§ LUOGHI COMUNI

LA FORTUNA E IL MAESTRO DELLE PEZZE




Sergio Bello



L'ultimo capitolo di un saggio relativo ad un qualche artista è spesso dedicato alla sua 'fortuna', ovvero al maggiore o minore interesse che le diverse epoche hanno dimostrato nei suoi confronti, con riguardo soprattutto al giudizio sulla bontà della sua opera espresso nel corso degli anni.
L'importanza di questo capitolo - quando non si tratti di un semplice paragrafo o addirittura di poche righe - non è sempre compresa appieno; chi ha compiuto studi classici ricorda senz'altro che la lettura delle pagine dedicate alla fortuna dei vari autori greci o latini snocciolati come i grani di un rosario dall'insegnante durante il corso era implicitamente considerata facoltativa: si elargiva qualche sguardo a quel pugno di righe solo sull'onda dell'abbrivio generato dalla corsa appena sostenuta sulle sezioni dedicate alla vita, alle opere ed ai miracoli dell'autore studiato, per poi eventualmente chiedersi cosa valesse sapere che Orazio godette del plauso degli illuministi mentre S. Girolamo gettò discredito sulla figura dell'epicureo Lucrezio.
Se invece capita, in un secondo momento, di nutrire qualche interesse extrascolastico per quegli stessi autori, è certo che la curiosità prima, e la consapevolezza di avere sotto mano un efficacissimo strumento di approfondimento poi, soppianteranno definitivamente il meccanico, incontrollato, agnostico abbrivio di un tempo. All'atto poi di prendere in esame eventualmente la fortuna non più di autori che hanno composto versi ma piuttosto quella di autori che hanno composto musica, si rende necessario qualche aggiustamento di tiro.
Il concetto di fortuna infatti in musica è abbastanza articolato. E' a partire grosso modo dal Settecento che si fa strada la nozione di "repertorio" come oggi lo intendiamo: fatta la notevole ma ovvia eccezione della musica da chiesa, conservativa per sua stessa natura, tutta quella musica che si poteva definire "di consumo" era un tempo fatta oggetto di un continuo ricambio. Riproporre musiche dei secoli precedenti, come è prassi odierna, veniva considerato come qualcosa di eccezionale almeno fino a Mozart.
La fortuna di un brano musicale raramente andava molto oltre il periodo di risonanza dell'occasione che ne aveva attivato la composizione; vigeva infatti l'ottima consuetudine di proporre all'uditorio musiche commissionate appositamente per l'evento da celebrare, rendendo possibile quello che oggi -quando ciò che cambia è solo l'interprete di cristallizzati repertori - appare quantomeno utopico: il procedere di pari passo dei gusti del pubblico con l'evoluzione delle forme e degli stili compositivi.
Tuttavia, se è vero che il pubblico spesso perdeva contatto con le composizioni subito dopo la prima fruizione, capitava anche che le musiche degli autori più quotati diventassero degli exempla sui quali si forgiavano e con i quali si misuravano le nuove generazioni di compositori: così è stato, ad esempio, per i madrigali del principe Gesualdo.
Questo processo di trasmissione - studiato tra l'altro da chi si interessa alla storia della didattica della composizione - ha fatto sì che, pur non venendo eseguite in pubblico, molte musiche continuassero ad essere assimilate e giudicate, rendendo particolarmente dinamico il rapporto tra giudizio sull'uomo, giudizio sull'opera in se stessa e giudizio sull'opera in relazione ai gusti ed alle tecniche compositive contingenti.
Se poi non si verificava nessuno dei casi suesposti, se cioè il compositore non vantava musiche divenute patrimonio comune del pubblico e né veniva elevato a modello dalle nuove leve di musicisti, questi rischiava l'indifferenza dei posteri e dunque l'oblio.
Eccezione a questa eventualità si ha quando qualche evento singolare o qualche ruolo specifico giocato dal compositore nel corso della sua vita sopraggiunga a scongiuro dell'altrimenti certo silenzio, come è avvenuto per Salieri o per Artusi - accusato ingiustamente il primo di aver avvelenato Mozart per gelosia, accanito fustigatore di Monteverdi il secondo - e come anche è avvenuto, lo vedremo più avanti, per il monopolitano Giacomo Insanguine.
Da quel che si è detto, appare evidente che un passo essenziale da compiere per mettere correttamente a fuoco l'immagine di un autore consiste nel ripercorrere all'indietro la sua fortuna, andando a cercare le cause di giudizi e pregiudizi, vagliando accuratamente i motivi della maggiore o minore notorietà e valutando il peso che fattori extramusicali hanno avuto sull'immagine dell'artista per come è stata tramandata.
Scendendo su un campo pragmaticamente esemplificativo, vengono alla mente due illustri figure - per altri versi difficilmente assimilabili -per le quali lo studio della fortuna può dimostrarsi utile per inquadrarle in una più appropriata prospettiva.
Il primo caso riguarda Johann Sebastian Bach. Oggi questo compositore è noto almeno quanto lo sono Beethoven e Mozart, pur non essendo stato aiutato ad accrescere la propria notorietà da registi cinematografici come Kubrik e Forman, come è invece rispettivamente accaduto per i due compositori più vicini a noi. Mentre era in vita, tuttavia, anche se era ben noto come virtuoso d'organo, al punto che i più noti organari si valevano spesso della sua consulenza per la progettazione e la costruzione di questo complesso strumento, non poteva far vanto di adeguata notorietà come compositore. Sul suo stile gravava infatti un giudizio assai negativo, essendo sentito come troppo elaborato e troppo antiquato rispetto ai nuovi modelli formali ed espressivi proposti, tra gli altri, da suo figlio Carl Philipp Emanuel; il quale figlio, contribuendo all'affermazione dello stile galante attraverso l'espunzione di ogni manierismo sentimentale, godette contrariamente al padre del successo e della notorietà agevolmente conquistata con la sua musica in tutta Europa.
E' solo a partire dal 1829, con l'esordio sul podio di Felix Mendellsohn-Bartholdy ed il geniale recupero effettuato da quest'ultimo della "Passione Secondo Matteo", che il compositore di Eisenach verrà apprezzato appieno.
Gli eventi che seguiranno - dalla conseguente esecuzione di altri capolavori dimenticati alla fondazione nel 1850 della Società Bachiana (Bach-Gesellshaft) - daranno vita a quel travolgente fenomeno noto come "Bach-Renaissance", e faranno sì che un compositore prima giudicato tanto distrattamente divenga la figura emblematica di una intera fase della storia della musica.
Il secondo caso vede protagonista l'altrettanto noto compositore e pianista polacco Fryderyk Chopin. Senz'altro non è l'interesse per questo personaggio ad esser venuto meno nel corso del pur breve lasso di tempo che ci separa dagli anni della sua carriera di artista; e neppure ha subito vacillamenti il favorevole giudizio che da sempre accompagna le sue opere. E' invece il modo in cui si guarda ai lavori di Chopin che appare tutt'altro che statico; forse tratti in inganno da alcune pagine molto belle ma anche un poco disimpegnate, elaborate in un periodo in cui il compositore si è dovuto piegare ad una scrittura "di circostanza", come traspare nei pur apprezzatissimi Notturni op. 27; forse per quell'immagine delicata e salottiera diffusa da tante biografie; forse soprattutto per quella comprensibilità che non è mai mancata anche alle composizioni più ardite del compositore polacco, si è andata via via insinuando una immagine ingannevole della produzione artistica di Chopin: i caratteri eversivi della Sonata op. 35, i tratti sperimentali della Polacca op. 44 e quant'altro di raro, audace, originale fosse riscontrabile nelle opere più mature, per lungo tempo - e ancora oggi la questione è tutt'altro che risolta - ha dovuto fare i conti con il livellante luogo comune della facile fruibilità del linguaggio chopiniano, luogo comune che ha fruttato più di una interpretazione banalizzante.
Ecco dunque trapelare dalle notizie relative al modo in cui l'opera di questi due compositori è stata recepita una immagine ben diversa rispetto a quella comunemente accettata: il magistero bachiano sentito come inesorabilmente legato al passato; la trascinante vena compositiva di Chopin densa di tensioni percepite come dirompenti.
E se simili situazioni si verificano con personaggi di tale statura, i meno grandi sono tutt'altro che al sicuro: anzi, laddove i compositori affermati sono continuamente rimessi in discussione da studi sempre più accurati, le figure minori, più facilmente trascurate, restano soffocate a tempo indeterminato dal peso di sedimentati luoghi comuni, e la loro fortuna appare indefinitivamente segnata.

(1 - continua)


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000