§ STABILITA' DEMOCRATICA E COMPETITIVITA'

MODELLO AMERICA




Carlo De Benedetti



Come operatore attivo sul mercato internazionale, ho sempre guardato agli Stati Uniti come a un doppio modello di riferimento. Da un punto di vista politico, essi rappresentano la "democrazia di riferimento", cioè il sistema di democrazia politica più stabile del mondo. Da un punto di vista economico, essi rappresentano la "economia di riferimento", non solo per la dimensione complessiva del mercato, ma anche, e soprattutto, per la capacità competitiva e la leadership indiscussa in termini di innovazione tecnologica e imprenditoriale.
Negli ultimi cinquant'anni, questo modello di riferimento ha svolto un ruolo di primaria importanza nella crescita economica e sociale del sistema internazionale. E' stato in grado di assicurare un lungo periodo di prosperità economica e sociale. Ha impedito il riproporsi dei conflitti che hanno caratterizzato la prima metà del secolo.
La mia preoccupazione è che, attualmente, il ruolo degli Stati Uniti corra il rischio di essere indebolito o profondamente cambiato, sia per motivi interni sia per cause esterne che sono al di fuori del loro controllo.
Come ho detto, sono sempre stato un grande ammiratore degli Stati Uniti: essi hanno mostrato a noi europei come promuovere la democrazia e l'economia di mercato, come favorire la crescita economica e anche come ristrutturare le nostre aziende e i nostri Paesi. La mia critica nei confronti di alcune decisioni della politica statunitense deriva dal timore che un indebolimento della leadership Usa abbia riflessi negativi per l'economia e la democrazia di tutto il mondo.
Non è mio compito, né sono in possesso degli strumenti adeguati, valutare la politica estera o militare statunitense. Nondimeno, mi sembra di cogliere l'emergere di alcune oscillazioni nella politica estera e nel dibattito circa il ruolo degli Usa come garanti armati della pace mondiale.
Alcuni casi recenti di intervento, o di non intervento, in aree di crisi sono esemplificativi di questa indecisione. Ricordo i "casi" della Bosnia, della Somalia, della Russia (la sfida più grande e l'area dove l'approccio Usa è stato più oscillante), l'allargamento della Nato per includere gli Stati dell'Est: spesso ho avuto l'impressione di una carenza di obiettivi strategici a livello interno e internazionale. Le scelte sembrano decise in base a una politica del giorno per giorno. Si va poi affermando nel Paese una crescente opposizione a destinare ingenti risorse del pubblico bilancio ad operazioni militari incerte e prive di chiare motivazioni strategiche. Il riaffermarsi di una visione "isolazionista" degli Usa come un'entità chiusa in se stessa rappresenta un pericolo montante.
Il fatto è che una strategia più definita di politica estera non significa necessariamente maggiore interventismo e maggiori oneri a carico del contribuente. Significa un quadro di riferimento più chiaro per l'ordine politico mondiale.
Di qui un primo rischio. In un'ottica interna americana, può sembrare un problema minore l'assenza di una strategia internazionale in cui gli Usa svolgono un chiaro ruolo di riferimento per la pace e il progresso democratico del mondo. Ma ciò può portare a effetti incontrollabili di tensione internazionale, con ripercussioni negative per gli stessi Stati Uniti.
Un secondo rischio nella carenza di una visione "globale" nella politica estera americana riguarda il commercio internazionale. Al di là della conclusione degli accordi multilaterali Gatt, la politica commerciale americana ripropone posizioni di pressione unilaterale, attraverso strumenti di retaliation o di sottovalutazione del dollaro per acquisire quote di mercato.
Questa tendenza preoccupa i partner commerciali degli Usa. Prima delle elezioni di medio termine, il presidente Clinton ha suscitato grande approvazione all'estero per la sua visione internazionalista dell'economia. Si è battuto contro i neo-isolazionisti all'interno stesso del suo partito per strappare la ratifica del Gatt e del Nafta. Dopo le elezioni, i partner commerciali degli Usa si sono spesso chiesti se il rapporto di potere tra internazionalisti e isolazionisti non sia per caso mutato. Da questo punto di vista, il salvataggio finanziario del Messico ha costituito un primo test.
Lo scontro fra una Casa Bianca indebolita e una risorgente maggioranza repubblicana nel Congresso non è una base promettente per l'instaurarsi di una politica commerciale fondata sul bilateralismo. lo sono convinto che gli Usa abbiano sufficiente superiorità tecnologica e forza nella struttura industriale per conquistare presenza nei mercati internazionali senza dover ricorrere a strumenti che mettono in pericolo il commercio internazionale e la crescita economica mondiale, e accendono conflitti e manovre che possono danneggiare la stessa, economia americana.
Vi è poi un terzo rischio, il cronico deficit commerciale degli Usa. L'industria americana ha ormai recuperato forza competitiva e fiducia in sé. Le aziende americane hanno dimostrato capacità lodevoli nell'utilizzo delle soluzioni informatiche per contenere i costi e migliorare la produttività.
Esistono, inoltre, altri fattori che influiscono positivamente sulla posizione dell'industria americana sui mercati internazionali: in particolare un dollaro debole e un sostegno al commercio molto più deciso da parte dell'amministrazione Usa. Eppure, nonostante tutto si stima che il deficit commerciale degli Usa raggiungerà almeno i 170 miliardi di dollari nel 1995.
Il fatto che tale deficit sia per la maggior parte concentrato in Asia non gioca a favore dei partner commerciali dell'America. Il deficit non rappresenta affatto un motore per gli scambi mondiali, bensì un fattore di distorsione. E all'interno degli Usa genera pressioni enormi, con il rischio di uno spostamento a favore dei neo-isolazionisti. In più, significa che Washington continuerà ad essere un acquirente aggressivo, anche se in termini di competitività è ormai al primo posto. E' questa una posizione valida perché gli Usa possano esercitare il loro ruolo di leadership?
Un quarto rischio è che gli Usa continueranno ad avere grande bisogno dei capitali internazionali, sia per finanziare il deficit commerciale, sia per compensare il divario tra un basso indice di risparmio interno e il fabbisogno di investimento. La politica fiscale americana pare guidata principalmente da questioni interne, e ciò si è reso particolarmente evidente nelle scorse elezioni. Per l'osservatore esterno, sembra che si stia verificando una guerra tra i migliori offerenti in termini di riduzione delle imposte, con l'obiettivo di conquistare l'appoggio delle classi medie. Nonostante le pressioni per un amendment alla Costituzione americana relativo a un budget equilibrato, la storia indica che l'attuale guerra porterà a un allentamento della politica fiscale Usa. Allo stesso tempo, il gracile indice di risparmio non pare suscitare particolari preoccupazioni.
Le debolezze finanziarie dell'economia più potente del mondo - e della fonte della valuta-chiave del mondo - destano grave preoccupazione nella comunità internazionale. Sul piano finanziario vi è una attenta interdipendenza tra il sistema americano e il sistema internazionale. Il mondo non può tollerare una ulteriore erosione della credibilità finanziaria degli Usa in un momento in cui la leadership americana in quest'area è più indispensabile che mai.
L'economia internazionale ha bisogno del ruolo di riferimento economico che gli Usa hanno esercitato in questo mezzo secolo. Il ciclo di sviluppo che si è avviato nel mondo può avere buone possibilità di protrarsi e rafforzarsi nel corso di almeno i prossimi cinque anni, con straordinari effetti sia sui Paesi industriali sia su quelli di recente industrializzazione. Ma la situazione economica e sociale di tanti Paesi appare molto fragile, mettendo a rischio il consolidamento di tale processo e soprattutto la capacità di controllare i fenomeni inflazionistici o le crisi finanziarie.
Come imprenditore europeo, sono anche preoccupato dell'interesse decrescente degli Usa verso l'Europa, rispetto ad altre aree. Lo sviluppo in atto nelle aree del Pacifico e dell'America Latina è indubbiamente più attraente di quanto si sta manifestando in tanti Paesi europei. Ma non vi è dubbio che a ciò corrisponde anche un più elevato livello di rischio e di fragilità. Il caso del Messico è sufficientemente indicativo.
Negli ultimi cinquant'anni l'alleanza tra Usa ed Europa ha rappresentato un grande elemento di stabilità e di forza non solo per i due continenti, ma per il mondo intero. Questo rapporto di partnership deve continuare a rafforzarsi.
Il tema del futuro economico della Russia ha un peso importante nel rapporto Usa-Europa. E' un nodo particolarmente problematico: che fare? A mio avviso, la strategia americana non è sempre stata chiara: sono necessarie azioni più incisive. Gli sviluppi economici e politici della Russia avranno un impatto molto significativo per il futuro dell'Europa.
La ricostituzione di un grande patto transatlantico consentirebbe di porre le basi per un lungo periodo di sviluppo e di stabilità internazionale. Questo richiede una visione più ampia e un approccio più lungimirante nell'area della politica estera, non solo in America.
Anche i Governi europei sono troppo rivolti al proprio interno, in un'ottica di breve termine e di tentazioni protezionistiche. Personalmente, mi sto battendo da tempo in Europa per rompere con la cultura dei mercati chiusi e protetti, contro i monopoli nazionali, contro le barriere, per favorire un'effettiva competizione di mercato, per un'apertura al confronto internazionale. Ho trovato le stesse esigenze e gli stessi comportamenti in tanti colleghi imprenditori americani.
Il rilancio di un rapporto di partnership transatlantica diviene ancora più significativo nella prospettiva di un nuovo ciclo industriale basato sull'economia della conoscenza e dell'informazione.
Usa ed Europa avranno un ruolo centrale in questo nuovo ciclo perché posseggono la maggior parte delle risorse di intelligenza e di informazione esistenti al mondo. Inoltre, hanno basi storiche e culturali comuni. La maggiore sfida per entrambe le aree sarà quindi di trovare forme nuove di collaborazione per accelerare l'entrata in questo nuovo grande ciclo di sviluppo economico destinato a trasformare le condizioni di vita dell'umanità.


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