuti dall'Est, che si portavano dentro il peso devastante dell'invasione nazista della loro terra e la nuova angoscia per un eventuale assoggettamento alla Russia di Stalin, e questa gente del Sud appena sfiorata da una guerra che qui aveva avuto il volto della fame e della miseria, furono tutto sommato, amicizia e solidarietà a prima vista. Ne è testimonianza, accanto a scarne fonti documentarie, la singolare fioritura in Polonia, negli anni successivi alla guerra, di una serie di pubblicazioni che si soffermano, spesso con alcune inesattezze e ingenuità ma sempre sul filo di un ricordo insieme tenero e struggente, sull'esperienza di quegli anni trascorsi nel Salento.
Certo non sempre la convivenza fu idilliaca e, anzi, non mancarono episodi di incomprensione e di veri e propri contrasti ma, nel complesso, come sottolinea Vittorio Zacchino nel suo libro Salento e Polonia, cinquecento anni di amicizia da Bona Sforza a Papa Woityla, recentemente edito per i tipi delle Edizioni del Grifo (sicuramente il primo tentativo di ricostruire in maniera organica la storia di quel biennio e più in generale la fitta trama degli scambi ultrasecolari intercorsi tra Salento e Polonia), i rapporti furono sempre di "amichevole e schietta familiarità".
Ed è proprio in questo periodo che si riannodano le fila di una serie di rapporti tra i due popoli che, dispersi nei mille rivoli sotterranei della storia, "hanno consentito" - come fa notare lo stesso Zacchino - "incontri bilaterali da circa 5 secoli tra personalità di spessore rilevato e folte masse di popolo". Dalla regina Bona Sforza, figlia di Isabella d'Aragona, allieva del Galateo che, divenuta regina di Polonia, si circondò di medici e letterati salentini; alla vicenda di Giovan Bernardino Bonifacio, inquieto e tormentato marchese di Oria, che donò la sua ricca biblioteca alla città di Danzica; fino alla ripresa dei contatti in età risorgimentale, quando le popolazioni salentine solidarizzarono con i polacchi insorti contro la Russia. "Ben altro - precisa ancora Zacchino - il contributo dei polacchi alla campagna italiana del 1944, il loro eroismo e la dedizione alla causa della libertà d'Italia e d'Europa che il nazifascismo minacciava di soffocare. Poi vennero nel Salento e condivisero con le nostre genti per quasi due anni l'angoscia di un esilio senza sbocchi, sognando l'impossibile ritorno nella libera Polonia. E' germogliata proprio in quei due anni, tra le privazioni e gli orrori della guerra, una sincera fraternità polacco-salentina. L'hanno consolidata, in prosieguo, gli studi del varsaviano Nowicki per lo sfortunato Cesare Vanini di Taurisano e lo storico pellegrinaggio a Otranto di Papa Woityla nel 1980". E' un rapporto che si rinsalda, dunque, proprio nel momento di maggiore difficoltà per entrambi i popoli. La guerra, del resto, come tutte le lacerazioni dell'umanità, possiede questo fascino ambiguo: può separare e ricongiungere, dividere e accomunare, spingere all'odio ma anche all'amore.
E così avvenne ad Alessano e in tutto il Salento, dove l'integrazione fra i due gruppi sociali fu quasi immediata, facilitata anche dalla grande fede religiosa dei polacchi e dalla loro partecipazione appassionata alle funzioni sacre e alla vita sociale delle piccole comunità salentine. I polacchi portarono quel tanto di "ricchezza" che era loro possibile: non solo generi alimentari, fino ad allora razionati, cominciarono a riapparire sulle tavole dei salentini, ma anche cioccolato, sigarette e altri generi di prima necessità. E in alcuni casi, come a Mottola e Gioia del Colle, le popolazioni locali poterono usufruire anche delle attrezzature ospedaliere impiantate nella zona del comando polacco. In attesa di un qualche sviluppo per quella che ormai si configurava come una vera e propria "questione polacca", il governo di opposizione in esilio a Londra e il comando del II Corpo d'Armata decisero l'istituzione di alcune scuole superiori, strutturate in corsi di maturità di durata semestrale, in provincia di Lecce e nelle altre località dove erano dislocati i reparti. L'obiettivo più immediato, per i comandi militari, era quello di tenere occupate le truppe, ma lo scopo vero era quello di formare i quadri di una nuova classe dirigente in vista del ritorno in patria. Molti dei soldati di allora, infatti, una volta completati gli studi, occuperanno posti di responsabilità nelle università, nelle gerarchie ecclesiastiche e alla guida di aziende.
La prima di queste scuole, sicuramente la più importante, fu aperta proprio ad Alessano e gli studenti avevano la possibilità di seguire o l'indirizzo classico (vi si insegnava greco e latino) o quello scientifico, con l'insegnamento di fisica, chimica, ecc. Altre scuole furono successivamente aperte a Matino, Casarano, Maglie, Galatone e Lecce; in quest'ultima località si tennero dei corsi di agraria. Poi nell'estate del 1946, i polacchi partirono dal Salento, lasciandosi dietro qualche segno della loro presenza (come le lapidi votive custodite nelle chiese matrici di Alessano e Maglie), ma soprattutto amori, amicizie, sentimenti, ricordi che la memoria non cancella, che neppure il peso degli anni riesce a scalfire. Ma i legami tra quei due mondi che per un attimo si sono incontrati, hanno condiviso tormenti e paure, speranze e delusioni, non si sono mai interrotti del tutto. Da anni ormai esiste a Cracovia un'associazione dal nome emblematico di "Alessanesi di Polonia", che da tempo intrattiene rapporti con la comunità del piccolo centro salentino. E nel 1992, a suggello di questo filo diretto tra Salento e Polonia, il prof. Antonio Caloro di Alessano ha partecipato con una comunicazione sul tema "Le scuole polacche di Alessano" al convegno internazionale di Cracovia "Le scuole del II Corpo d'Armata polacco in Europa". Per ricordare quei giorni di tanti anni fa, ravvivarne la memoria e risvegliare antiche emozioni, l'amministrazione comunale di Alessano ha promosso una serie di manifestazioni in occasione del 50° anniversario dell'arrivo dei Polacchi ad Alessano.
Queste, che si svolgeranno dal 25 al 28 aprile 1995, prevedono la partecipazione di alcune decine di ex soldati e la presenza di Mons. Szczepan Wesoly, nel '46 giovane studente-soldato del contingente polacco ad Alessano, oggi arcivescovo di Draconara e responsabile per la Conferenza episcopale del suo Paese dei problemi dell'emigrazione polacca nel mondo. In quell'occasione verrà inoltre presentata una "antologia" che comprende la traduzione italiana di Na Koncu WIoskiego Buta di Michal Chartoryski e di passi di altre pubblicazioni che hanno per oggetto Alessano e la sua popolazione. Una storia che si ripete, dunque, e che sembra non voler spezzare i "mille fili", per usare una felice espressione di Tommaso Fiore, che legano "la Polonia all'animo di ciascuno di noi".


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