§ STATO DELLE REGOLE?

ITALIA NEOFEUDALE




Giuseppe De Rita



In tutto il gran parlare che si fa sui tanti scontri di potere in atto in Italia non sembra emergere una linea interpretativa sufficientemente unitaria. A me sembra che una interpretazione unitaria ci sia; che essa possa dar spazio all'ipotesi che sta vincendo una logica neofeudale dell'articolazione dei poteri; che l'ipotesi vada resa esplicita e discussa, nel caso anche molto criticamente.
Per rendere meno ermetica questa sequela di affermazioni parto da una constatazione quasi banale: oggi nel nostro Paese gli scontri di potere sono talmente tanti che si accavallano fra loro in un insieme di notevole confusione e di crescente preoccupazione. L'esecutivo è in lotta con la magistratura; la magistratura mette in crisi la classe imprenditoriale e finanziaria; i poteri locali si sentono in dovere di contrastare il potere centrale; il Parlamento si ritrova a sentirsi ogni giorno più delegittimato dagli altri poteri (istituzionali e no); il potere giornalistico è in rotta di collisione con il governo e/o viceversa; lo stesso primato del potere politico sembra in difficoltà di fronte alla forza di sottile corrosione messa in moto da altri più o meno formali poteri. E ho citato solo alcuni campi di conflitto in atto nel Paese, ma tutti sono consapevoli di quanti altri ve ne siano in atto, più o meno striscianti: da quelli "alti", che vedono coinvolto su più piani il presidente della Repubblica, a quelli più semplici e piatti dei tanti conflitti nelle varie realtà territoriali del Paese.
Una vera e propria fase di decostruzione degli assetti decisionali è quindi in atto in Italia, e gli effetti si constatano nella moltiplicazione. delle lotte di potere. La cosa è per molti aspetti preoccupante perché può portare ad una prospettiva di concreta ingovernabilità del sistema; ma, non sapendo andare oltre la ovvia interpretazione "si sta sfaldando tutto", si resta prigionieri nella tentazione di rispondere al pericolo di ingovernabilità con proposte di verticalizzazione e concentrazione del potere (in termini oligarchici o addirittura di personalizzazione attraverso l'elezione diretta delle guide di governo). Si tratta praticamente di una sorta di riflesso condizionato, una riproposizione dell'antico (l'imperium di qualcuno o di alcuni) sotto una facile riverniciatura dei tradizionali schemi di potere. Una tentazione che sotto sotto vive nelle tentazioni plebiscitarie, ma una tentazione che andrebbe di molto ridimensionata dalla constatazione ormai costante che in una società complessa ed a tante variabili, come la nostra, la verticalizzazione non paga perché non coagula, rischiando di diventare solo la matrice di un frustrato o arrogante solipsismo.
Lo sfaldamento decostruttivo dei poteri cui oggi assistiamo non può allora essere cantato come rivoluzionario né essere fronteggiato con il rilancio della verticalizzazione del potere. Alcuni amanti del "nuovo che avanza" cercano di farlo, ma appaiono subito più vecchi e conservatori di quanto essi stessi pensino. Solo una nuova architettura, possibilmente policentrica, dei poteri può fare uscire dalle tentazioni sopra richiamate. Ed a me piacerebbe che una tale architettura fosse elaborata partendo dalla progressiva crescita di regole con cui far crescere ed ordinare le tante sfere di autonomia (nei comportamenti individuali e collettivi, nel funzionamento dei mercati, nella competizione imprenditoriale, nella salvaguardia dei diritti di cittadinanza, nella responsabilità dei vari livelli di governo locale, ecc.).
Uno "Stato delle regole" che sostituisca via via lo Stato della politica, dell'imperium di quell'arroganza politica capace di concentrare i piani alti del potere e di occuparne con pratiche non commendevoli i piani bassi. Uno Stato delle regole in tendenziale coerenza con l'enorme policentrismo, quasi la molecolarità, dello sviluppo italiano e delle società moderne.
Ma questo passaggio dall'imperium politico al primato delle regole sembra, contro ogni personale attesa, di là da venire. Pare invece che si sta affermando un policentrismo più stretto e inerte, una sorta di Stato neofeudale. Come l'uscita dall'Impero (quello Sacro e Romano) non si realizzò subito nei comportamenti e regole dei mercanti e degli artigiani rinascimentali ma dovette attraversare un periodo feudale, così la fine dell'imperium della politica rischia di dar luogo per ora solo ad un'architettura decisionale di tipo prettamente feudale. Guardiamoci intorno e troveremo che vanno consolidandosi tre grandi gruppi di potere feudale: il gruppo costituito dalle tecnostrutture tendenzialmente oligarchiche (Banca d'Italia, Ragioneria Generale dello Stato, Mediobanca, alcune grandi Procure della Repubblica, ecc.), il gruppo costituito dalle aree imprenditoriali o dalle associazioni categoriali che acquisiscono spazi di gestione implicitamente corporativa di alcune funzioni pubbliche (il fisco, gli incentivi, le grandi infrastrutture, ecc.); e il gruppo costituito dalle più forti strutture locali (oggi in particolare i sindaci direttamente eletti nelle grandi città) che tendono a reclamare ed occupare spazi di responsabilità nei settori d'azione pubblica più direttamente attinenti al territorio.
Ognuno dei protagonisti di questi tre gruppi tende, anche se non coscientemente o perfidamente, a farsi feudo, ad avere una propria regione di potere (con una propria "religione" di riferimento) dove gli altri non devono entrare e sul cui funzionamento la politica può solo far da re travicello o da alleato con cui contrattare.
Solo avvertendo la propensione neofeudale si può capire con più chiarezza quel che sta avvenendo in Italia; un accaparramento degli spazi di potere ai fini della costruzione di feudi diversi. E il conflitto fra poteri cui da tempo stiamo assistendo è solo il sintomo ed il portato di una corsa al fare o consolidare i feudi del futuro prossimo venturo. Non è dato di sapere se questa corsa avrà il successo cui essa tende, ma per ora l'ipotesi interpretativa sul formarsi di una tendenza neofeudale è molto ragionevole e solida; e anche con qualche venatura pericolosa, cui non sarebbe male cominciare a prestare attenzione.


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